Paolo Curtaz,"Amami, risorto"

Amami, risorto
Domenica di Pasqua della Risurrezione
Colore liturgico: bianco
At 10, 34. 37-43; Sal. 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9
Non c’è più nulla da vedere, tutto è finito, concluso, compiuto.
È l’epilogo più tragico, inatteso, che i discepoli potessero anche solo immaginare. Il peggiore degli
incubi.
Tutto si è svolto in fretta, come un’onda gigantesca che ha travolto ogni cosa in poche ore: Gesù è stato arrestato, processato e crocefisso in una notte. I discepoli non hanno fatto in tempo nemmeno a capire cosa stesse accadendo.
Fine della storia. Ora, storditi, vagano nella città cercando rifugio, spaventati, vedono soldati dietro ogni angolo, la paura li divora. La giornata, dopo la lunga notte insonne e di violenza, scivola lenta.
Un’alba livida li ha svegliati dal sonno irrequieto. Alcuni fra loro cercano gli altri, come possono, con prudenza, col timore di essere riconosciuti, salgono verso la collina di Sion, in quella casa che li ha accolti per l’ultima volta, in cui avrebbero dovuto riposare dopo la preghiera al Cedron se Gesù non fosse stato arrestato. È sabato, il sabato di Pesah. Sentono in lontananza i rumori della festa, le risate e le chiacchiere, i canti che celebrano la vittoria sulla schiavitù.
Ma loro sono legati a pensanti catene.
Il senso di colpa, la paura che mozza il fiato, la follia che si è materializzata e che ha sbranato, insieme al loro inerme Maestro, la speranza. Illusi. Idioti. Vigliacchi.
Nessuno parla. Qualcuno fra loro piange in silenzio.
Il clima è cupo, rabbioso, disperato.
Bussano alla porta.
Corse
Giovanni racconta la corsa delle donne tornate dal sepolcro per avvisare i discepoli.
Hanno rubato il corpo di Gesù! Non sanno cosa fare, passano fra le bancarelle dei mercanti che iniziano la giornata, corrono sul selciato della città ricostruita da Erode, giungono, affannate, alla casa. Chiedono aiuto.
Ora sono Pietro e un altro discepolo a correre.
Il discepolo che Gesù amava, presente nei momenti cruciali nella vita del Signore. Un discepolo che, tardivamente, la comunità cristiana ha identificato con lo stesso evangelista Giovanni. Più probabilmente, invece, quel discepolo è un personaggio collettivo: tutti noi siamo chiamati ad essere quel discepolo amato. Tutti noi siamo chiamati a correre per raggiungere il Signore, tutti siamo chiamati ad andare a vedere.
Corrono, Pietro e il discepolo. Corriamo anche noi con Pietro dopo l’annuncio delle donne.
Giungono al sepolcro: la tomba è davvero vuota, il sudario, la sindone, le bende, come svuotati e riposti con ordine. Vedono solo segni di morte, solo cose che hanno a che fare con la morte. Nulla di vitale, nulla di decisivo.
Segni di morte, non c’è nessuna evidenza.
Pietro di ferma. Il discepolo amato no. Vede e crede.
Evidenze
Non è evidente la fede. Non è evidente la presenza del Signore. Non è evidente la gioia che invade il cuore del discepolo amato. Non hanno ancora capito la Scrittura. Dai segni devono risalire al significato, risalire alla luce nascosta dietro gli eventi. Ogni evento.
Capiranno, certo, ci vorrà lo Spirito per spalancare la loro capacità di capire e leggere al di là dell’apparenza. Ma capiranno.
È ancora lì quella tomba vuota.
I romani l’hanno prima nascosta sotto un terrapieno. Poi è stata messa al centro di un’immensa basilica più volte distrutta. Akim il folle decise di raderla al suolo, scalpellandola. Oggi è meta di centinaia di migliaia di pellegrini che varcano la porta consumata dai secoli per accedere per qualche istante in quel che resta della tomba scavata nella roccia, inginocchiandosi davanti alla pietra che accolse il corpo del Maestro.
Solo pietre. Solo una tomba, vuota, per giunta.
Segni di morte che vanno interpretati, se vogliamo.
Risorti
Gesù è risorto, smettetela di fargli il funerale, di chiuderlo dentro le teche, di stordirlo di incensi e canti lamentosi. La croce era solo un passaggio, una collocazione provvisoria. È altrove, fidatevi.
Non rianimato o presente nei nostri ricordi. È il per sempre vivente, risorto da morte.
Vedrete sempre e solo dei segni, nella Chiesa, nel mondo. Sarà la fede a dar loro vita. Sarà quella corsa ad osare, a smuovere, a convertire i cuori ancora pesanti.
È lo sguardo che determina l’ottimismo cristiano che sa vedere oltre il mondo che implode, oltre l’incomprensione, oltre la violenza.
Lo sguardo.
Amami, Signore risorto. Amami come hai amato i tuoi discepoli, al di là delle mie incongruenze, dentro i miei limiti, oltre i miei tradimenti, amami. Perché tu mi ami come nessuna ama e come io stesso non riesco ad amarmi. Amami, splendido Dio, perché tu sei l’Amore e non puoi che amare. Che Pietro mi porti fino al sepolcro. Che io veda che quella tomba è vuota. Che io senta che quel dono totale di te era la misura dell’amore che hai per me.
Amami, Signore risorto.

FONTE:"Ti racconto la Parola"


Commenti

Post più popolari