Padre Paolo Berti, “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre…”

XXIII Domenica del tempo ordinario     
Lc.14,25-33
“Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre…”
 Omelia 

Sappiamo che la coscienza ci dice ciò che è bene e ciò che è male, e che essa è resa certa nelle
difficoltà del discernimento dalla parola di Dio e dai pronunciamenti della Chiesa, ma anche con ciò a volte si trova a dover decidere quello che è bene o male in un caso complesso. Non è però che in casi singolari siamo senza risorse necessarie poiché abbiamo, oltre il consiglio dei sacerdoti e dei fratelli in Cristo, anche il dono della sapienza, che è luce per comprendere. San Giovanni, nella sua prima lettera (2,27), ci dice che l'unzione dello Spirito Santo istruisce coloro che sono fedeli a Cristo, ovviamente nella comunione ecclesiale.
“La tenda d’argilla”, cioè il nostro corpo corruttibile, che con la sue voci suadenti inclina la nostra mente a girare e rigirare sulle cose che si toccano, sulle sensazioni, sulle emozioni, non regna ineluttabilmente su di noi, poiché la coscienza, per di più formata dalla parola di Dio spiegata dal Magistero e stimolata dalla grazia, non cessa mai di mandare i suoi segnali. “Se qualcuno fra gli uomini fosse perfetto, privo della sapienza che viene da te, sarebbe stimato un nulla” (9,6), riconosce il libro della Sapienza poche righe sopra il brano che abbiamo letto. E queste parole sono importanti, poiché dicono che l'essere intelligenti (perfetto fra gli uomini) non coincide con l'essere sapienti, e sapienti si diventa accogliendo la sapienza che viene dall'alto.
Occorre quindi all’uomo il dono della sapienza. Il re, che nel testo invoca la sapienza, intendeva invocare luce per il suo comportamento, ma guardando al futuro re, che doveva venire, cioè il discendente di Davide, Signore di Davide (Ps 109/110,1). Il re che invoca la sapienza, non conosceva i tratti precisi del futuro re, eppure sapeva che sarebbe stato re di giustizia e di pace, e su di lui doveva modellarsi per essere sapiente. Chi è questo re di Israele che prega? E' Salomone, benché il libro della Sapienza sia stato scritto negli ultimi decenni del primo secolo a.C. La preghiera di Salomone è modellata su quella riportata nel primo libro dei Re (3,6-9).
Dice ancora il testo (9,18): “Gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza”. Parole queste che ci portano a Cristo, che è la Sapienza, poiché Cristo è la rivelazione di Dio, l'esempio di come si ama. Cristo è la guida delle nostre azioni, guardando a lui sappiamo come comportarci;. Ma per vivere Cristo, occorre essere aperti allo Spirito, poiché è lo Spirito che ci illumina Cristo (1Cor 2,16). Dunque, nelle difficoltà dei casi di difficile soluzione non siamo mai sguarniti.
Il dono della sapienza, uno dei sette doni dello Spirito Santo insieme all'intelletto, al consiglio, alla fortezza, alla scienza, alla pietà, al timor di Dio, è quello che ci fa gustare, con impeto d'amore, la dolcezza, il vigore, la luce, degli infiniti tesori racchiusi in Cristo.
Per la retta ragione, è chiaro che Dio va amato più della madre e del padre, della moglie o del marito, del figlio o della figlia, tuttavia gli uomini falliscono spesso questa grande verità. Gesù pone con forza questa verità, ma coniugando strettamente amore verso Dio e amore verso il prossimo. Avevano bisogno di sentirla i Farisei questa parola di Gesù, poiché essi dicevano di amare Dio, poiché Dio va amato al di sopra di tutto, ma poi trascuravano il comandamento d'amore verso il padre e la madre e il prossimo. Altri invece amavano il padre e la madre, o il figlio o la figlia, più di Dio. In entrambi i casi non si amava veramente né Dio, né i propri cari, poiché Dio non si può amare se non si ama il prossimo da lui amato. E chi ama il prossimo senza rapportarlo a Dio, misconosce che egli è creatura fatta ad immagine e somiglianza di Dio, e perciò non lo ama, poiché non riconosce in lui la sua identità prima e più profonda. L'amore a Dio e al prossimo, non sono scindibili. Gesù è il modello, l'esempio, dove noi troviamo coniugato in modo assolutamente perfetto l'amore verso Dio e verso il prossimo. E' in lui, nel dono dell'amore infuso in noi dallo Spirito Santo, che noi possiamo coniugare l'amore a Dio e ai fratelli.
L'esperienza ci dice che non è facile stabilire nelle relazioni umane il primato di Dio, e non venir meno all'amore per il prossimo. Anzi bisogna dire che senza Cristo si arriva o ad amare Dio e non la creatura, o ad amare la creatura e non Dio.
Cosa abbiamo fatto quando abbiamo cominciato a credere in Cristo, a partecipare all’assemblea Eucaristica? Parlo a persone di oggi, che spesso non hanno avuto alle spalle una famiglia autenticamente cristiana. Abbiamo dovuto sostenere una battaglia, una lotta in famiglia, la quale voleva riassorbirci nello stato di prima, quando non credevamo. E’ successo che non ci intendevamo più. Il nostro pensiero era diventato diverso da quello dei nostri familiari e i nostri familiari allarmati hanno cominciato a mettere in campo il peso dei loro affetti. Ad esempio un marito che ha cominciato a frequentare l'Eucaristia, potrebbe sentirsi dire dalla moglie che si sente trascurata, che da quando va in chiesa non è più lui; che l’affetto e le attenzioni di prima non sono più le stesse. Cosa deve fare questo marito? Deve amare la moglie, ma nello stesso tempo odiarla, se vogliamo usare il crudo termine originale del testo evangelico, che ovviamente non significa l'odio, ma una resistenza di fronte ai suoi tentativi di riassorbire il marito nell'egoistico quadro di prima. Così una fidanzata che comincia a praticare la vita cristiana si trova di fronte alle lamentele del fidanzato, il quale le dice che non è più la stessa, che i preti le hanno messo in testa delle idee assurde. La ragazza che ama il fidanzato deve resistergli, e cioè odiarlo senza odiarlo, per non essere riassorbita nella situazione precedente e per poter sperare che il loro rapporto diventi nuovo. Gli attacchi giungono ad usare anche gli affetti come forza di coercizione: “Tu dici di volermi bene, ma intanto non fai che trascurarmi!”. Addirittura si può arrivare a formulare il rimprovero: “Tu ami Dio più di me!”. Credete che non sia accaduto? E' accaduto e accade. Il fidanzato vuole la prova d'amore, e sappiamo di che cosa si tratta, e dunque vuole che la ragazza ami più lui di Dio. Ma non finisce qui perché le ingiunge di non dirlo a nessun prete in confessione o fuori confessione. Ecco allora che trova significato quell'odiare, cioè quel resistere con forza, di cui il testo originale parla. E quell'odiare vale anche per la propria vita; bisogna resistere spesso alle voci suadenti della vita, massimamente nel momento del martirio. Così, infatti, si legge nel libro dell'Apocalisse (12,11): “E non hanno amato la loro vita fino a morire”. Perfino la propria vita non va amata più del Signore. Se di fronte a noi, infatti, si creasse una situazione nella quale solo rinnegando Cristo potremmo aver salva la vita, non dobbiamo esitare, con l’aiuto di Dio, senza del quale nulla possiamo, a fare la scelta. Dobbiamo scegliere il primo valore, l’eterno valore, Dio. Questa è la sapienza che Cristo ci ha portato.
Il Signore veramente rivoluziona tutte le nostre prospettive dicendoci anche che dobbiamo rinunciare a tutti i nostri averi se vogliamo essere suoi discepoli. Rinunciare non vuol dire non averli, ma vuol dire che essi non ci possono condizionare in alcun modo nel seguire il Maestro. A volte però si deve rinunciare ad averli per seguire Gesù.
Consideriamo il caso dell’eredità che spetta ad un figlio, e pensiamo a san Francesco minacciato dal padre di essere diseredato se continuava a vivere come stava vivendo. Francesco non stette a pensarci molto, e rinunciò all’eredità.
Non bisogna temere mai quando si tratta di seguire Gesù. Se seguiamo Gesù ne verrà del bene anche per coloro che ora ci fanno soffrire dicendoci che non li amiamo, che la fede che abbiamo abbracciata è contro la vita, gli affetti, l’amore.
Non solo le relazioni affettive familiari vengono mutate, ma anche quelle sociali. La lettera a Filemone ce ne presenta un grande esempio. Lo schiavo ha lasciato il suo padrone e poi ha trovato rifugio presso Paolo ricevendo l'annuncio del Vangelo. Paolo lo ha trattenuto un po’ per formarlo alla vita in Cristo e poi lo ha rimandato al suo padrone, nella prospettiva che venga accolto non più come schiavo, pur rimanendo formalmente tale, ma come un fratello in Cristo.
Chiaro! Il mondo cambia dall’interno, a partire dai cuori. E’ questa la linea di Gesù. E' l’amore che cambierà il mondo!
Noi crediamo che sia magari un pacchetto di riforme a cambiare le cose; che sia una nuova legge elettorale, un nuovo assetto dello Stato a dare novità alle situazioni. Non voglio negare che nuove istituzioni possano migliorare le cose, ma dico che se non ci sono uomini nuovi tutto rimane vecchio, sempre più vecchio.
Tolto Cristo, l’uomo rimane preda della pesantezza della carne. Sì, tecnologicamente, materialmente, l’uomo ha fatto grandi passi in avanti, ma moralmente sta tornando alle epoche più buie, anzi è pronto a sorpassare il buio di quelle epoche, proprio perché rifiuta coscientemente, sistematicamente, Cristo. L’illuminismo, il razionalismo, che hanno accusato la Chiesa di oscurantismo, si rivelano sempre più per quello che sono: portatori di buio sempre più buio.
Dio, fratelli e sorelle, è luce, e non è mai dolore. Dio è Amore, e quindi pace, gioia, conforto, luce, calore, vita, anche in mezzo alle sofferenze. Non dimentichiamolo mai, Dio non è dolore.
Ma guardiamo ad una famiglia serena. Come è bella una famiglia in cui ognuno aiuta l’altro a crescere in Cristo. E come è bella quella società dove non c’è frattura tra fede e vita.
Io credo che non esistono nel mondo problemi sociali in primo luogo, ma che esistono problemi teologali in primo luogo. La radice di tutte le ingiustizia sta proprio nel non amare Dio.
E dunque invochiamo il Signore con il salmo perché ci dia giorni di pace, quella vera, quella che scaturisce dall’amore a Dio Amore.
“Saziaci al mattino con il tuo amore: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: rendi salda per noi l'opera delle nostre mani, l'opera delle nostre mani rendi salda”. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Fonte:http://www.perfettaletizia.it/

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