Mons.Antonio Riboldi"Accogliere la Misericordia, per diventare misericordiosi"

Omelia del 6 marzo 2016
IV Domenica di Quaresima
Accogliere la Misericordia, per diventare misericordiosi
Luca 15,1-3.11-32
In questa domenica, la IV di Quaresima, la Chiesa con la Parola di Dio ci fa quasi respirare la
bellezza della nostra resurrezione, frutto della Resurrezione del Maestro, sempre che la Sua Grazia ci raggiunga e arrivi a parlare al nostro cuore, che ha davvero bisogno di assaporare, nel ritorno a Lui, lo stupendo bacio di gioia e di pace che solo Dio sa e può donarci.

È il tempo in cui Dio si ‘lascia commuovere’ dalla nostra povertà, quando finalmente comprendiamo, ‘rientrando in noi stessi’, quanto profonda sia la tristezza di sentirsi ‘orfani’ e lontani da Casa.

Se ci lasciamo conquistare dalla Grazia e non sbarriamo le porte del cuore, fatto per essere amato da Dio ed amarlo, consapevoli della nostra fragilità e pochezza, avvertiremo un profondo bisogno di sentire il calore delle braccia del Padre, che si tendono verso i figli per accoglierli, stanche solo di essere state troppo tempo aperte nell’attesa, ma pronte a chiudersi su quanti sanno gettarsi dentro con fiducia. Il Padre non si lascia mai intimorire né frenare dal rifiuto in cui noi siamo capaci di cacciarci, per l’egoismo che è spuntato nei progenitori e continua a dare i suoi perfidi frutti anche in noi.

Il Padre sa bene, molto bene, quanto sia dura la solitudine, che può prendere possesso del cuore dell’uomo: è una terribile morte del cuore, che striscia vicino a troppi per un motivo o per un altro.

Troppe volte perdiamo anche la verità del peccato e facciamo passare per lecito quello che invece offende Chi ci ha creati e a cui dobbiamo amore ed obbedienza: l’Unico che ben conosce quanto il peccato possa farci del male. E tante volte riteniamo che sia sufficiente un superficiale ‘chiedere perdono direttamente a Dio’, per sentirsi liberati e scolparsi. Ma non è così.

Ci viene incontro, per guidarci ad una retta coscienza e consapevolezza, la stupenda parabola del figlio prodigo, un capolavoro di misericordia.

Leggiamola insieme, assaporandola, parola per parola, per capire il Cuore di Dio.

“Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al Padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il Padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.

Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci, ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato  tuo figlio. Trattami come uno dei garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso e ammazzatelo; mangiamo e facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato.

E cominciarono a fare festa.” (Lc. 15, 11-32)

Una parabola che apre il cuore e la mente sulla misericordia di Dio, che nulla ha a che fare con la cosiddetta ‘confessione’ di chi sbaglia ed è giudicato nei nostri tribunali. ‘Chi sbaglia – si sente dire spesso – è giusto che paghi!’: una condanna, che non lascia spazio al perdono o alla speranza.

La parabola del figlio prodigo ha poco a che fare anche con quelle che ancora oggi chiamiamo ‘confessioni’, dove ha spesso più spazio la paura, il senso di umiliazione e di imbarazzo, invece della gioia. Questo è un modo di concepire il sacramento della penitenza sullo stile del giudizio umano: un incontro con un Giudice che condanna, non con un Padre che perdona!

Ma Cristo ci ha insegnato ben altro. Come dice Papa Francesco: ‘Qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare! … Gesù è tutto misericordia, Gesù è tutto amore: è Dio fatto uomo … Dio non ci dimentica, il Padre non ci abbandona mai … E il suo cuore è in festa per ogni figlio che ritorna. E’ in festa perché è gioia.”

La storia del peccato è infatti lasciare la Casa del Padre, dove regnava la gioia e l’innocenza, per fare spazio alle prospettive del mondo, dove tutto può avvenire, fuorché donarci la gioia di vivere nell’amore, e quindi nella serenità e nella pace del cuore. E’ facile farsi stordire dalle tante offerte del mondo, la cui conseguenza è sotto gli occhi di tutti: un disordine morale, magari sbandierato come libertà conquistata, spettacolo o capacità di trasgressione, ma che porta allo scetticismo, all’oscuramento dell’anima, segni di un’amarezza profonda, colmata con ogni sorta di sciocchezze, vanità e idoli sbagliati, o peggio, tradimenti, avventure, senza riuscire a superarla e venirne fuori, anzi! E quando riemerge il bisogno di purezza di cuore, ci si sente immersi nel fango; se si sente il bisogno di uscirne, non si trova la forza o la Grazia per venirne fuori.

È il momento di entrare nei panni del figlio prodigo. Dopo aver toccato il fondo, ‘rientra in se stesso e dice: Tornerò da mio padre’: è la capacità di mettersi in discussione e lasciare che il proprio cuore ricerchi la sua bellezza ed innocenza, ritornando in pace con se stesso, con gli altri e con Dio.

Ma oggi la Parola di Dio ci mette in guardia anche da un altro pericolo, come ha evidenziato Papa Francesco: ‘E’ che noi presumiamo di essere giusti, e giudichiamo gli altri. Giudichiamo anche Dio, perché pensiamo che dovrebbe castigare i peccatori … Allora sì che rischiamo di rimanere fuori dalla casa del Padre! Come quel fratello maggiore della parabola, che invece di essere contento perché suo fratello è tornato, si arrabbia con il padre che lo ha accolto e fa festa. Se nel nostro cuore non c’è la misericordia, la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio, anche se osserviamo tutti i precetti, perché è l’amore che salva, non la sola pratica dei precetti.”

Tutti noi, chi più chi meno, siamo propensi ai giudizi duri e intransigenti verso i fratelli, mentre sentiamo per noi stessi il bisogno di Uno che ci ridia la gioia di essere amati, passando per il perdono.

Sono le nostre contraddizioni, il nostro usare sempre ‘due pesi e due misure’.

Come aggiunge Papa Francesco: “Se noi viviamo secondo la legge “occhio per occhio, dente per dente”, mai usciamo dalla spirale del male … Solo la giustizia di Dio ci può salvare! … Ma come ci giudica Dio? Dando la vita per noi! Ecco l’atto supremo di giustizia che ha sconfitto una volta per tutte il Principe di questo mondo; e questo atto supremo di giustizia è proprio anche l’atto supremo di misericordia. Gesù ci chiama tutti a seguire questa strada: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso».

Può sembrare difficile lasciare alle spalle il peso delle colpe. Occorre superare vergogna o rilassatezza, come pure la nostra tendenza a giudicare, che rende freddo il cuore, anche tra fratelli, ma farlo è ‘rinascere’!

Antonio, Vescovo

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