don Alberto Brignoli "Mors et Vita duello"

Mors et Vita duello
don Alberto Brignoli  
X Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/06/2016)
Vangelo: Lc 7,11-17 
"Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello": così canta la Chiesa, da quasi mille anni, il
mattino di Pasqua, per celebrare la Risurrezione di Gesù. E così vive e soffre l'umanità, ogni uomo, ogni donna, da che mondo è mondo, quando morte e vita quotidianamente lottano, ognuna per ritagliarsi il proprio spazio, ognuna per prevalere sull'altra, ognuna per sentirsi e proclamarsi più forte, più signora, più vincitrice dell'altra. A volte prevale vita, molto più spesso pare prevalere morte (forse solo perché fa più rumore); eppure entrambe continuano a camminare, parallele e contemporanee, sulle strade dell'esistenza, della nostra quotidiana esistenza. Ognuna per la propria strada, ognuna per la propria via: ognuna di esse ha il proprio corteo, finché poi, a volte, i due cortei si incontrano, ai bordi di quell'incrocio che è il morire, il momento in cui morte e vita smettono di ignorarsi e - casualmente, o forse no - fanno incrociare i rispettivi cortei, a scapito non più dell'umanità, ma dell'uomo, del singolo uomo e della singola donna. E dal momento che le due signore, Morte e Vita, non possono convivere insieme più di tanto, allora subito inizia il duello: chi ne esce vincente, prosegue il proprio corteo.
Quel giorno, in un villaggio dal nome singolare, Nain, che significa "grazioso", stava accadendo qualcosa che di grazioso aveva davvero ben poco. La morte aveva deciso che da quel piccolo villaggio sarebbe passato, quel giorno, il suo corteo. Un corteo drammatico, tragico, e per di più strafottente, arrogante, cinico: nel villaggio "grazioso", in piena Galilea, nei pressi del monte Tabor dove Gesù si mostrerà in tutta la sua gloria come il Signore della Vita, la morte colpisce al cuore ciò che di più grazioso esiste, la giovane età di un ragazzo, poco più che diciottenne, peraltro già orfano di padre, e per di più senza fratelli. La morte, oltre a colpire lui, avrebbe lasciato una giovane donna completamente sola, senza marito e senza figli, alla mercé di qualsiasi situazione, senza alcun tipo di protezione: questo è ciò che fa la morte quando, cinica e spietata, si abbatte sulle persone senza guardare in faccia a nessuno; e senza rispetto alcuno per chi - come lei - percorre le strade del mondo, passa imperterrita con il suo corteo per portare definitivamente alla tomba, ovvero alla dissoluzione, tutta la graziosità, il fior fiore, la vitalità di quel villaggio.
Quel giorno, però, attraverso quel medesimo villaggio dal nome grazioso, passa un altro corteo, molto meno drammatico, anzi decisamente più festoso: era il corteo di Gesù, che camminava con i suoi discepoli e una grande folla. Proveniva dalla vicina Cafarnao, dove aveva salvato dalla morte imminente il servo di un centurione romano, un pagano, un ateo, uno che secondo i giudei contemporanei di Gesù non poteva salvarsi, ma che secondo lui aveva fede più che tutto Israele. Inutile dire che tutti parlavano di lui e della sua potenza. Anche lui ha un corteo, un corteo di gioia, che annuncia festa, che annuncia vita, e che in pochi istanti si incrocia con il corteo della morte, ed inizia il duello, il duello tra morte e vita.
Questa volta, però, la morte ha capito che non sarà facile, che avrà del filo da torcere, in questo duello: perché stavolta non ha di fronte una donna indifesa, con il suo fanciullo grazioso nel paese grazioso, ha di fronte colui che è grazioso perché è la Grazia in persona, ed è figlio della "Piena di Grazia". La sua Grazia non è estetica, non è qualcosa di "carino": è una Grazia che salva, perché si fa vicinanza al dolore, perché dice alla madre che non è più tempo di piangere, e che deve smettere di farlo, perché ora è il tempo in cui "Dio ha visitato il suo popolo". E che si tratti di Dio, lo si nota dalla "compassione" di Gesù (o meglio, del "Signore", che altri non è se non il Risorto, ed è la prima volta che Luca parla di Gesù in questi termini): la compassione di Gesù verso la madre vedova non è pura misericordia umana, è quello "stravolgimento delle viscere" che l'evangelista usa solo per descrivere i sentimenti di Dio verso la sua creatura debole, e avverrà ancora, nel suo Vangelo, con il Buon Samaritano e il Padre Misericordioso.
Perché è così che la Vita sconfigge la morte: con un amore che va oltre. Oltre la disperazione di una donna che, dopo aver perso il marito, ora perde pure l'unica prospettiva di futuro; oltre quelle vie percorse dall'umanità che solo sanno incamminarsi dietro scie di morte, che si chiamino guerra, terrorismo, profughi annegati o violenza sulle donne, fa lo stesso, sono comunque sentieri di morte; oltre il formalismo della legge, ovvero quella logica dei precetti che impediva a chiunque di toccare un morto, pena l'impurità e l'esclusione dalla comunità. A Gesù non importa assolutamente nulla di essere escluso dalla comunità: tant'è, sa già che morirà "fuori dalla città", come i peggiori malfattori. Lui, quella bara, la vuole toccare; lui, con quel ragazzo e con quella sua storia di morte, vuole entrare in relazione, vuole tornare a parlare con lui, vuole restituirlo all'unica persona che ha diritto di averlo per sé, sua madre; lui, quel corteo di morte lo vuole sconfiggere in duello, perché lui è "il grande profeta sorto tra noi", lui è "il Dio che visita il suo popolo", lui è Signore della Vita, e quindi può dominarla dall'inizio alla fine, e quindi può dominare anche la morte.
Non c'è fama maggiore di questa, da poter diffondere in tutta la regione circostante. Non c'è annuncio più grande di questo: Gesù è il Signore della Vita, la morte non ha più alcun potere su di lui. Nemmeno su di noi.

Fonte:qumran2.net

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