Monsignor Francesco Follo Lectio Divina" La gioia della Misericordia"

La gioia della Misericordia
XXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 11 settembre 2016
Rito Romano
Es 32,7-11.13-14; Sal 50; 1Tm 1,12-17; Lc 15,1-32
Rito Ambrosiano
Is 5,1-7; Sal 79; Gal 2,15-20; Mt 21,28-32
II Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
1) La logica della misericordia.
Il motivo, per cui Gesù racconta le tre parabole proposte dalla liturgia della Parola di questa
domenica, è detto da San Luca all’inizio del cap. 15 del suo Vangelo : “Si avvicinavano a lui (a Cristo) tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: ‘Costui riceve i peccatori e mangia con loro’. Allora Lui raccontò la parabole che narrano la perdita e il ritrovamento di una pecora, di una dramma e di un figlio” (cfr vv 1-3).
Nella parabola della pecora perduta e ritrovata si annota che il pastore non interrompe la sua ricerca finché non la trova: dunque una ricerca ostinata, perseverante, per nessun motivo disposto ad abbandonare la pecora al suo destino. Dunque, in questo racconto Cristo presenta Dio fedele, perseverante, tenace. Il cuore di Dio ha un unico e grande desiderio: che ogni uomo non si perda e che qualora si perdesse la tenacia del Padre è quella di essere Padre sempre e comunque verso i suoi figli.
Nella parabola della dramma1 perduta emerge la gioia di una povera donna, che ritrova di che vivere. Per cercare questa moneta questa donna accende una lampada, perché a quel tempo le case erano piuttosto scure e senza la luce lei non avrebbe potuto localizzare la sua preziosa moneta. Quando la luce si riflesse sulla moneta facendola brillare, allora fu possibile ritrovarla. Questo fatto ci insegna che possiamo perderci, ma non dobbiamo smetter di “brillare”, perché possiamo essere ritrovati più facilmente.
Nella parabola del figlio perduto (più conosciuta come quella figlio prodigo) contempliamo il Padre che è fedele al figlio e che è nella gioia quando lui ritorna alla casa paterna, che è luogo di perdono e di festa.
Il Padre perdona e organizza una festa per questo figlio perduto e poco saggio, il quale per la voglia di avere tutto per sé pretese e ottenne “solamente” la sua parte e la dissipò. Questo misericordioso Padre non solo accoglie di nuovo il figlio ma gli ridona la dignità di figlio (cfr Papa Francesco, Udienza Generale del 30 agosto 2016). Questo figlio riceve di più di quanto chiede. Addolorato per il suo peccato, questo giovane ritorna dal padre e gli chiede di essere accolto “solamente” come servo. A colui che si sarebbe accontentato di un cuore di servo, il padre ridà un cuore di figlio.
Questo figlio prodigo e perduto consegna al padre il proprio dolore e il padre lo conferma nell’amore, al quale il figlio assurdamente si era ribellato.
Anche noi con il nostro peccato rifiutiamo l’amore gratuito di Dio Padre. Ma quando torniamo da Lui convertiti dalla sua giustizia misericordiosa, riceviamo un vestito per la festa, un anello e dei sandali.
Anche per ciascuno di noi convertiti, il Padre dice “Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo”. Qual era la prima veste di Adamo? Era nudo. La sua veste era quello di essere immagine e somiglianza di Dio, cioè di essere figlio. Questo è il nostro vestito: essere figli accanto al Padre. L’essere figli è il nostro vestito, veste, la nostra dignità, la nostra identità.
Anche a ciascuno di noi, che torna contrito dal Padre, sono consegnati l’anello e i sandali, che confermano che siamo figli e non servi. Infatti, dare l’anello con lo stemma significava dare il sigillo che implicava il fatto di avere a disposizione tutti i beni di famiglia e non solo una parte. I sandali ai piedi erano indossati dagli uomini liberi, perché gli schiavi andavano scalzi.


2) Giustizia e amore: misericordia.
Credo sia utile ricordare che la misericordia di Dio è inconcepibile dall'uomo, perché trascende il suo pensiero. Prima di comprender ciò con la riflessione lo capii grazie a questo fatto. Mi trovavo in Germania, a Francoforte sul Meno, per un corso di tedesco, e un giorno, il professore chiese agli studenti di parlare di ciò che ciascuno di noi considerava più caratteristico del suo Stato. Poiché sapevano che venivo dal Vaticano, dovetti parlare della Città del Vaticano. Nei dieci minuti che mi erano stati dati, parlai del Vaticano come Stato “funzionale” perché permette al Santo Padre di esercitare la sua “funzione” di Capo della Chiesa Universale, a servizio della verità e della carità.
Dopo di me, fu il turno di un giovane ucraino, che raccontò la parabola del figliol prodigo. Fui stupito di questa scelta. Ma fui ancor più stupito dalla reazione dei quattro studenti della Corea del Sud che dissero: “E’ davvero una bella storia, ma non è umana”. Questi giovani asiatici avevano capito che la parabola non poteva essere frutto della mente umana. Solo una mente divina poteva concepirla, solo un amore divino poteva realizzarla, solo un cuore umano inquieto può cercarla, solo un cuore umano contrito può accoglierla e praticarla mediante le opere di misericordia.
Nella sua essenza la misericordia esprime il legame di amore che unisce il Creatore alla creatura, il Padre al figlio e i figli tra di loro.
L’importante è vivere la vita come perseverante ritorno alla casa del Padre.
Ritorno mediante il dolore, la contrizione, la conversione del cuore, che presuppone il desiderio di cambiare, la decisione ferma di migliorare la nostra vita.
Ritorno alla casa del Padre per mezzo del sacramento del perdono, nel quale, confessando i nostri peccati, ci rivestiamo di Cristo e ridiventiamo suoi fratelli e membri della famiglia di Dio.
Questo Dio, Padre ricco di misericordia, non solo aspetta “con ansia” che noi torniamo a Lui, ma si muove –per primo- incontro a noi peccatori pentiti, ci raggiunge mentre ancora gli andiamo incontro, ci abbraccia con amore e, senza rinfacciarci le nostre mancanze, ci copre di grazie e di doni.
Non smettiamo di contemplare con stupore “il padre del figliol prodigo, che “è fedele alla sua paternità, fedele a quell’amore, che da sempre elargiva al proprio figlio” (San Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, IV, 6). Questa fedeltà è espressa dalla prontezza di un abbraccio e nella gioia della festa.
Nella sua e nostra casa Dio ci aspetta, come il padre della parabola, benché non lo meritiamo. Non gli importa la gravità del nostro peccato. L’importante che noi, figli prodighi, sentiamo la nostalgia della casa paterna, apriamo il nostro cuore alla misericordia divina, stupiti del fedele amore del Padre e rallegrarci di fronte al dono divino di poterci chiamare e di essere figlio suoi.


3) La verginità, tenerezza, misericordia.
Commentando questa parabola del figlio prodigo, soprattutto la frase “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”, Papa Francesco ha detto : “Quanta tenerezza!” ed ha aggiunto: “Lo vide da lontano, significa che lo aspettava continuamente, dall’alto. Lo aspettava, è una cosa bella la tenerezza”. Con il termine “tenerezza”, il Santo Padre non intende un’azione basata solamente sull’emozione o il sentimento. Tenerezza vuol dire accogliere l’altro nella totalità di quello che è. Una mamma è tenera non tanto perché accarezza o bacia con dolcezza il suo bambino, ma quando lo cura occupandosi di lui con la tenerezza, la sollecitudine e la dolcezza della bontà di Dio. Già i profeti dell’Antico Testamento hanno usato per Dio un linguaggio che richiama la tenerezza, l’intensità e la totalità dell’amore di Dio, che si manifesta nella creazione e in tutta la storia della salvezza e ha il culmine nell’Incarnazione del Figlio. Dio, però, supera sempre ogni amore umano, come dice il profeta Isaia: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is. 49, 15).
Le Vergini consacrate nel mondo sono fedeli alla loro vocazione quando praticano la castità come amore a Dio. In questo amore è incluso l’amore al prossimo che attende gesti di misericordia e di tenerezza. Con una vita umile vanno al di là delle apparenze e, discretamente, mostrano la tenerezza di Dio che ciascuna porta in sé stessa. In questo mondo seguono l’invito “La vostra vita sia una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro” (Rituale di Consacrazione delle Vergini, 30). Con questa tenerezza forte irradiano la dignità dell’essere spose di Cristo misericordioso e testimoniano che chi si abbandona all’amore tenero di Dio è nella gioia e nella pace. Facendosi vicine con tenerezza e amore alle situazioni di sofferenza e di debolezza, queste donne consacrate “illuminano con l’esempio sul valore della vita consacrata così da farne risplendere la bellezza e la santità nella Chiesa” (Papa Francesco).

1  La dramma era una moneta equivalente, più o meno, a un denaro, ossia la paga giornaliera che -duemila anni fa- si dava a un contadino.

Lettura Patristica
Clemente di Alessandria,
Quis dives, 39 s.
Vera penitenza è non tornare a peccare

       Se uno che è fuori dello scoglio della troppa ricchezza o troppa povertà ed è sul facile sentiero dei beni eterni, tuttavia, dopo la liberazione dal peccato, ricade e si seppellisce in esso, questo deve essere ritenuto rigettato da Dio. Chiunque, infatti, si rivolge a Dio con tutto il cuore, gli si aprono le porte, e il Padre accoglie con tutto l’affetto il figlio veramente pentito. Ma la vera penitenza consiste nel non ricadere e nello sradicare i peccati riconosciuti come causa di morte. Se ne levi questi, Dio abiterà di nuovo in te. È una gioia immensa e incomparabile in cielo per il Padre e per gli angeli la conversione di un peccatore (Lc 15,2). Perciò è detto anche: "Voglio misericordia e non sacrificio. Non voglio la morte del peccatore, ma che si penta. Se i vostri peccati saranno come la porpora, li farò bianchi come la neve; e se saranno neri come il carbone li ridurrò come neve" (Os 6,6 Mt 9,13 Ez 18,23 Is 1,18 Lc 5,21). Solo il Signore può perdonare i peccati e non imputare i delitti e ci comanda di perdonare i fratelli pentiti (Mt 6,14). Che se noi, che siamo cattivi, sappiamo dare cose buone, quanto più il Padre della misericordia, quel Padre di ogni consolazione, pieno di misericordia, avrà lunga pazienza e aspetterà la nostra conversione? (Lc 11,13). Ma convertirsi dal peccato, significa finirla col peccato e non tornare indietro.

       Dio concede il perdono del passato; il non ricadere dipende da noi. E questo è pentirsi: aver dolore del passato e pregare il Padre che lo cancelli, poiché lui solo con la sua misericordia può ritenere non fatto il male che abbiamo fatto e lavare con la rugiada dello Spirito i peccati passati. È detto, infatti: "Vi giudicherò, come vi troverò (In Evang. apocr.)", in modo che se uno ha menato una vita ottima, ma poi si è rivolto al male, non avrà alcun vantaggio del bene precedente; invece, chi è vissuto male, se si pente, col buon proposito può redimere la vita passata. Ma ci vuole una gran diligenza, come una lunga malattia vuole una dieta più rigorosa e più accortezza. Vuoi, o ladro, che il peccato ti sia perdonato? Finisci di rubare. L’adultero spenga le fiamme della libidine. Il dissoluto sia casto. Se hai rubato, restituisci un po’ di più di quanto hai preso. Hai testimoniato il falso? Impara a dir la verità. Se hai spergiurato, astieniti dai giuramenti, taglia i vizi, l’ira, la cupidigia, la paura. Forse è difficile portar via a un tratto dei vizi inveterati; ma puoi conseguirlo per la potenza di Dio, con la preghiera dei fratelli, con una vera penitenza e assidua meditazione.

Gregorio Nazianzeno, Sermo 38, 13 s.

Proprio l’umiliazione di Dio ci salva

       Per peccati più gravi ci voleva una più potente medicina: i peccati erano stragi scambievoli, adulteri, spergiuri, furiosa sodomia e idolatria, che rivolge alle creature il culto del Creatore. E poiché queste piaghe avevano bisogno d’un aiuto più energico, tale esso venne. E questo fu lo stesso Figlio di Dio, più antico del tempo, invisibile, incomprensibile, incorporeo, principio dal principio, luce da luce, fonte d’immortalità, espressione della prima Idea, sigillo intatto, immagine perfetta del Padre e questo prende carne e per la mia anima si unisce all’anima umana, per purificare il simile col simile. E prende tutte le debolezze umane, eccetto il peccato (He 4,15), concepito da una vergine nell’anima e nel corpo già purificata dallo Spirito... O meraviglia di fusione! Colui che è, vien fatto, l’increato viene creato; colui che non può essere contenuto, è contenuto tra la divinità e lo spessore della carne. Colui che fa tutti ricchi, è povero; abbraccia la povertà della mia carne, perché io acquisti la ricchezza della sua divinità. Lui che è la pienezza, si svuota; si svuota della sua gloria, perché io diventi partecipe della sua pienezza. Che ricchezza di bontà! Quale mistero mi circonda? Ho ricevuto l’immagine di Dio, non l’ho custodita; lui si fa partecipe della mia carne, per portare la salvezza all’immagine e l’immortalità alla carne. Stabilisce un nuovo consorzio e di gran lunga più meraviglioso del primo; allora diede a noi ciò ch’era più eccellente; ma ora lui stesso s’è fatto partecipe di ciò che è più deteriore. Questo consorzio è più divino del primo; questo per chi ha cuore è molto più sublime... E tu osi rinfacciare a Dio il suo beneficio? È forse piccolo, perché per te s’è fatto umile, perché quel buon Pastore, che diede la sua anima per le sue pecore (Jn 10,11), cerca la smarrita tra i monti e i colli, sui quali sacrificavi, la trova e se la pone su quelle stesse spalle, sulle quali prese il legno della croce, e la riporta alla vita soprannaturale, e ricondottala nell’ovile, dov’erano quelle che non ne uscirono mai, la tiene nello stesso luogo e numero di quelle? O è piccolo perché accende la lucerna, cioè la sua carne, e spazza la casa, purgando cioè il mondo dal peccato e cerca la dramma, cioè la regale immagine coperta di sporcizia viziosa, e, trovatala, chiama gli angeli suoi amici e li fa partecipi della sua gioia, dal momento che li aveva messi a conoscenza della sua economia?

Fonte:http://francescofolloit.blogspot.it/

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