CARLA SPRINZELES,Pace, "Shalom"

Commento su Isaia 66,1\0-14; Luca 10,1-12.17-20
Carla Sprinzeles  
XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/07/2016)
Vangelo: Lc 10,1-12.17-20 
La misericordia di Dio arriva agli uomini attraverso la testimonianza di coloro che l'hanno conosciuta
nella propria persona.
Noi cristiani siamo per natura missionari: essere discepoli di Gesù, infatti vuol dire mettersi a servizio del regno. Cristo chiama per mandare a portare questo annuncio di speranza.
La missione che il Signore ha affidato ai suoi è proprio quella di diffondere attorno dinamiche nuove di fraternità, di condivisione, di misericordia.
Nella nostra vita sociale ogni cosa è vissuta e interpretata in ordine al proprio interesse, secondo il proprio punto di vista, non c'è mai volontà di andare a fondo.
Noi dobbiamo assumere atteggiamenti opposti, quindi di misericordia, di esercizio di amore anche per le persone che sbagliano, che sono egoiste.
Perché le persone che curano solo il proprio interesse se non vengono amate, se non vedono atteggiamenti di gratuità negli altri, di generosità, non usciranno mai dalla loro condizione.
Dobbiamo educarci a questo, proprio in ordine ai rapporti nelle famiglie, ai rapporti sociali, è così che immettiamo dinamiche nuove nella società.
ISAIA 66, 10-14
La prima lettura è tratta dal libro di Isaia, che nell'ultima parte che si legge oggi è opera di un anonimo profeta che visse nella capitale di Giuda dopo il ritorno dall'esilio babilonese e al quale la tradizione ha attribuito il nome di "Terzo Isaia", in quanto la sua opera vuole rieccheggiare i temi e lo stile del grande profeta che, oltre due secoli prima, aveva cantato la grandezza di Gerusalemme.
Le ultime parole di questo grande libro profetico suonano come un lieto annuncio destinato alla città di Gerusalemme: dopo il tempo del lutto che ha caratterizzato la dura esperienza della distruzione, della deportazione e dell'esilio, essa sarà restaurata e i Giudei dispersi vi potranno ritornare.
La voce narrante esprime un messaggio di gioia, che è motivata da una riconoscenza per essere colmata della grazia del Signore, per essere stata eletta quale madre spirituale che adotta e consola tutti i popoli, anche quelli stranieri per riunirli in un'unica famiglia come farebbe con i propri figli.
Il testo riesce a farci percepire forti sensazioni quando descrive in modo vivo e somatico il tenero rapporto che la madre Sion intrattiene con i suoi figli.
Si tratta dell'atto di nutrire le sue creature, della partecipazione piena della madre alla gioia dei figli che rientrano tra le sue mura, di tenere e amorevoli affettuosità, "portati in braccio e sulle ginocchia accarezzati".
Il popolo è sfiduciato nel ritornare dall'esilio, ma dietro queste affettuose premure materne ci si rivela la presenza del Signore stesso che si prende cura del suo popolo.
Dio stesso si assume l'impegno di fedeltà a questo compito di consolazione per coloro che si affidano a lui!
Accanto a noi vigila un cuore di Padre, che ci consola come una madre consola il figlio suo.
LUCA 10, 1-12. 17-20
Nel testo di Luca che leggiamo, ci viene presentata la "missione" dei 72 discepoli, ne definisce l'origine e la finalità, definisce la responsabilità degli inviati e dei destinatari, ne descrive modalità e metodi. La cifra 72 allude al numero delle nazioni pagane, indica i confini universali della missione: è per tutti!
Inizia con "Pregate il Signore della messe", per indicare che il regista è il Signore.
Ciò che chiede Gesù al missionario, a noi, è portare la Buona notizia: che Dio si è fatto vicino come Padre e Pastore e si prende a cuore la vita di ognuno dei suoi figli.
I discepoli di Cristo sono innanzitutto messaggeri di pace perché, mandati da Gesù, sono come identificati con lui, il Figlio del Padre.
L'unica beatitudine che promette il titolo di "figlio di Dio" è quella di operatori di pace.
Solo Dio può darci la vera pace, "non come la dà il mondo", perché non si tratta di una pace conquistata ma di un dono da accogliere.
Chi crede di poter imporre o realizzare la pace rischia di creare ingiustizie e di generare violenza.
Quanti trattati di pace hanno dato origene a nuove guerre!
Può portare la pace del Padre solo chi già vive nella dimensione del regno, dove la paura e il turbamento sono assorbiti dalla fiducia nell'amore e dalla certezza della presenza del Bene in ogni situazione.
"Shalom" la pace in ebraico, evoca un compimento, un debito pagato.
Ora l'unico vero debito dell'uomo consiste nel giungere alla pienezza della sua somiglianza con il Dio-Amore, mediante l'amore fraterno, capace di fare di tutto per lavorare al bene altrui.
Il portatore di pace è libero di fronte alle dinamiche di questa terra: non ha più nulla che possa suscitare il desiderio del fratello.
Per cui le raccomandazioni del Maestro: "non portate borsa, né bisaccia" sono viatico di "non violenza" e "neanche sandali", perché "deporre il sandalo" su un terreno o su una persona (ad esempio la donna da sposare per suscitare una discendenza al marito defunto) è fare atto di proprietà.
Non si può nemmeno salutare la gente che si incrocia per strada, forse perché si tratta di trasmettere lo Shalom di Cristo e non dei convenevoli che inquinerebbero l'augurio della vera pace. Quando invece il discepolo entra in una casa, nell'intimità di una famiglia, quando cioè la relazione diventa più autentica, allora deve trasmettere lo "Shalom".
Come avverrà? Dio agisce attraverso gli uomini: se ci sarà un "figlio di pace", che vuol dire un operatore di pace, un pacifico, cioè una persona capace di ricevere la pace "non come la dà il mondo", cioè senza compromessi né lusinghe ma in verità, allora tutta la famiglia potrà, attraverso dinamiche innescate da "questo figlio di Dio", uscire dalla dimensione terrena della paura e della violenza per entrare nel regno.
Quando invece una città, una comunità, uno stato, non accoglie la pace di Dio, è segno che preferisce salvare se stessa con la violenza: non può far parte del regno.
Pace, "Shalom", significa l'armonia interiore e l'armonia dei rapporti, fondate, l'una e l'altra sull'accoglienza dell'azione di Dio.
Noi trasmettiamo di Dio quello che accogliamo, ma deve diventare qualità nostra.
Quando per esempio una persona esprime rabbia nei nostri confronti o ci offende o ci umilia e noi riusciamo a vivere questa situazione positivamente, vuol dire che noi armonizziamo le nostre componenti interiori, siamo nella pace. Non eliminiamo gli istinti, ma li assumiamo orientandoli, armonizzandoli con la forza dello Spirito.
Amici, rallegriamoci perché i nostri nomi sono scritti nei cieli, cosa vuol dire?
Vuol dire che ognuno di noi è stato pensato, voluto e amato sin dall'eternità, vuol dire che Qualcuno ci ha disegnato nel palmo delle sue mani, e se noi aderiamo a lui trasmettiamo il suo Amore agli altri.


Fonte:qumran2.net

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