CARLA SPRINZELES,"Siate pronti, siate svegli, ci dice il Signore. Che cosa significa?"


Commento su Sapienza 18,6-9; Luca 12,32-48
Carla Sprinzeles  
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/08/2016)
Vangelo: Lc 12,32-48 
Molte volte abbiamo paragonato la nostra vita, alla vita intrauterina nel grembo della madre, il nostro
atteggiamento dev'essere quello dell'attesa, non di un'attesa passiva, ma proprio come una madre attenta a ciò che succede e sempre pronta a essere nelle migliori condizioni a favore del nuovo nascituro.
L'incontro con Dio, richiede l'atteggiamento più umile: la pazienza dell'attesa.
Così erano invitati a essere anche i figli di Israele, dei quali ci parla la prima lettura, nel ricordo della liberazione d'Egitto: sono invitati a mantenere desta la fede nelle promesse di Dio su cui si fonda la loro sicurezza.
SAPIENZA 18, 6-9
Il testo della prima lettura è tratto dal libro della Sapienza.
Presenta la liberazione dall'Egitto come una iniziativa personale del Signore.
E' lui che ha guidato Israele alla libertà e ha contrassegnato la sua presenza in quella notte con due singolari manifestazioni: la "colonna di fuoco" ripetutamente menzionata nei testi dell'Esodo, che costituì nelle ore notturne una luce potente capace di squarciare le tenebre e diventare "guida di un viaggio sconosciuto"; la nube - qui poeticamente indicata come "un sole inoffensivo" - che proteggeva il popolo in cammino dai morsi infuocati del sole.
L'intervento del Signore ha provocato due esiti contrapposti: da un lato "la rovina dei nemici", cioè la morte per l'Egitto con la terribile strage dei primogeniti e lo sprofondamento nelle acque del mare; dall'altro la "salvezza dei giusti" non nel senso morale ma inteso come coloro ai quali è stata promessa da Dio la salvezza. Oggi sappiamo che non è riservata a un popolo solo, ma è universale.
In quel contesto fu celebrata la prima Pasqua: il testo la propone a tre generazioni.
La prima generazione è quella dei patriarchi ai quali "quella notte" era stata "preannunciata" attraverso i "giuramenti" perché credendo ad essi "avessero coraggio".
La seconda è costituita dalla generazione di israeliti che hanno vissuto l'ultima fase del soggiorno in Egitto, dichiarati"giusti", una qualifica che appare un po' strana se si pensa che le tradizioni del Pentateuco, danno un giudizio piuttosto negativo su Israele al tempo della liberazione dall'Egitto, ma che perfettamente in sintonia con la tradizione sapienzale.
Viene ricordato come questa generazione prese parte alla celebrazione pasquale - compiuta "in segreto" nelle proprie case durante la notte della partenza - obbligandosi ad accettare il dono divino dell'alleanza, a osservare la Legge, a condividere "beni e pericoli" del cammino.
Poi c'è la generazione dell'autore del libro della Sapienza "glorificasti noi, chiamandoci a te": essa può prendere parte all'evento e viverlo spiritualmente attraverso il memoriale liturgico, dove la storia passata diventa storia e esperienza presente.
L'evento della liberazione infatti non solo è rielaborato dalla fede israelitica in numerosi libri dell'Antico Testamento, ma costituisce l'oggetto di un perenne memoriale e di rendimento di grazie nei ricorrenti riti e feste liturgiche.
Nella liturgia e nei libri sacri il popolo di Israele viene esortato incessantemente a confidare con la medesima saldezza dei padri, protagonisti dell'Esodo, nel Dio che mantiene la parola data.
LUCA 12, 32-48
Siate pronti, siate svegli, ci dice il Signore. Che cosa significa?
Sgombrarci da ciò che ci appesantisce: "vendere ciò che abbiamo", cioè condividere.
La paura di mancare ci spinge ad accumulare cose inutili; perché non "venderle", darle a chi ne ha più bisogno di noi?
"Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto darvi il suo regno".
La nostra società ci addormenta con i suoi beni da acquistare e da consumare e, quando siamo ricolmi di cose, dobbiamo salvaguardare ciò che possediamo, avere sempre di più, sempre meglio.
Sorge allora la violenza per guadagnare più del collega, per difendere ciò che continuiamo a chiamare "beni", mentre ci addormentano e ci avvelenano il cuore.
Nell'ingordigia dei beni di consumo il servo comincia a percuotere i servi, a mangiare, a bere e a ubriacarsi di attivismo, di sogni, di prepotenza.
La saggezza monastica dice invece che tutto ciò che non è necessario è inutile.
Come uno che digiuna è più leggero e ha meno bisogno di dormire, un cuore che non ha troppo da pensare per difendere o aumentare i suoi possessi è più libero per amare, relazionarsi, trovare la felicità, entrare nel regno.
Perché Gesù ci chiede di vendere tutto e di condividere il ricavato?
Per proteggere la nostra libertà, per poterci mettere "a capo dei suoi averi", che sono la pace, la gioia, l'amore del Padre, la misericordia del suo Spirito.
Il possesso è il contrario del "coltivare e custodire l'Eden", che il Creatore aveva affidato all'uomo, perché ognuno potesse avere quello che gli occorreva.
Dov'è il nostro tesoro?
Nell'apparenza, che morirà con noi o nella gioia dello stare bene insieme?
I beni materiali assopiscono l'attenzione all'interiorità.
"Essere pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese" significa restare svegli al bisogno del prossimo, attenti alla voce interiore che suggerisce dove sta il vero bene.
Tenere la lucerna accesa è vedere chiaramente come comportarsi per obbedire alla vita che non muore, è riferirsi costantemente alle parole del Maestro per essere pronti a esprimere la sua presenza in ogni evento.
Il simbolo della cintura poi, che nell'antichità stringeva il lungo vestito in modo da poter lavorare i campi, esprime l'attività costante a servizio del Bene, come il Padre "che opera sempre" per guarire, perdonare, dare vita.
Ricco per il mondo è colui che nuota nella sua ricchezza, ricco per Dio è colui che è aperto alla fiducia che conduce a Dio e condivide i suoi beni con gli altri.
Ricco è chi è libero dai vincoli dell'avere, del possedere.
Il tesoro sul quale si fonda e arricchisce l'esistenza è la fiducia, la sicurezza della presenza di Dio, che è Padre che si prende cura di lui.
L'errore fondamentale per il cristiano è pensare che "il padrone tarda a venire".
Il problema oggi è l'indifferenza dilagante nei confronti del parto della nostra identità di figli di Dio, non avviene da solo, si può anche abortire...non dobbiamo costruirla noi, ma essere attenti vigili al soffio dello Spirito che ci conduce, liberamente a partorire l'immagine di Dio in noi!
Dio è presentato come un Signore che serve "passerà a servirli", infatti Gesù si è incarnato, si è donato, si è presentato come colui che serve!
Amici, non dobbiamo affannarci troppo, ma essere attenti allo Spirito, essere svegli, consapevoli, non lasciarci addormentare dai beni materiali, essere attenti ai bisogni del nostro prossimo e metterci a servire come ha fatto Gesù.

Fonte:qumran2.net

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