don Luciano Cantini "Come siamo"
Come siamo
don Luciano Cantini
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/10/2016)
Vangelo: Lc 18,9-14
Per alcuni
Luca indica con precisione i destinatari della parabola che sta per raccontare in cui Gesù mette a nudo
il cuore degli uomini mentre rivela la dimensione di Dio. Già dicendo di alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti, ci dice la contraddizione in cui è facile cadere. I giusti, nella Bibbia, sono coloro che hanno orientato la loro vita verso Dio e il suo Regno, vivono della relazione con Lui mentre l'intima presunzione ci dà il senso di una forte relazione con se stessi. Eppure viviamo in un'epoca e in una cultura estremamente incentrata sull'individualità dove ogni valore è piegato al soggettivismo. Solo per fare un esempio la "Vita" non è più un mistero da accogliere e vivere ma una dimensione conseguente alle proprie scelte personali dall'inizio alla fine, indipendentemente dal corso della natura, arrogandosi il diritto di fare violenza alla natura stessa mentre in altri ambiti pretendiamo di essere ecologici. In altre parole è giusto ciò che adesso mi piace o che ritengo tale.
San Paolo, invece ci dà la misura della Fede come strumento di valutazione: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato (Rm 12,3).
Tutto questo per non tirarci fuori e ricordarci che tra quegli alcuni ci siamo davvero tutti noi.
Due uomini
La parabola inizia nel segno della apparente sintonia dell'umanità che cammina sulla stessa strada e nella stessa direzione (il tempio di Gerusalemme) con la stessa intenzione (pregare) per poi rivelarne le lacerazioni quando l'uomo inizia a considerare se stesso nelle sue relazioni, o presunte tali, con Dio e con gli altri. Allora prende le distanze dagli altri per giudicarli, i suoi atteggiamenti ci dicono che non appartiene più alla famiglia umana, appartiene solo a se stesso, ai suoi pensieri, i suoi traguardi. Dio è lì, nel tempio, per ratificare il suo successo su tutti i livelli, morale, sociale, religioso... Non crediamo che questa immagine ci sia estranea perché anche noi non siamo come gli altri uomini quando ci mettiamo a giudicare siano essi politici o amministratori, medici o magistrati, stranieri o zingari, delinquenti o assassini, o semplicemente tifosi di un'altra squadra di calcio. Basta leggere i commenti agli articoli dei giornali e guardare come parcheggiamo.
Fermatosi a distanza
Se il fariseo afferma, stando in piedi, la sua dignità di figlio d'Israele e prende le distanze dagli altri, è il pubblicano a mettersi a distanza; i due atteggiamenti non sono così diversi e ambedue sono originati dalla valutazione di se stessi e degli altri che percepisce le distanze. C'è chi si mette in prima fila chi si nasconde tra gli ultimi posti ma ogni atteggiamento e sancito da un giudizio umano che tiene conto di una infinità di parametri a cominciare dall'auto comprensione, ma non tiene conto del cuore di Dio.
Tornò a casa sua
Il fariseo è un'ottima persona, un praticante modello, torna a casa compiaciuto di se stesso e della sua religione di cui è soddisfatto. Il pubblicano non fa propositi, non pone rimedio ai suoi peccati, non annaspa nel tentativo di una conversione, sa di essere un peccatore ma ha fede nella misericordia di Dio, ha cercato e trovato il cuore di Dio. È Dio che "rende giusto".
La parabola ci rivela «chi è» Dio, come è il suo cuore. Dio cerca, accoglie, abbraccia, fa festa (cfr Lc 15).
I due protagonisti della parabola hanno con sé un modello di «dio» diverso nato dalla propria esperienza e dai propri limiti, così ognuno di noi ha davanti a sé il volto di Dio, o la sua caricatura, possiamo guardarlo come in uno specchio per contemplare l'illusione di se stessi o lasciare che lui guardi noi, lasciare che il suo sguardo riveli la nostra "verità", lasciare che Dio ci faccia dono del suo perdono, ci ami per quello che siamo.
Fonte:http://www.qumran2.net/
don Luciano Cantini
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/10/2016)
Vangelo: Lc 18,9-14
Per alcuni
Luca indica con precisione i destinatari della parabola che sta per raccontare in cui Gesù mette a nudo
il cuore degli uomini mentre rivela la dimensione di Dio. Già dicendo di alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti, ci dice la contraddizione in cui è facile cadere. I giusti, nella Bibbia, sono coloro che hanno orientato la loro vita verso Dio e il suo Regno, vivono della relazione con Lui mentre l'intima presunzione ci dà il senso di una forte relazione con se stessi. Eppure viviamo in un'epoca e in una cultura estremamente incentrata sull'individualità dove ogni valore è piegato al soggettivismo. Solo per fare un esempio la "Vita" non è più un mistero da accogliere e vivere ma una dimensione conseguente alle proprie scelte personali dall'inizio alla fine, indipendentemente dal corso della natura, arrogandosi il diritto di fare violenza alla natura stessa mentre in altri ambiti pretendiamo di essere ecologici. In altre parole è giusto ciò che adesso mi piace o che ritengo tale.
San Paolo, invece ci dà la misura della Fede come strumento di valutazione: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato (Rm 12,3).
Tutto questo per non tirarci fuori e ricordarci che tra quegli alcuni ci siamo davvero tutti noi.
Due uomini
La parabola inizia nel segno della apparente sintonia dell'umanità che cammina sulla stessa strada e nella stessa direzione (il tempio di Gerusalemme) con la stessa intenzione (pregare) per poi rivelarne le lacerazioni quando l'uomo inizia a considerare se stesso nelle sue relazioni, o presunte tali, con Dio e con gli altri. Allora prende le distanze dagli altri per giudicarli, i suoi atteggiamenti ci dicono che non appartiene più alla famiglia umana, appartiene solo a se stesso, ai suoi pensieri, i suoi traguardi. Dio è lì, nel tempio, per ratificare il suo successo su tutti i livelli, morale, sociale, religioso... Non crediamo che questa immagine ci sia estranea perché anche noi non siamo come gli altri uomini quando ci mettiamo a giudicare siano essi politici o amministratori, medici o magistrati, stranieri o zingari, delinquenti o assassini, o semplicemente tifosi di un'altra squadra di calcio. Basta leggere i commenti agli articoli dei giornali e guardare come parcheggiamo.
Fermatosi a distanza
Se il fariseo afferma, stando in piedi, la sua dignità di figlio d'Israele e prende le distanze dagli altri, è il pubblicano a mettersi a distanza; i due atteggiamenti non sono così diversi e ambedue sono originati dalla valutazione di se stessi e degli altri che percepisce le distanze. C'è chi si mette in prima fila chi si nasconde tra gli ultimi posti ma ogni atteggiamento e sancito da un giudizio umano che tiene conto di una infinità di parametri a cominciare dall'auto comprensione, ma non tiene conto del cuore di Dio.
Tornò a casa sua
Il fariseo è un'ottima persona, un praticante modello, torna a casa compiaciuto di se stesso e della sua religione di cui è soddisfatto. Il pubblicano non fa propositi, non pone rimedio ai suoi peccati, non annaspa nel tentativo di una conversione, sa di essere un peccatore ma ha fede nella misericordia di Dio, ha cercato e trovato il cuore di Dio. È Dio che "rende giusto".
La parabola ci rivela «chi è» Dio, come è il suo cuore. Dio cerca, accoglie, abbraccia, fa festa (cfr Lc 15).
I due protagonisti della parabola hanno con sé un modello di «dio» diverso nato dalla propria esperienza e dai propri limiti, così ognuno di noi ha davanti a sé il volto di Dio, o la sua caricatura, possiamo guardarlo come in uno specchio per contemplare l'illusione di se stessi o lasciare che lui guardi noi, lasciare che il suo sguardo riveli la nostra "verità", lasciare che Dio ci faccia dono del suo perdono, ci ami per quello che siamo.
Fonte:http://www.qumran2.net/
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