JUAN J. BARTOLOME sdb, Lectio Divina:"Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna"?

10 luglio 2016 | 15a Domenica T. Ordinario - Anno C | Lectio Divina
Lectio Divina: Lc 10,25-37
Oggi il Vangelo non ha bisogno di molti commenti. La lezione di Gesù è tanto evidente come lo fu il
giorno che la diede allo scriba. Di facile comprensione; non è stato facile il suo compimento.
In realtà, come pochi brani evangelici, questo chiama ad un cambio di comportamento radicale quanti si credono già sufficientemente buoni, perché pensano di essere buoni solo con Dio. Nello scriba che domanda a Gesù, siamo descritti tutti noi che siamo tanto preoccupati per la nostra salvezza, da non preoccuparci della salvezza - come semplice guarigione - del prossimo. Se oggi qualcosa caratterizza i buoni, è il loro modo di coniugare il proprio interesse personale con Dio con quello per gli uomini: ci preoccupa il non poter vivere vicini a Dio, ma non ci preoccupa il vivere vicini al prossimo. Ci domandiamo come arrivare a Dio e non sappiamo dove abbiamo lasciato il nostro prossimo. Abbiamo paura di allontanarci da Dio del quale abbiamo tanto bisogno, però senza vergogna ci allontaniamo dal prossimo che ha bisogno di noi.
In quel tempo, 25si presentò uno scriba e chiese a Gesù per metterlo alla prova:
"Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna"?
26 Gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Cosa hai letto"?
27 Gli rispose:
"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutto il tuo essere. E il prossimo tuo come te stesso"!|
28 Gli disse; "Ben detto. Fai questo e vivrai".
29 Ma il dottore della legge voleva giustificarsi, e chiese a Gesù: "E chi è il mio prossimo"?
30 Gesù gli disse:
"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, incappò nei briganti che lo spogliarono, lo malmenarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e vistolo, prese una deviazione per evitarlo. 32E così fece un levita, giunto in quel luogo, al vederlo, prese una deviazione e lo evitò. 33 Un Samaritano, che era in viaggio giunse dove si trovava il malcapitato, lo vide e ne ebbe compassione, 334gli andò vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino, e, montandolo sulla propria cavalcatura, lo portò in una locanda e lo fece albergare. 35Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: "Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo renderò al mio ritorno".
36 "Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti"?
37 Gli rispose: "Chi ha avuto compassione di lui".
Gesù gli disse: "Va' e anche tu fai altrettanto".
1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
L'episodio si presenta come una conversazione con due parti ben definite (Lc 10,25-8.29-37); ambedue iniziano con una domanda dello scriba (Cosa devo fare?: Lc 10,28. Fai tu lo stesso; Lc 10,37). Decisivo non è domandare cosa fare, ma fare la volontà di Dio. E chi si avvicina a Gesù, anche se per scontrarsi, conoscerà il volere di Dio. L'incontro dello scriba con Gesù è motivato dal desiderio di sapere come salvarsi. Alla sua domanda, non certo male intenzionata, Gesù approfitta per spiegare il senso del primo comandamento della legge. Chi si avvicina a Gesù sa che deve fare di più, però non sa che fare per ereditare la vita eterna.
La prima parte è una discussione 'scolastica' tra esperti in legge; sopra un tema centrale che si apre per iniziativa dello scriba. Sebbene la sua domanda sembra sincera, il narratore ci rivela che non era bene intenzionato. Chi domanda deve sapere la risposta e il pensiero di Gesù: e di fatto, lo scriba la conosceva bene. Domandandogli perciò che dice la legge a riguardo (Lc 10,25), Gesù obbliga lo scriba a centrare l'attenzione non in quello che può dire, ma alla volontà scritta da Dio. Nella risposta si evidenzia l'obbedienza: ascoltare la parola (e metterla in pratica) lo farà vivere.
Nella seconda parte del dialogo l'iniziativa è di Gesù, benché sia provocato dalla domanda, per niente innocente, dello scriba: sì, ma chi è il mio prossimo? (Lc 10,29), Gesù risponde un po' enigmaticamente, con una 'parabola'. Obbliga così il suo interlocutore a cercare da se stesso -di nuovo- la risposta giusta. Però questa volta non nella Parola scritta, ma in un fatto di vita. Gesù gli fa vedere che non furono prossimi quelli che, per la fretta di servire Dio, non si avvicinarono all'uomo ferito e abbandonato. Prossimo è chi pratica misericordia con chi ne ha bisogno. Conoscerlo obbliga a praticarlo.
 2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!

Una domanda malintenzionata è occasione perché Gesù spieghi il senso del primo comandamento della legge. Certo che è importante conoscere anzitempo quello che riguarda la propria salvezza! Però chi fece la domanda sapeva già la risposta. L'uomo dovette scegliere tra le centinaia di precetti che regolano la vita del giusto, per scegliere i due che veramente importano. E Gesù, che non poté non dargli ragione, lo sfida a mettersi al lavoro: fai quello che dici e vivrai. Ma era proprio nel compromettersi, dove nascevano le difficoltà allo scriba in legge: sa quello che deve fare, amare Dio e il prossimo; però non sa come farlo, perché non sapeva chi era il suo prossimo.
Ci sono domande che non si dovrebbero porre a Gesù, perché le loro risposte sono già rivelate nella Parola di Dio. Eredita il cielo chi ama con totale esclusività Dio, e come se stesso il prossimo. Curiosamente lo scriba, che conosce la legge, non incontra difficoltà nell'amore che deve a Dio, un amore totale, senza crepe, permanente e indiviso...ma deve anche sapere che è il prossimo che deve amare come ama se stesso. Si immagina che può amare Dio come merita di essere amato. Gli sembra facile amare un Dio che esige tutto. Incontra però problemi nell'identificare il prossimo che deve amare come ama se stesso. La difficoltà non sta dunque nell'amare, ma nell'identificare chi amare. Risulta scioccante sapere che chi, come lo scriba, non incontra difficoltà ad amare Dio come lui esige, non sa chi è il prossimo che si deve amare come se stessi. Non potrà amare il prossimo chi non ama Dio con tutto il cuore, con tutta la sua mente, con tutta la sua forza.
La domanda dello scriba fu malintenzionata, non tanto perché in anticipo supera la risposta, ma quanto perché non considerava già dall'inizio il suo prossimo. Pensava che amare Dio fosse più facile che amare il prossimo. Immaginava che poteva conoscere Dio senza sapere dove stava il suo fratello. Credeva di amare un Dio che non è prossimo dell'uomo, mentre si domandava quale era il suo prossimo da amare. Si illudeva che quel Dio gli era familiare, però non vedeva che ogni uomo era il suo prossimo. Dava per scontato quello che non è ovvio in ogni parola, e dimenticava l'evidente. Con la sua domanda lo scriba pensava di liberarsi dell'obbedienza, in realtà condanna se stesso, come tante volte facciamo noi quando ci dichiariamo disposti a servire Dio, mentre neghiamo il servizio a chi veramente ci sta vicino. Servire Dio non significa perciò servirci di Lui, ma servire chi ha bisogno di noi.
E' rovinoso sapere che il problema di quest'uomo, che tanto bene conosceva la legge, era quello di ignorare chi era il suo prossimo; sapeva cosa fare però non conosceva a chi doveva farlo. Questo è sempre è stato il problema del credente: dare a Dio l'amore che gli si deve; ma si deve a maggior ragione amare anche il prossimo. È una difficoltà propria di chi vive studiando per comprendere Dio: a forza di accumulare conoscenze su Dio, disconosce chi è il prossimo, la persona che si deve amare come se stesso; illuso di stare vicino a Dio, si dimentica di porsi al lato del suo prossimo. Come non dare ragione allo scriba quando si domanda se c'è qualcuno, fuori di Dio, che si merita l'amore che noi diamo a Lui? E' logico che Dio possa esigere da noi un amore totale; ma è anche normale che noi non lo riusciamo a dare. Però: chi può sognare di essere amato come ognuno ama se stesso? Chi è poi in realtà il mio prossimo?
E' quello che Gesù risponde con una parabola, aiutando così a identificare il prossimo. La storia che narra Gesù è tanto reale come la vita stessa: Verso un uomo che aveva bisogno di aiuto, tre sconosciuti prendono atteggiamenti diversi: i primi due, uomini di Dio, lo vedono e lo ignorano, disinteressandosi di lui. Il terzo, un disprezzato samaritano, lo vede, ha pietà, si ferma, si avvicina e gli presta aiuto immediato: gli darà il suo tempo, il suo denaro, le sue cure; e quando lo lascia, lo lascerà ben accudito da altri. Dunque, il samaritano, che non è considerato un buon uomo e neppure un buon vicino, è l'unico, tra quelli che passarono lungo il suo cammino, che agisce come il "prossimo" del ferito: solo lui si avvicina al bisognoso e lo aiuta.
Con la narrazione di una parabola Gesù ci aiuta a incontrare la soluzione, senza darcela esplicitamente: prossimo non è un uomo che ci è vicino, ma quello che ha bisogno di noi e al quale noi dobbiamo avvicinarci. E' il mio prossimo chi necessita del mio tempo e del mio aiuto, della mia solidarietà e della mia assistenza; è chiunque mi sta lontano, oppure mi è sconosciuto, straniero, oppure nemico (il samaritano). Il mio prossimo non è prossimo, perché mi è vicino, oppure mi è familiare, ma quello a cui mi devo avvicinare perché è in difficoltà e ha bisogno del mio aiuto. Il precetto dell'amore al prossimo si estende, verso limiti insospettabili, meglio ancora fastidiosi; non solamente perché dobbiamo incaricarci verso chi abbisogna del nostro aiuto, chiunque esso sia; ma soprattutto perché: finché c''è qualcuno che ha bisogno di me non smetterò di amare il mio prossimo come me stesso.
E non è per niente casuale nella parabola che coloro che si dedicavano a servire Dio, girarono alla larga e schivarono il bisognoso. Gesù critica seriamente coloro che per vivere assorti nei loro obblighi verso Dio, girano alla larga di quanti hanno bisogno: nel bisognoso ognuno si incontra vicino al suo prossimo e al suo Dio. Non vi è occupazione più santa e più urgente che curarsi di Dio, del quale tanto abbiamo bisogno e curarci del prossimo che tanto ha bisogno di noi.
Ci sarebbe da aggiustare, in più, il carico critico della narrazione di Gesù: gli uomini che meno si interessarono al prossimo, furono quelli più interessati verso Dio; credenti che vivevano, sinceramente per il culto verso Dio, non coltivarono la fraternità col bisognoso: Uomini di Dio, non furono però buoni uomini. Erano vicini sempre a Dio, ma non arrivarono ad avvicinarsi all'uomo che incontrarono lungo il cammino. Occupati a servire Dio, non trovarono tempo e neppure il desiderio di occuparsi di chi chiedeva il loro aiuto. Tutta la loro vita era dedicata a Dio, e per questo tralasciarono di dedicarsi almeno alcune ore al loro prossimo. Consacrati a un Dio che non aveva bisogno di nulla, pensavano di non potersi impegnare con chi cercava il loro aiuto.
L'insegnamento è chiaro, e lo scriba lo capì facilmente. Il prossimo non è chi sta vicino a noi e che possiamo accudire facilmente quando ha bisogno di aiuto; il prossimo è quello che, bisognoso, chiede il nostro aiuto, solidarietà, compagnia e compassione e perciò ci invita a correre in suo aiuto. Il prossimo che dobbiamo amare non è quello che conosciamo da sempre, quello con il quale conviviamo, e del quale ci sono familiari i suoi gusti e i suoi difetti; il prossimo che dobbiamo amare è quello a cui ci dobbiamo avvicinare perché ci apre alle sue difficoltà; è quello che ci confida tutto ciò che vive, che dipende dagli altri per poter vivere o curarsi. Questo è il nostro prossimo; questa è la persona che dobbiamo amare come noi stessi.
Non bisogna avere molta immaginazione per vedere qui riflesso il nostro comportamento; andiamo cercando Dio per tutta la vita e ignoriamo il prossimo bisognoso, che è il volto autentico del Dio che cerchiamo; bisognosi come siamo di Dio, non teniamo conto di quanti hanno bisogno di noi. Continuiamo coltivando una vita di fede e rimaniamo insensibili al prossimo; desideriamo ottenere da Dio un amore e la Sua misericordia, ma non siamo disposti a darli a chi li chiede a noi; camminiamo verso Dio, anelando il suo apprezzamento, ma disprezzando quanti incontriamo sul nostro cammino.
Gesù ha insegnato chi è il prossimo da amare ad uno scriba, lo ha fatto per la sua salvezza.
Dio occorre amarlo con tutto quello che siamo e abbiamo. Dobbiamo amarlo anche riconoscendolo nel prossimo, solamente come uno ama se stesso. Non sono due amori identici; però il secondo è la prova del primo. Chi vede un prossimo bisognoso e non si avvicina, gli gira alla larga, non ama se stesso, e neppure ama Dio come dovrebbe. Gesù ci ricorda oggi che non c'è vero amore verso Dio, né culto autentico, senza un amore concreto verso il bisognoso che incontriamo. Gesù ci insegna che l'amore verso il prossimo, sia verso quello a cui mi avvicino, perché dipende da me, che a quello lontano a cui mi devo avvicinare per aiutarlo nei suoi bisogni, va concretizzato e non permette nessuna scusante: farci prossimo di chi ha bisogno di noi è compiere la legge. Fai questo e vivrai.
Juan J. BARTOLOME sdb
   Fonte:  www.donbosco-torino.it

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