Michele Antonio Corona, Commento su Giovanni 13,31-35

Commento su Giovanni 13,31-35
Michele Antonio Corona
V Domenica di Pasqua (Anno C) (24/04/2016)
Vangelo: Gv 13,31-35 
Il vangelo di questa quinta domenica di Pasqua sembra fare uno strano passo indietro: dagli eventi
della risurrezione si passa alle parole di Gesù nell'ultima cena. La menzione di Giuda che esce (dal cenacolo) sembra connettersi con la vicenda post-pasquale di Tommaso, assente durante la prima visita del risorto ai suoi discepoli.
I personaggi che costellano il capitolo 13, oltre a Gesù, sono tre discepoli: Giuda, Simon Pietro e il discepolo amato. Questi due sono caratterizzati dal loro parlare con Gesù e, sebbene in modo diverso, nel chiedere a lui spiegazioni del suo atteggiamento. Giuda, invece, non parla e sembra, quasi, essere succube della sua stessa decisione di "tradire/consegnare" il Maestro. Il Maestro si alza da tavola per lavare i piedi dei discepoli e con questo gesto si aprono i discorsi finali, il testamento di Gesù.
Non si tratta di parole e gesti totalmente nuovi per chi è stato con lui, infatti essi sono il sublime sbocco di un fiume che già scorreva durante la vita del Maestro e della sua cerchia. Il servizio reciproco, l'amore vicendevole, la decisione radicale di donare la vita, la compassione per gli ultimi sono stati lo stile fondamentale della missione. È fuorviante pensare che il dono d'amore possa essere un gesto estemporaneo, spontaneo, improvviso. Paradossalmente, come il raptus omicida giunge in un momento imprecisato, ma è preparato nell'ombra e nel silenzio all'interno della mente e nelle pieghe dei sentimenti della persona, così il gesto estremo dell'amore non può che essere frutto di semina continua e di meditazione costante. Gesù ha vissuto un'esistenza impregnata d'amore e di disponibilità al disegno del Padre; ha lavato i piedi ai suoi discepoli ogni giorno della loro vita comunitaria attraverso il balsamo della Parola donata, con i gesti di attenzione e di cura, con lo sguardo di chi non si scandalizza delle debolezze altrui ma le comprende e le accetta. "Essere fatto gloria", di cui parla il brano evangelico, non può essere considerato solo un premio finale per una vita sacrificata, ma è la pienezza di vita con cui egli ha vissuto. Appare quanto mai pericoloso spostare la realizzazione piena in una dimensione futura, mostrando il presente solo come esercizio di pazienza e prova. "Il regno di Dio è qui in mezzo a voi" è il segno della vita piena qui e ora!
Dopo aver annunciato il proprio tradimento Gesù parla della glorificazione che il Padre gli consegna. Il gesto dell'amore che parte dai piedi e che segna il cammino della persona diviene il grimaldello per la rivoluzione dei rapporti. Maestro e servo sembrano non distinguersi più se si ricerca la via dell'amore. L'amore non è livellante o spersonalizzante, bensì toglie le distanze, ammorbidisce le dogane, elimina le muraglie, favorisce le relazioni vere. In un momento storico per la nostra Europa in cui lo scontro tra stati diventa sempre più acceso in ordine alla responsabilità dell'accoglienza, la "novità" del comandamento dell'amore non può che essere l'unico segno credibile dell'annuncio cristiano.
Spesso si sente dire: "Alcuni problemi non si risolvono con l'amore". Sarà vero? Se in una famiglia sorgono delle tensioni, le si può risolvere senza ripartire dall'amore vicendevole? Le divergenze che si verificano nelle nostre comunità possono conciliarsi sulla base di scelte strategiche slegate dal vincolo dell'amore gli uni per gli altri? La chiusura del vangelo odierno è una pennellata straordinaria del compito della comunità dei discepoli: "tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". Ecco il segno della credibilità credente: l'amore. Si mostra più coraggio ad amare che per odiare o essere tiepidi!

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