Mons.Antonio Riboldi,"Simone di Giovanni, mi ami?"

Omelia del 10 Aprile 2016 
III Domenica del Tempo di Pasqua
Simone di Giovanni, mi ami?
Nel racconto degli Atti degli Apostoli che oggi si legge - At. 5, 27-32 - sembra siano passati centinaia
di secoli, dal momento della paura e della fuga degli Apostoli alla vista della terribile fine cui andava incontro il Maestro, che li aveva chiamati, scelti e fatti suoi amici, ma che nell’ora della prova avevano abbandonato, rinnegato, lasciandolo da solo al suo destino. Con la Risurrezione di Gesù, alla paura si è sostituito il coraggio della testimonianza, fino alla gioia di essere oltraggiati per amore di Gesù!

“‘Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha resuscitato Gesù che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. … E di questi fatti noi siamo testimoni, noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui’.

Allora li fecero fustigare e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù: quindi li rimisero in libertà. Ma essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù.” (At. 5, 27-32)

Ed è quanto ci è presentato anche nel Vangelo, prima e dopo la pesca miracolosa.

Al momento dell’arresto di Gesù, Pietro, che amava Gesù e non si rassegnava a lasciarLo in mano ai nemici, Lo aveva seguito, cercando però di passare inosservato. E quando era stato scoperto, per la paura, addirittura, aveva ricorso al falso giuramento di non conoscerlo affatto, rinnegando un’amicizia e un amore che invece viveva profondamente.

Era venuta fuori tutta, ma proprio tutta, l’incapacità, la debolezza, la fragilità dell’uomo, di ogni uomo, di ogni tempo, di fronte a prove che richiedono una forza che può solo venire da Dio, dallo Spirito Santo. Pietro, quando se ne rese conto, ‘pianse amaramente’.

Quanto sarà stato difficile ammettere e riconoscere la vigliaccheria cui aveva ricorso per non correre pericoli! Non è facile accettare una tale umana debolezza.

Ma Dio lo aveva permesso proprio per preparare nell’umiltà e nel coraggio colui che poi designerà per grandi cose. E capita a tutti noi.

Quante volte ci sentiamo pronti ad affrontare chissà cosa – parlo nel campo della fede, dell’amicizia, della virtù, della dignità – e poi al momento del confronto con la mentalità del mondo, che chiede a volte ‘martirio’ nel confessare ciò che siamo e crediamo, si manifesta tutta la nostra debolezza. Quanta gente generosa, che avrebbe, a parole, data la vita per il Regno di Dio, di fronte alla virulenza della mentalità che vuole dominare le persone, annullando i grandi valori, si china per paura. Non c’è da spaventarsi: è ciò che siamo senza la Grazia di Dio che ci sostiene.

Essere davvero cristiani, fino in fondo, con naturalezza, senza venir mai meno a ciò che veramente siamo ‘dentro’, non è facile. Più facile piegare la testa al mondo, per evitare, come Pietro, di fare, seguendoLo, la fine di Gesù nella passione. Ma ora Gesù è nuovamente con loro, è Risorto! E’ ciò che ci testimoniano, oggi, nel nostro mondo, tanti fratelli nella fede, perseguitati, ma che restano fedeli, perdendo tutto, a volte, anche la vita! E’ giunta, dopo la dolorosa e totale morte ‘dell’uomo’, l’ora del ‘totalmente diverso’, che Gesù vuole partecipare a noi, se solo lo accogliamo.

Come appare nel Vangelo di oggi, la fragilità non sempre va insieme al non amore e soprattutto la fiducia illimitata di Gesù non viene meno, perché Lui ‘conosce i nostri cuori’, impastati di miseria e di slanci di generosità e continua a ‘credere’ in noi … come se nulla fosse accaduto. E’ la tua alta espressione della Misericordia del nostro Dio! E’ però necessario che il nostro amore per Lui sia, nella consapevolezza della nostra fragilità di peccatori, fondato su una profonda e sincera umiltà, che si apra ad accogliere con totale fiducia l’amore di Gesù, che mai viene meno.

 “Gesù si manifestò di nuovo agli apostoli sul mare di Tiberiade … - nella II pesca miracolosa, dopo la quale - Gesù disse a Simon Pietro: ‘Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?’. Gli rispose: ‘Certo, Signore, tu lo sai che io ti amo’. Gli disse: ‘Pasci i miei agnelli’. Gli disse di nuovo: ‘Simone di Giovanni, mi ami?. Gli rispose: ‘Certo, Signore, lo sai che ti amo’. Gli disse: ‘Pasci le mie pecorelle’. Gli disse per la terza volta: ‘Simone di Giovanni mi ami?’. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: ‘Mi ami?’e gli disse: ‘Signore, tu sai tutto: tu sai che ti amo’. Gli rispose: ‘Pasci le mie pecorelle. In verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi’. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo disse: ‘Seguimi’.” (Gv. 21, 1-19)

La storia di Pietro è un poco la nostra vita cristiana: può essere grande la nostra fragilità, ma quando si ama, con la fiducia in Gesù possiamo andare oltre. A volte possiamo essere vittime della nostra miseria, che ci porta quasi a negare Gesù, ma poi al giusto momento, diventiamo capaci di affermare un amore grande. Ricordo quando nel Belice mi giunsero assolutamente inaspettati, attraverso la comunicazione del Santo Padre Paolo VI, oggi beato, che mi voleva davvero un grande bene, la richiesta e l’invito di Gesù: ‘Mi ami tu? Pasci le mie pecorelle’, ossia la nomina a vescovo.

Non nego, che grande fu la mia sorpresa: ‘Impossibile – mi dicevo – che Dio si fidi della mia povertà e mi affidi ‘il Suo gregge’. Mi sentivo smarrito, come Pietro. Ma qualcosa dentro mi invitava a rispondere come Lui, perché era la verità: ‘Signore, tu sai che io ti amo’.

che si affida. Chissà quante volte queste due realtà, fragilità umana e amore, si sono alternate nella nostra vita. L’amore ha bisogno, per trionfare, di questa nostra debolezza, che si affida alla Presenza di Gesù nella nostra vita. Se Gesù ci domandasse oggi: ‘Mi ami tu?’, guardando alla quotidianità del nostro vivere, quale sarebbe la nostra risposta? L’augurio e la preghiera è che sia sempre, nonostante tutto: ‘Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene’.

Antonio, Vescovo

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