Padre Paolo Berti, “Ma voi chi dite che io sia?”

XII Domenica del tempo ordinario 
Lc.9,18-24
“Ma voi chi dite che io sia?”
Omelia 
Il Vangelo ci presenta le opinioni raccolte dagli apostoli tra la gente circa l’identità di Gesù. Nessuna
di queste opinioni lo definisce il Cristo, il Messia. Tutte lo rapportano ad un profeta passato, ritornato in vita. La ragione di tutto ciò è nella vita di Gesù, nei suoi gesti, nella sua scelta di povertà, nelle sue parole sulla conversione. Si noti che egli non viene interpretato come un nuovo profeta, ma come uno che è già stato. Se fosse stato un nuovo profeta avrebbe potuto portare delle novità da Dio, ma le opinioni riferite affermano, in sostanza, che tutto l’impianto di Israele va bene così com’è, e Gesù propone solo di convertirsi meglio alla Legge. Del Messia, del Cristo, sappiamo quale idea ne aveva Israele. Per Israele doveva essere potente, ricco, a capo di armati per la liberazione da Roma e la conquista di mezzo mondo e oltre.
Pietro professa invece che Gesù è il Messia, è il Cristo di Dio. Andare a dire alla gente questo era prematuro; ci sarebbero stati disordini, reazioni violente prima del tempo. Poi gli apostoli avrebbero annunciato il Messia senza avere capito il suo itinerario, che conduceva alla sofferenza. Gesù presentò subito questo itinerario, come abbiamo ascoltato dal Vangelo, ma un tale discorso non entrò subito nella mente dei discepoli.
La verità è che chi vuole seguire Gesù deve rinnegare se stesso, prendere ogni giorno la propria croce e seguirlo lungo il cammino da lui percorso. Senza rinnegamento di sé e senza vittoria sulla insofferenza, che rigetta le pene quotidiane, non si può seguirlo lungo l’itinerario presentatogli dal Padre.
Di fronte a tanti che riducono Gesù o ad un grande personaggio sul quale è stato costruito un castello religioso capace di inserirsi economicamente nel marketing delle religioni come dice lo stravolto materialista, o a un profeta per il solo popolo ebraico annunciante ciò che dice il Corano, come dicono gli islamici, o ad una reincarnazione di un qualche leader induista o buddista, o a un esoterico occultista, o ad un socialista, noi diciamo, che sappiamo chi è Gesù. Egli è il Figlio di Dio, il Salvatore del genere umano, il Capo della Chiesa, l’unico Mediatore presso il Padre, Il Verbo incarnato, il Rivelatore del volto del Padre, il Testimone dell’amore, il Re del cielo e della terra, il Creatore dell’universo nell’unità di essenza con il Padre e lo Spirito Santo, il Giudice della storia, lo Sposo della Chiesa, la Vittima che ci fa graditi al Padre, la Via al cielo, la Vita che lievita la nostra vita, la Verità che ci libera dalla menzogna e ci rivela Dio, la nostra pace, la Luce che ci permette di cogliere noi stessi, colui che è l’alfa e l’omega, il principio e la fine; colui nel quale la caducità posta dagli uomini nel mondo viene rimossa, colui per il quale i cieli sono per noi aperti, colui che è il Primogenito dei risorti, colui che è l’unica speranza per una terra riconciliata con Dio e con se stessa.
Noi non solo sappiamo chi è Gesù, ma conosciamo Gesù, e lo conosciamo perché lo abbiamo visto nel cuore, nei gesti di coloro che ce lo hanno annunciato, e perché lo Spirito Santo ci ha uniti a lui e abbiamo fatto l’esperienza del suo amore e della sua fedeltà. Noi lo conosciamo perché gli annunciatori di lui ci hanno dato lui nei Sacramenti e nella parola dei Vangeli. Noi lo conosciamo perché crediamo. Noi, nella fede, lo conosciamo.
Il testo del profeta Zaccaria dice che “guarderanno a me, colui che hanno trafitto”, e questo con sguardo interiore di fede e di amore. Tutti noi abbiamo colpito il Signore; la ragione della sua morte è tutta nei nostri peccati, ma ora siamo riconciliati con lui e abbiamo lo Spirito Santo, sicché piangiamo colui che abbiamo crocifisso. Non dico piangiamo i nostri peccati, cosa da farsi, ma colui che abbiamo crocifisso. E’ il pianto di chi è giunto all’amore di compassione, di compartecipazione, che fiorisce dall’amore di fusione. E’ un pianto d’amore, di dolore e di consolazione anche, perché in quel pianto, che non necessariamente ha lacrime, diciamo: “Io ti amo”.
E dire “Ti amo”, è quanto di più bello e gioioso possa uscire dal nostro cuore. “Io ti amo, e ti ringrazio di poterti dire: Io ti amo”. La contemplazione di Gesù Crocifisso diventa nell’amore di compartecipazione, di compassione, un’ immedesimazione delle sue sofferenze; non un’immedesimazione tragica, disperata, sconvolta, ma, appunto, piena d’amore: sapersi amati tanto, perdonati con immisurabile amore, è dolcezza; e amare lui è dovere d’amore; è esprimere la verità più profonda di noi stessi; è gustare la dolcezza del Signore (Cf. Ps 27,4).
“Così nel santuario ti ho contemplato”, dice il salmo. Nel santuario, nella partecipazione all’Eucaristia noi contempliamo la sua potenza e la sua gloria; e affermiamo dal profondo del cuore che il suo amore vale più della vita.
Noi, fratelli e sorelle, “conosciamo Gesù”, e da ciò scaturisce il nostro volerci amare come lui ci ha amato (Gv 15,12). “Noi conosciamo Gesù”, e sappiamo di conoscerlo se osserviamo i suoi comandamenti, che sono comandamenti d’amore; infatti è scritto (1Gv 2,3): “Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti”.
Ma ecco, amici, per vivere il Vangelo dobbiamo rinnegare noi stessi, cioè non dar spazio ai moti dell’amor proprio e del senso. Dobbiamo prendere ogni giorno la nostra croce, cioè non essere degli insofferenti; e poi seguirlo. Allora, seguendolo, avremo le gloriose croci che il mondo mette sulle spalle di coloro che testimoniano Cristo, e allora gli uomini vedranno che noi “conosciamo Gesù”. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.


Fonte:perfettaletizia.it

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