Padre Alvise Bellinato"VEDERE PER CREDERE O CREDERE PER VEDERE?"
II Domenica di Pasqua (Anno C) (03/04/2016)
Vangelo: Gv 20,19-31
Commento a cura di Padre Alvise Bellinato
VEDERE PER CREDERE O CREDERE PER VEDERE?
I due verbi sui quali vogliamo focalizzare la nostra attenzione oggi sono vedere e credere.
1. Nel Vangelo prima viene il vedere, poi il credere.
Dice Tommaso: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
La sequenza sembra abbastanza chiara: vedere à credere.
A Tommaso non basta il credere degli apostoli, la loro gioia, la loro certezza. Per lui, è necessario vedere Gesù personalmente, per poter credere.
Gesù, alla fine gli dice: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
In questo primo caso, il più ovvio e comune, potremmo dire che la visione genera la fede.
Tommaso rinasce nella fede grazie all'aver visto Gesù.
2. Nella prima lettura invece prima c'è il credere, poi il vedere.
Si dice negli Atti degli apostoli che nella comunità cristiana delle origini "sempre più venivano aggiunti credenti al Signore". La fede era viva a tal punto che segni e prodigi avvenivano tra il popolo per opera degli apostoli. La gente, vedendo i frutti di questa fede, portava malati e indemoniati, e tutti venivano guariti.
In questo secondo caso, paradossalmente, la sequenza sembrerebbe invertita: credere à vedere.
La fede dei credenti è talmente forte da convertire altre persone, le quali, pur senza vedere Gesù direttamente, ma vedendo i segni e prodigi frutto della fede degli apostoli, si convertono e diventano parte della primitiva comunità cristiana.
In un certo senso potremmo dire che la fede della comunità aiuta a vedere.
La fede rende visibile agli altri il Signore. La fede genera la visione.
3. Nella seconda lettura credere e vedere sono complementari.
Giovanni si definisce "vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza nel credere in Gesù".
Egli viene preso dallo Spirito nel giorno del Signore e vede Gesù, "con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro".
Si tratta di una visione straordinaria, diretta, intensa, descritta nei dettagli.
Qui troviamo una fede già consolidata, purificata dalle tribolazioni, matura. Questa fede, di per sé, non avrebbe bisogno della visone, perché è forte e provata.
Non si può dire che la fede qui generi la visione: è Gesù che decide liberamente di manifestarsi a Giovanni e di farsi vedere. Non come risposta a una mancanza di fede, ma come scelta volontaria, con lo scopo di investirlo di una nuova missione.
Nemmeno si può affermare che la visione generi la fede: Giovanni è credente prima e indipendentemente dal vedere. Avrebbe continuato a credere anche se non avesse visto Gesù in questo modo.
In questo terzo caso visione e fede sono come un circuito: si alternano a vicenda in modo armonioso. L'una rafforza l'altra.
La sequenza risulta: credere ↔ vedere.
Allora potremmo dire che ci sono tre possibilità:
Vedere per credere
Credere per vedere
Credere e vedere.
Nella cultura attuale domina il primo modello, quello di Tommaso. Molta gente dice: "Credo solo a ciò che vedo". Domina una visione positivista ed empirista, in cui l'invisibile, che spesso è la cosa più importante, difficilmente trova spazio. Si crede solo a ciò che è verificabile.
Nel Nuovo Testamento, invece, le due categorie sono invertite: Gesù opera miracoli solamente dove trova la fede. É la fede che consente di vedere le meraviglie di Dio. Più si crede e più si vede. Si accoglie anche ciò che non è verificabile, aprendosi ad una dimensione superiore, con fiducia.
Ma non va bene contrapporre in modo drastico fede e visione empirica: esse possono sussistere simultaneamente e in armonia. «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità». È questo il magnifico incipit dell'enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II che appare ancora oggi di attualità e profondità sorprendenti.
Anche l'enciclica Lumen Fidei, di papa Francesco, ha recentemente ribadito questa armonia innata tra vedere e credere, tra Tommaso e Maria Maddalena.
É vero che San Tommaso apostolo viene spesso rappresentato con la squadra da geometra in mano, quasi ad indicare una fede "more geometrico demonstrata", mentre la Maddalena è l'icona della fede entusiasta e immediata, quasi esaltata.
Ma dobbiamo cercare di armonizzare le due figure.
L'incredulità di Tommaso ci è di grande aiuto, forse più della fede appassionata e senza dubbi di Maria, ma entrambe sono parte del nostro percorso umano, equilibrato dalla Parola di Dio, che ci porta ad evitare le derive del razionalismo rigido e del fideismo fanatico.
"In questa nostra epoca incredula come poche altre, in cui una falsa forma di ragione ha tagliato fuori la nostra cultura dal significato di molto di ciò che è evidente, l'importanza di Tommaso l'incredulo è tale da poter essere eletto a patrono della cultura odierna, contrassegnata dal secolarismo e dal suo relativismo, dal suo concetto ridotto di ragione e dalla sua tendenza al pessimismo come prima risposta di fronte alla realtà" (John Waters).
LA FEDE IN GESU' RISORTO, NELLA CHIESA
Infine, aggiungiamo un appunto.
Si possono dare tante letture dell'incredulità di Tommaso, ma ce n'è una sottile, che vogliamo adottare oggi: Tommaso crede quando è con gli altri, con Pietro, vale a dire nella Chiesa.
Quando è fuori, è solo, non crede, nonostante l'altrui testimonianza.
La comunità gioca un ruolo importante nella liturgia odierna, in relazione alla fede.
La visione di s. Giovanni nella seconda lettura, messa in relazione con il Vangelo, ci riporta al ritmo domenicale delle apparizioni del Signore risorto, e insieme alla riscoperta della realtà dell'assemblea dei credenti come «segno» settimanale della Pasqua, come «luogo» dove più intensamente si vive la risurrezione di Cristo.
Nello stesso tempo, la pagina dell'Apocalisse è una testimonianza vibrante della fede pasquale che animava la Chiesa delle origini, durante la liturgia, facendola crescere e vivere secondo lo Spirito di Colui che è per sempre «il Vivente» (cf Ap 1,18).
Preghiamo perché nessuno di noi resti solo nel cammino della fede, ma possa sperimentare l'aiuto che viene dalla Chiesa, nell'armonia tra fede e ragione, in un cammino di crescita personale e comunitario.
Vangelo: Gv 20,19-31
Commento a cura di Padre Alvise Bellinato
VEDERE PER CREDERE O CREDERE PER VEDERE?
I due verbi sui quali vogliamo focalizzare la nostra attenzione oggi sono vedere e credere.
1. Nel Vangelo prima viene il vedere, poi il credere.
Dice Tommaso: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
La sequenza sembra abbastanza chiara: vedere à credere.
A Tommaso non basta il credere degli apostoli, la loro gioia, la loro certezza. Per lui, è necessario vedere Gesù personalmente, per poter credere.
Gesù, alla fine gli dice: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
In questo primo caso, il più ovvio e comune, potremmo dire che la visione genera la fede.
Tommaso rinasce nella fede grazie all'aver visto Gesù.
2. Nella prima lettura invece prima c'è il credere, poi il vedere.
Si dice negli Atti degli apostoli che nella comunità cristiana delle origini "sempre più venivano aggiunti credenti al Signore". La fede era viva a tal punto che segni e prodigi avvenivano tra il popolo per opera degli apostoli. La gente, vedendo i frutti di questa fede, portava malati e indemoniati, e tutti venivano guariti.
In questo secondo caso, paradossalmente, la sequenza sembrerebbe invertita: credere à vedere.
La fede dei credenti è talmente forte da convertire altre persone, le quali, pur senza vedere Gesù direttamente, ma vedendo i segni e prodigi frutto della fede degli apostoli, si convertono e diventano parte della primitiva comunità cristiana.
In un certo senso potremmo dire che la fede della comunità aiuta a vedere.
La fede rende visibile agli altri il Signore. La fede genera la visione.
3. Nella seconda lettura credere e vedere sono complementari.
Giovanni si definisce "vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza nel credere in Gesù".
Egli viene preso dallo Spirito nel giorno del Signore e vede Gesù, "con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d'oro".
Si tratta di una visione straordinaria, diretta, intensa, descritta nei dettagli.
Qui troviamo una fede già consolidata, purificata dalle tribolazioni, matura. Questa fede, di per sé, non avrebbe bisogno della visone, perché è forte e provata.
Non si può dire che la fede qui generi la visione: è Gesù che decide liberamente di manifestarsi a Giovanni e di farsi vedere. Non come risposta a una mancanza di fede, ma come scelta volontaria, con lo scopo di investirlo di una nuova missione.
Nemmeno si può affermare che la visione generi la fede: Giovanni è credente prima e indipendentemente dal vedere. Avrebbe continuato a credere anche se non avesse visto Gesù in questo modo.
In questo terzo caso visione e fede sono come un circuito: si alternano a vicenda in modo armonioso. L'una rafforza l'altra.
La sequenza risulta: credere ↔ vedere.
Allora potremmo dire che ci sono tre possibilità:
Vedere per credere
Credere per vedere
Credere e vedere.
Nella cultura attuale domina il primo modello, quello di Tommaso. Molta gente dice: "Credo solo a ciò che vedo". Domina una visione positivista ed empirista, in cui l'invisibile, che spesso è la cosa più importante, difficilmente trova spazio. Si crede solo a ciò che è verificabile.
Nel Nuovo Testamento, invece, le due categorie sono invertite: Gesù opera miracoli solamente dove trova la fede. É la fede che consente di vedere le meraviglie di Dio. Più si crede e più si vede. Si accoglie anche ciò che non è verificabile, aprendosi ad una dimensione superiore, con fiducia.
Ma non va bene contrapporre in modo drastico fede e visione empirica: esse possono sussistere simultaneamente e in armonia. «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità». È questo il magnifico incipit dell'enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II che appare ancora oggi di attualità e profondità sorprendenti.
Anche l'enciclica Lumen Fidei, di papa Francesco, ha recentemente ribadito questa armonia innata tra vedere e credere, tra Tommaso e Maria Maddalena.
É vero che San Tommaso apostolo viene spesso rappresentato con la squadra da geometra in mano, quasi ad indicare una fede "more geometrico demonstrata", mentre la Maddalena è l'icona della fede entusiasta e immediata, quasi esaltata.
Ma dobbiamo cercare di armonizzare le due figure.
L'incredulità di Tommaso ci è di grande aiuto, forse più della fede appassionata e senza dubbi di Maria, ma entrambe sono parte del nostro percorso umano, equilibrato dalla Parola di Dio, che ci porta ad evitare le derive del razionalismo rigido e del fideismo fanatico.
"In questa nostra epoca incredula come poche altre, in cui una falsa forma di ragione ha tagliato fuori la nostra cultura dal significato di molto di ciò che è evidente, l'importanza di Tommaso l'incredulo è tale da poter essere eletto a patrono della cultura odierna, contrassegnata dal secolarismo e dal suo relativismo, dal suo concetto ridotto di ragione e dalla sua tendenza al pessimismo come prima risposta di fronte alla realtà" (John Waters).
LA FEDE IN GESU' RISORTO, NELLA CHIESA
Infine, aggiungiamo un appunto.
Si possono dare tante letture dell'incredulità di Tommaso, ma ce n'è una sottile, che vogliamo adottare oggi: Tommaso crede quando è con gli altri, con Pietro, vale a dire nella Chiesa.
Quando è fuori, è solo, non crede, nonostante l'altrui testimonianza.
La comunità gioca un ruolo importante nella liturgia odierna, in relazione alla fede.
La visione di s. Giovanni nella seconda lettura, messa in relazione con il Vangelo, ci riporta al ritmo domenicale delle apparizioni del Signore risorto, e insieme alla riscoperta della realtà dell'assemblea dei credenti come «segno» settimanale della Pasqua, come «luogo» dove più intensamente si vive la risurrezione di Cristo.
Nello stesso tempo, la pagina dell'Apocalisse è una testimonianza vibrante della fede pasquale che animava la Chiesa delle origini, durante la liturgia, facendola crescere e vivere secondo lo Spirito di Colui che è per sempre «il Vivente» (cf Ap 1,18).
Preghiamo perché nessuno di noi resti solo nel cammino della fede, ma possa sperimentare l'aiuto che viene dalla Chiesa, nell'armonia tra fede e ragione, in un cammino di crescita personale e comunitario.
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