Juan J. BARTOLOME sdb Lectio Divina Festa dell'Ascensione del Signore

08 maggio 2016 | 7a Domenica di Pasqua - Anno C | Lectio Divina
Festa dell'Ascensione del Signore (anno C)
Lectio Divina: Lc 24, 46-53
Luca chiude il suo vangelo con una specie di testamento del Signore risuscitato ai suoi discepoli.
Prima di lasciare la terra definitivamente per sedersi vicino a Dio, li lascia ben istruiti: gli spiega l'evento alla luce delle Scritture, gli assegna il mondo come missione per predicare la conversione e rinnova la promessa dello Spirito. Gesù lascia ammaestrati i suoi discepoli e gli lascia quello che dava senso alla loro vita: il suo proprio Spirito e la missione universale. La benedizione di Cristo che si allontana, rende pieno di gioia e di preghiera il tempo dell'attesa. I discepoli non sembrano sentirsi orfani del loro Signore, anche se lo perdono di vista, attendono da lui il dono promesso, il suo Spirito. Vivono con gioia e sanno cosa dovranno fare: rimarranno a Gerusalemme attendendo che arrivi su di loro lo Spirito promesso, per poi partire per il mondo...
L'assenza di Gesù non pesa se si aspetta l'arrivo del suo Spirito; è l'ora della predicazione a tutte le creature. Ci sono alcuni per i quali adoperarsi per Cristo, sarà un motivo per aspettare il suo Spirito. Chi ha lasciato il mondo nelle nostre mani, non ci ha lasciati del tutti soli e neppure senza occupazione.

In quel tempo, 46 Gesù disse ai suoi discepoli,
"Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati la conversione e il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme.
48 Voi siete testimoni di questo. 49 Io invierò quello che il Padre mio ha promesso; restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto".
50 Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. 51 E mentre li benediceva, si separò da loro, salendo verso il cielo. 52 Essi dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; 53 e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
 1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
La narrazione lucana dell'ascensione di Gesù descrive due conseguenze che sorgono, necessarie: la scomparsa fisica di Gesù, dopo essere salito al cielo; la missione dei suoi discepoli, una volta dato a loro il promesso Spirito. Resuscitato, Gesù lasciò orfani i suoi discepoli, ma non oziosi: li lasciò speranzosi. Il tempo che si apre dopo l'ascensione di Gesù è tempo di abbandono e vuoto che si riempie: con la testimonianza come compito, e lo Spirito come viatico.
La versione che Luca presenta è fatta di monologo e narrazione, insiste su tre peculiari affermazioni: 1°. Quello che è successo compie la promessa: la scrittura già annuncia il piano di Dio, che si sta realizzando davanti agli occhi dei discepoli. 2°. Adesso è il tempo della testimonianza, ma manca la forza dall'alto, la missione nascerà quando si farà presente lo Spirito. 3°. Mentre, ed è l'ultima cosa che fa Gesù sulla terra, il Resuscitato benedice quelli che lascia; li lascia benedicendoli e benedicendo Dio. Orfani del loro Signore, i discepoli si sentono bene, ricolmi di gioia, pieni di Dio, traboccanti di benedizioni.
Vivere aspettando la venuta definitiva del Signore, suppone saperlo lontano da noi ed esaltato accanto a Dio.
Perché la comunità cristiana oggi non si sente da lui benedetta e benedicente?
L'investitura come testimonianza è il mandato ultimo di Gesù esaltato, il suo testamento. Il discepolo non può considerare la missione apostolica come libera professione né come progetto personale. Prima di compierla dovranno essere rivestiti dallo Spirito. Gesù non sembra aver fretta di evangelizzare il mondo!
Mentre si aspetta, prima di essere testimoni, bisogna benedire Dio e sapersi benedetti da Lui.
 2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!

Abbiamo tenuto in conto che con l'Ascensione di Gesù stiamo celebrando la sua assenza fisica nel mondo?
Salendo al cielo Gesù culminò il suo cammino sulla terra: dopo aver voluto nascere e crescere come un uomo, dopo aver vissuto con gli uomini e predicato il regno di Dio, dopo aver voluto morire per tutti gli uomini e lasciarsi vedere da alcuni, da lui eletti, Gesù si separò da loro lasciandoli soli nel mondo. Ci dovrebbe sorprendere il fatto che noi cristiani consideriamo una gran festa il giorno in cui Cristo si separò dai suoi discepoli, privandoli della sua compagnia e del suo conforto: cosa c'è di felice in una giornata dove la comunità cristiana perse di vista colui il quale teneva maggiormente e rimase senza di colui che il quale aveva più bisogno, Cristo Gesù? Perché ricordare questo giorno, precisamente oggi, quando la separazione di Gesù dalla nostra terra è un'assenza sentita da oltre duemila anni?
O, non è forse vero che quello che più proviamo in Cristo noi, i suoi discepoli di oggi, è quello di sentirlo di meno? Non è forse vero che quello che i cristiani percepiscono nel nostro mondo di oggi è la sua assenza? Ci sentiamo, e non senza ragione, abbandonati da Dio, del poco interesse che mostra per le nostre cose e per questo nostro mondo. A cosa serve che lui sta in cielo assieme a Dio, quando noi stiamo in questa terra lontano da lui? Senza dubbio sentire l'assenza di Dio nel nostro mondo, soffrire per la sua separazione reale, dovrebbe intristirci. Tutto l'opposto fecero i discepoli che videro scomparire nel cielo Gesù, ma ritornarono a Gerusalemme con grande gioia. Gesù che si allontanò dai suoi benedicendoli, li lasciò benedicendo Dio; questo attutì la loro perdita di vista di Gesù esternando allegria e preghiera.
E' la caratteristica della vita cristiana: sapere un Dio lontano dalla nostra terra senza temere di essere abbandonati da Lui. Dall'inizio della chiesa i discepoli del Risuscitato si sono sentiti soli in questo mondo senza lamentarsi di essere stati abbandonati: i cristiani non tengono un Dio in terra; noi non lo teniamo alla portata delle nostre mani, però lo possiamo raggiungere nel cuore. Sentire la sua mancanza è la forma di ricordarlo con maggiore intensità, quanto più ci fa soffrire la sua lontananza, tanto più desideriamo la sua presenza; se percepiamo la sua assenza, vivremo preparandoci per il suo arrivo; il discepolo sa che non incontrerà nel suo mondo il suo Signore, perché sa che lo ha preceduto in cielo; non dispera di ritornare a vederlo, perché sa che lo sta aspettando nel cielo.
E perché egli è lì intercedendo per noi, possiamo star sicuri di non essere stati abbandonati del tutto. Lasciati da Gesù, egli ci manca molto, ma lo sappiamo accanto a Dio, dove intercede per noi, per i nostri interessi. Se è così, se avvertiremo appieno questo distacco, saremo portati a sentire con maggior forza la mancanza di Cristo nel nostro mondo. Ma il nostro dolore ravviverà il ricordo di lui e affermerà la sicurezza di saperlo accanto a Dio intercedendo per noi. Il cristiano non dispera di incontrarsi un giorno col suo Signore, solo perché Cristo lo ha per poco abbandonato… il cristiano, dunque, che sta solo nel suo mondo e si trova solo davanti ai suoi problemi, sa che non si trova perso, perché non ha perso il suo Signore, se non abbiamo Cristo durante la vita al nostro lato è perché egli sta già vegliando per noi accanto al nostro Dio.
Ritornando accanto a Dio, Gesù non ci ha lasciati orfani, ma ci ha lasciato occupati nel compito di rappresentarlo davanti al mondo, che soffre, anche se non lo ammette, della sua assenza: voi siete i miei testimoni, disse Gesù ai suoi discepoli prima di lasciare la terra. Tenendo i nostri interessi davanti a Dio e assicurandoci che Dio si occupi di questi, Gesù ci ha incaricati che ci facciamo carico degli interessi di Dio nel mondo. Il cristiano, non deve lamentarsi di un'assenza di Dio che non è definitiva, e vivere nel mondo rappresentando gli interessi di Dio. Mentre Dio non ritorna a farsi presente, mentre la sua volontà e il suo regno non sono realtà tra di noi e in noi stessi, noi abbiamo l'obbligo di presentarlo davanti al mondo come i sostituti di Dio: uomini e donne che vivono per ricordare che la lontananza di Dio è solo apparente. Mentre si fa sentire lontano dal nostro mondo, Dio ha bisogno che i credenti lo abbiano presente, vivendo secondo la sua volontà e testimoniando le sue esigenze.
L'assenza di Dio nel nostro mondo è veramente opprimente, ma non perché Cristo Gesù ci ha lasciati, ma perché i suoi discepoli sono lontani da essere suoi testimoni, che contano su di lui, già vicino a Dio, consapevoli che lo abbiamo già nel cielo e che si occupa di noi. Dobbiamo ritornare con fiducia alla missione che ci ha lasciato. Il mondo non lo dimenticherà, la nostra società non dimenticherà Dio se noi ci facciamo carico del compito che ci ha dato: in un mondo dove quello che più si desidera poco importa a Dio, in un mondo dove molto di lui si sta dimenticando. La nostra vita di credenti mostra solitudine, perché non sa scoprire i volti di Dio in quello che ci succede attorno a noi. La nostra incapacità è nell'identificare l'impronta che Dio ha lasciato della sua presenza. Mentre non ci occupiamo di rappresentarlo, ugualmente non ci sentiamo abbandonati e neppure sopportiamo che attorno a noi lo si dia per perso. Non è il tempo di sentirci abbandonati, quando vi sono tante persone da incoraggiare. Non è il momento per aumentare il silenzio su Dio, quando è giunta l'ora di testimoniarlo.
E perché sia maggiormente potenziato il nostro compito, quello di testimoniarlo, ci è stata promessa la forza dall'alto, lo spirito stesso di Gesù. La mancanza fisica di Gesù non presuppone la privazione del suo spirito: chi ha il compito di rappresentarlo nel mondo sentirà anche l'esistenza della sua forza interiore. Per questo poterono sentirsi felici i primi cristiani quando Cristo li lasciò. Lasciò loro una difficile missione e la sua forza interiore. Noi non ci sentiamo nel mondo orfani di Gesù, se possiamo sentire nel nostro cuore la forza del suo spirito.
La gioia di vivere, e una vita occupata nella preghiera, sono i frutti di chi spera nello spirito di Gesù. E noi possiamo attenderlo, perché ce lo ha promesso.
Perciò lo spirito di Gesù è nel suo cuore di chi si trova nel mondo, se occupa i suoi giorni e le sue mani nella testimonianza e nella preghiera. Vivere oggi per ricordare che Cristo non si è assentato dal nostro mondo, che continua ad interessarsi di noi, che sta vicino a Dio, dove più può aiutarci, che vive preparandoci un futuro, perché sta egli stesso per arrivare, è il compito che ci ha lasciato Gesù. Prendere sul serio tutto questo ci aiuterà a superare le nostre difficoltà. Gesù non ci ha lasciati soli, abbiamo un compito da svolgere, abbiamo il suo Spirito e la speranza. E il mondo che ci aspetta, e, anche se non lo dice attende una ragione e la forza per vivere. Lo spirito e la speranza sono le forze che ci ha lasciato il Signore prima di partire. Non perdiamoli.
Juan J. BARTOLOME sdb

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