Paolo Curtaz, "Liberi e pronti"

Liberi e pronti
Commento al Vangelo di domenica 7 agosto 2016 - Paolo Curtaz
Non temere piccolo gregge!
La Parola forte e rassicurante di Gesù, in questa domenica, ci raggiunge nella nostra estate infuocata
ed insanguinata, colma di tensione e di un flusso di immagini che, ormai, ci giungono senza interruzione, alimentando in noi un senso di spaesamento e di ansia e che ci spingono, paradossalmente, a disconnetterci della realtà per poter sopravvivere.

Non temere piccolo gregge!
Sì, siamo un piccolo gregge, siamo pochi, ma scegliamo di avere un pastore solo, il pastore bello che sa dove condurci, che, diversamente dai mercenari, è interessato a noi per ciò che siamo.
La fiducia nasce dall’esperienza: abbiamo conosciuto quanto il Signore Gesù ci ama.
Sappiamo che ha dato la vita per noi.
Non dobbiamo temere perché al Padre è piaciuto donarci il Regno.
Ci è stato regalato, donato, senza condizioni, gratuitamente.
Il Regno è là dove Dio regna, là dove dimora la sua presenza di luce e di pace.
Ma per accorgerci della sua presenza, per non lasciarci travolgere dalla paura, per scoprire davvero che il Regno è in mezzo a noi, è già qui, dobbiamo vivere da persone libere e dobbiamo vegliare.

Buoni amministratori
Facciamoci due conti in tasca, serenamente e seriamente.
Guardiamo per cosa vale la pena di vivere, dove stiamo investendo tempo ed energia, risorse e qualità, nella nostra vita. Se il vangelo è solo un’appendice (sana e santa) all’interno della nostra quotidianità o se, invece, ha cambiato il nostro modo di vedere.
Il tempo che stiamo vivendo è un tempo di mezzo, nell’attesa che il Signore della gloria torni.
A noi, qui e ora, Dio affida la gestione del Regno, per renderlo presente, per vivere come figli di Dio. Le nostre comunità, allora, diventano succursali del Regno.
Anche se non siamo capaci, anche se non siamo degni, anche se zoppichiamo.
Estote parati
State pronti, ammonisce Gesù.
Pronti a viaggiare, pronti a mettere in discussione ogni risultato, ogni certezza, tanto più se derivante dalla fede e dalla religiosità. Se abbiamo capito che il nostro cuore è fatto per l’infinito e l’infinito cerchiamo, stiamo pronti a cercare all’infinito.
È il salubre atteggiamento del discepolo, la consapevolezza del “già e non ancora”.
Già conosco Dio, eppure non lo possiedo ancora.
Già ho vissuto una splendida esperienza affettiva, eppure so che nessun amore colma il mio cuore definitivamente.
Già ho scoperto, alla luce del Vangelo, quanta grazia e luce interiore ricolmano il mio cuore, ma ancora vivo momenti di sconforto e di buio.
Già ho capito chi sono, ma ancora non so chi sarò.
Una tensione sana, bella, che ci conduce all’essenziale, che ci stacca dalla pesantezza della quotidianità, che ci restituisce al realismo.
State pronti, ci chiede il Maestro. E noi vegliamo nella notte.
Quanta fede ci chiedi, Signore!

Nomadi
Come Israele, le cui gesta, enfatizzate e mitizzate, abbiamo letto nella prima lettura, anche noi siamo chiamati ad uscire dalla schiavitù, da ogni schiavitù, per imparare, nel deserto, a fidarci di Dio. Schiavi dell’idea che abbiamo di noi stessi, schiavi e preoccupati dell’immagine che dobbiamo restituire agli altri, schiavi dei finti bisogni che la pubblicità ci suscita, possiamo riscoprire, alla luce della parola, che o l’uomo è cercatore o non è, o l’uomo è mendicante o non è. o l’uomo è in cammino interiore o non è.
Che la vita, che ogni vita. È progressiva liberazione interiore.
Quanta fede ci chiedi, Signore!

Come Abramo
Abramo ascolta la sua voce interiore. Non è un giovane preso da deliri mistici: è un uomo realizzato, non travolto da impetuose passioni. Egli è l’uomo provato dalla vita, disilluso e che – pure – sente un appello irrefrenabile all’interiorità. Vai, sente nel cuore, Vai a te stesso.
Folle Abramo che lascerà ogni certezza e ruolo sociale per seguire un istinto interiore, per ritrovare se stesso! E questo suo gesto sarà immensamente fecondo: egli è il padre di tutti i cercatori di Dio.
Vai a te stesso, amico lettore, scopriti viandante, sul serio.
Anche se pensi di avere vissuto a sufficienza, o troppo sofferto, o fatto le tue scelte.
Siamo tutti straordinariamente liberi, resi capaci di iniziare percorsi nuovi anche quando tutto sembra deciso, sbagliato, irremovibile.
Vai a te stesso.

L’Attesa
La vita, allora, diventa inquieta attesa, l’attesa del ritorno, l’attesa dell’incontro del padrone che torna dalle nozze.
Attesa: la mia vita, la tua vita è attesa.
Di un senso, del superamento del tuo dolore, della chiave per capire la tua vita, di una persona da amare, di un figlio da stringere e baciare, di un mondo migliore, della luce infinita che illumini le tue paure, di Dio.
Attesa.
L’uomo è l’unico essere vivente capace di attendere, di vegliare, di insistere, di credere.
Nella notte, spesso, nel lungo e corposo silenzio della notte, sentiamo crescere la nostra fede, abbandonarsi il nostro cuore, capiamo cosa ci è essenziale. Nella notte, come le sentinelle che aspettano l’aurora, diventiamo dei credenti, dei discepoli. Quando le ginocchia vacillano, quando la fatica è tanta, quando ci sembra di non farcela ad attendere, quando la disperazione fa pressione alla porta del cuore, possiamo guardare ai testimoni, guardare ai padri della fede, ai tanti, tantissimi che hanno, come noi creduto nella notte, e visto la luce, infine.
La fede è questo misterioso già e non ancora, questo silenzio assordante, questa notte luminosa. Vegliamo, dunque.

Fonte:Ti racconto la Parola"



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