Paolo Curtaz, "Mors et vita duello"

Mors et vita duello
X Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
Colore liturgico: verde
1Re 17,17-24; Sal.29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17
Commento al Vangelo del 5 giugno 2016 - Paolo Curtaz
Questo è uno di quei vangeli che non vorremmo mai leggere.

Specialmente dopo avere gioito e cantato in questo lungo tempo pasquale, in questo gravido anno giubilare in cui ci stiamo riappropriando della misericordia.
E quasi ci siamo convinti, quasi abbiamo convertito il nostro cuore alla consapevolezza che non sono gli eventi tumultuosi della storia, le paure che bussano alla nostra porta, gli egoismi eretti a sistema che marginalizza e schiavizza, ad avere l’ultima parola, ma il Cristo che si erge vittorioso sulle nostre miserie.
E con questo spirito abbiamo accolto lo Spirito, riflettuto su Dio che è danza, preso coscienza dell’immenso dono del pane del cammino.
Bene, ottimo, ci voleva.
Siamo pronti a riprendere la lettura continua del vangelo di Luca, quell’anno ordinario che di ordinario ha ben poco.
Siamo pronti a leggere la più stonata pagina di Luca.
Quella in cui si parla del funerale del figlio unico di una madre vedova.
Che allegria.

Fughe
Il villaggio di Naim ha un nome evocativo, la deliziosa.
Delizioso perché adagiato sulle morbide colline della bassa Galilea, in mezzo a campi fertili e a boschi ombrosi, delizioso perché benedetto da una sorgente d’acqua, perché accarezzato da un clima mite e benevolo. Una situazione ideale, la descrizione della miglior vita possibile.
La vita di molti può essere deliziosa.
Ma anche nella vita più deliziosa esiste un’ombra incombente, una fine sconclusionata, un evento ineludibile: sorella morte. Che quasi mai arriva quando vorremmo e nel mondo in cui vorremmo. Che quasi sempre destabilizza e sconvolge, scuote e spaventa.
E quando sorella morte prende con sé, come in questo caso, un giovane, allora tutto si incupisce, veniamo come risvegliato ad una realtà oscena e incomprensibile, che mette in radicale discussione la nostra idea di Dio. Del Dio di Gesù, perlomeno.
Ma proprio ora, alla fine del canto di Pasqua, possiamo leggere questa pagina senza paura.
Senza dire, come la vedova di Zarepta al profeta Elia:
«Che cosa c’è fra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia colpa e per far morire mio figlio?».
Forse è stato Dio a punirla a causa di un non meglio specificato peccato di gioventù. E Dio, vedendo quel profeta santo, ha preso le distanze e le ha ucciso il figlio. Questo pensa la madre affranta.
Demoni che devastano il cuore. E la fede.

Dalla realtà alla speranza
Luca sintetizza tutto questo in un quadro plastico, una scena che contraddice la delizia del luogo. È l’unico a parlarne senza dare risposte, senza fare troppi ragionamenti.
L’evangelista semplicemente racconta.
Luca parla di Gesù: ha compassione, tocca la salma (contaminandosi), invita il ragazzo ad alzarsi. Cioè a risorgere.
Per la prima volta nel suo vangelo Luca chiama Gesù col titolo Signore, kuryos, il titolo che rimanda a Dio. Gesù dimostra la sua identità donando la vita piena, la vita vera. E il suo sentimento, in greco, è reso da un verbo che Luca riserva a Gesù: una compassione viscerale. Quello della misericordia.
No, Dio non è un indifferente, è il misericordioso, il compassionevole.
Perché la morte, allora?
Non lo dice Luca, né la Bibbia.
Ma annuncia una notizia sconcertante: il ragazzo non solo è rianimato, donato alla madre per qualche anno ancora. È risorto, per sempre vivente, come diventiamo noi discepoli quando accogliamo la vita eterna, cioè la vita dell’Eterno in noi.
Tutta la pagine è impregnata di fede: la vedova, l’umanità dolente, vede il fanciullo risorgere.
Siamo immortali.
No, certo, questo non allevia lo strazio di chi perde un figlio, non scherziamo.
Ma offre un orizzonte infinito, un senso alla vita e alla morte, la vita dell’Eterno che già scorre nelle nostre vene.

Allora
La morte di un figlio.
Come possiamo immaginare un dolore più grande? Una madre vedova che seppellisce il unico figlio. Luca presenta Gesù come l’unico che ridona vita alla nostra quotidianità.
Davanti al miracolo della resurrezione del figlio unico della madre vedova a Naim, davanti al volto di un Dio che non punisce ma si commuove e salva, la folla si lascia andare a questo giudizio entusiasta: Dio visita il suo popolo.
Sì, davvero il Signore è venuto a visitare il suo popolo.
Non capiamo la ragione ultima della morte, tanto meno della morte di un giovane che, ai nostri occhi, appare ingiusta e orribile. Ma il vangelo ci invita a superare lo sconcerto: nonostante ci siano delle cose che non capiamo, Dio è buono e misericordioso.
Ogni volta che compiamo un gesto che ridona vita, la folla si accorge che Dio visita il suo popolo. Ogni volta che come credenti compiamo gesti profetici di luce, rendiamo testimonianza all’azione salvifica di Dio.
Dare vita nelle piccole cose, nel quotidiano, nell’accoglienza dei ragazzi al catechismo, nella preghiera gioiosa e piena di fede, nell’affrontare la vita con onestà e trasparenza, con fede cristallina… tutto ci porta a testimoniare che siamo pieni di vita perché Dio ci ha ridato vita in Gesù Cristo.
Che le nostre comunità, radunate oggi nel proclamare la propria fede, siano continuamente capaci di ridare vita a chi incontrano!
Che il fanciullo che c’è in noi, il giovane che sa sognare e credere e che troppo spesso mortifichiamo, si rialzi.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/









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