DON PaoloScquizzato, " Essere pronti, attendere, aprire, stare svegli, agire…"

OMELIA 19a Domenica. Tempo Ordinario. Anno C
«32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”.
41Allora Pietro disse: “Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?”. 42Il Signore rispose: “Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» Lc 12, 32-48
Siamo tutti amministratori della nostra vita (cfr. v. 42). La domanda di fondo sarà dunque: come trafficare, gestire gli anni a nostra disposizione?
Il Vangelo di questa domenica è un forte invito all’attenzione, ossia fare in modo che il nostro ‘capitale umano’, non venga dissolto nel nulla ma giunga a suo pieno compimento. I verbi che ricorrono con insistenza hanno infatti tutti a che fare con una vita attenta, non distratta: essere pronti, attendere, aprire, stare svegli, agire…
Si può amministrare la vita accumulando il grano – ossia l’essenziale – (Vangelo di domenica scorsa), ed è il modo migliore per sperimentare il fallimento; oppure si può amministrare donando la vita per far vivere i fratelli, in una parola: condividendo.
«Beato [felice] quel servo, che il padrone, arrivando, troverà ad agire così» (v. 43). Così come? Intento a donare il grano che fa vivere i fratelli. Se ci scopriremo intenti a far felici gli altri, allora la nostra felicità diverrà piena. A quel punto Dio ci porrà a capo di tutti i suoi averi! (v. 44). Ma quale potrà essere l’avere di Dio? Dio forse possiede qualcosa? Nulla, se non se stesso, per cui ciò che ci donerà sarà niente meno che se stesso, ovvero diventeremo come lui!
Condividere ci trasforma in Dio.
L’uomo che vive di ‘possesso’, incentrato cioè in una logica egoistica autodistruttiva, conoscerà una vita declinata nel: picchiare, mangiare, bere, stordirsi (cfr. v. 45). Il testo a questo punto afferma: «Il padrone di quel servo […] lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli». La traduzione letterale sarebbe: «Il padrone di quel servo […] lo dividerà in due». Cosa vuole dirci Luca con questa immagine? Semplicemente che chi vive tutto incentrato su di sé, è un ‘diviso’ in due, sperimenta una vita frantumata, lacerata da preoccupazioni e divisioni; da una parte desidera con tutto se stesso la felicità, dall’altra opta solo per strategie fallimentari.
Non è Dio che divide, frantuma, spezza ovviamente, ma è l’uomo che va ‘spezzandosi’ attraverso la sua libertà malata.
La nostra vera libertà scaturirà solo dalla nostra verità, e la verità dell’uomo è uscire da sé in un atto di cura all’altro.
«Dire ‘io’, significa dire ‘eccomi’» (E. Lévinas).
Libertà e verità fanno dell’uomo un essere responsabile, soggetto che risponde al fratello e dunque a Dio: «A chi fu dato molto, molto sarà richiesto» (v. 48b).
Tutto questo si chiama vita eucaristica: «Tutto è grazia» (G. Bernanos), tutto è dono, ma perché questo diventi vita occorre ridonarlo, perché ciò che è trattenuto marcisce (cfr. la manna nel deserto dell’esodo!).
Ciò che Dio ci richiederà dopo essersi donato a noi, non sarà mai qualcosa per sé, ma per la vita dei fratelli: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt, 25, 40).

Fonte:paoloscquizzato.it

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