Don Paolo Zamengo, "Un’altra strada per un’altra vita"

Un’altra strada per un’altra vita    Gv 13, 31-33°.34-35
5a Domenica di Pasqua - Anno C  
Durante l’ultima cena Gesù traccia una nuova via. “Vi do un comandamento nuovo”. Non è un ordine
perché l’amore non può essere imposto. L’amore per forza è maschera dell’amore, frustrante per chi lo offre, avvilente per chi lo riceve.

Gesù traccia un sentiero che sembra impraticabile per gli uomini. Non più e non basta amare il prossimo come se stessi, Gesù chiede molto di più: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”.

In quella notte tragica e terribile, vigilia della sua passione, Gesù fa agli apostoli il regalo più bello. Dà la capacità di amare come soltanto lui sa fare.  La novità del cristianesimo non è l’amore ma la proposta di amare come Gesù.

Gesù prega per i suoi crocifissori e li perdona. Accoglie gli smarriti come Zaccheo e la Samaritana. Si rallegra per la pecora ritrovata e banchetta felice per il ritorno di un figlio perduto. Sulla croce ha le promesse più dolci per il buon ladrone e, risorto, aspetterà paziente il ritorno di Pietro, sul lago.

Pietro, mi ami? Non è una sfida. È una strada. Se vuoi venire con me, cammina. Metti i tuoi piedi sulle mie orme, passo dopo passo, seguendo la mia ombra.

Io non so cosa abbia pensato, negli ultimi istanti di croce, il buon ladrone. Lui è stato l’ultimo amato da Gesù e il primo a entrare in Paradiso. Il buon ladrone avrebbe forse voluto aggiungere un capitolo al vangelo, ma non lo ha scritto.   Io lo immagino così:

 “Il momento peggiore fu quando mi inchiodarono ad un albero morto. Seguì un tonfo quando lo lasciarono conficcare nella terra.  Gli alberi, una volta, erano il luogo del canto.  

I soldati mi sollevarono tirando le corde, mi sembrò la fine di tutto.   Quando ripresi i sensi non sentii alcun canto, ma le mie ossa urlavano di dolore.  

L’uomo che mi era accanto parlava, di tanto in tanto. “Ho sete”. Gridava a suo padre in cielo e chiedeva perdono per quelli che gli erano attorno.  

La notte scorsa, nelle prigioni, c’era chi diceva che Gesù poteva essere un re. Volli parlargli: “Ricordati di me, quando sarai nel tuo regno”. Ho udito la sua voce chiara: “Tu sarai con me, prima che il sole tramonti”. Queste parole cancellarono la mia paura.  

Cominciai a sentirmi come un uccello che stava per essere liberato in un cielo senza confini.   Sotto di me c’era una donna che continuava a ripetermi “Non dimenticarti mai quello che mio figlio ti ha promesso”. Talvolta, quella donna parlava come se stesse pregando. Quanto è semplice la fede delle donne!

Mia madre era morta molti anni fa. Ora ne ho un'altra. Le dico: “O Signora dal manto blu, proteggimi e prenditi cura di me”.  

Stava diventando più difficile respirare. La lingua mi si era incollata al palato. Ieri nessuno era venuto in prigione. Nessuno si era interessato di me. E invece quest’uomo mi ha parlato.  Mi piacerebbe inginocchiarmi ai suoi piedi ma non posso muovermi.  

Erano le tre e il sole aveva lasciato il cielo. Poi, all’improvviso, mi resi conto che non ero più inchiodato a un albero morto. Avevo solo steso le mani e qualcuno c’era e me le afferrava. Gesù mi aveva amato come se stesso.

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