Paolo Curtaz, "Fede e preghiera"


Commento al Vangelo di domenica 16 ottobre 2016 - Paolo Curtaz
XXIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C
Colore liturgico: verde
Es 17, 8-13; Sal 120; 2 Tm 3, 14 - 4, 2; Lc 18, 1-8
Fede e preghiera
Quanto ci è essenziale pregare.
Quanto ci è necessario per coltivare una vita interiore. Attingere alla Parola, lasciarla fiorire, scavare,
scuotere, consolare, riempire, illuminare. Certo ci vuole tempo, e anche molta umiltà.
Lasciarsi condurre, lasciarsi portare, lasciarsi colmare il cuore.
La Parola che giorno per giorno impariamo a conoscere, che è utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona, come scrive un affettuoso san Paolo al suo discepolo Timoteo.
Una preghiera che sa sedersi ad ascoltare Dio per poi ascoltare se stessi, che fa incontrare ciò che portiamo in noi stessi con ciò che abita il cuore di Dio. Una preghiera che sa chiedere, certo, ma anche lodare, intercedere, ringraziare, manifestare pentimento e desiderio di conversione.
Una preghiera necessaria per combattere, come sperimenta Mosè che intercede per il popolo che battaglia ai suoi piedi. E ha ragione: senza la preghiera perdiamo, senza l’interiorità il nostro agire diventa un’inutile perdita di tempo.
È faticoso pregare, per tutti: amici monaci, loro che pregano sei, otto ore ogni giorno, mi raccontano – sorridendo – della loro fatica a pregare.
Che buffo. Convincere alla preghiera è impossibile. Far smettere chi, pregando, ha scoperto il volto di Dio è altrettanto difficile.
Dovrei parlarvi della preghiera ma so che è un’esperienza unica e personale, che i libri per insegnare a pregare servono solo a chi li ha scritti.

Confidenze
La preghiera è il santuario in cui scopriamo il vero volto di Dio, il luogo dove l’anima incontra la nostra vita frammentata e sconclusionata. Conservare e coltivare una vita interiore in questo tempo feroce, in un occidente che ha smarrito l’anima, ha un che di eroico,
Come ho già avuto modo di scrivere, ho pregato tanto ma Dio non mi ha mai dato ciò che ho chiesto. Ma tutto ciò che desideravo, senza saperlo.
Ora, superata la metà della mia vita, ho scoperto il senso profondo di quel “bussate e vi sarà aperto”.
Solo che la porta che si è aperta non è quella a cui avevo bussato.
La porta dell’interiorità, del vero volto di Dio, della scoperta del sé, riusciamo ad aprirla solo se insistiamo, se non ci scoraggiamo, se accettiamo a volte di dirci stanchi, sfiduciati e ci sediamo sconfortati, lasciando che qualcun altro ci sorregga le braccia tese verso l’alto, come Mosè nella prima lettura. (Splendida immagine di Chiesa)

Giudice ingiusto
Il giudice della parabola non è Dio, non scherziamo, ma il mondo insensibile alla legittime richieste della vedova, vedova che è la sposa di Cristo, la Chiesa.
Luca scrive il suo vangelo quando le comunità cristiane nascenti sono travolte dalla follia dell’Imperatore che chiede di essere venerato come un Dio, e sono sconfortate e scoraggiate. E Gesù dice a loro e a noi: continuate a pregare, tenete legato il filo che vi unisce all’interiorità.
E tanto più il mondo sbraita e si agita tanto più siamo chiamati a dimorare, a insistere, a tenere duro.
Siamo chiamati a insistere.
Non per convincere Dio, ma per convertire il nostro cuore.
Insistere per purificare il nostro cuore e scoprire che Dio non è un giudice, né giusto né ingiusto, ma un padre tenerissimo.
Insistere non per cambiare radicalmente le cose, neppure per cambiare noi stessi, ma per vedere nel mondo il cuore di Dio che pulsa.
Insistere nella battaglia che, quotidianamente, dobbiamo affrontare, come Mosè che prega per vincere.
Insistere.
Ma non è della preghiera che vi voglio parlare.
Ma di quell’ultima, indigesta, bastarda domanda di Gesù che mi martella nelle tempie: “Quando tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?”

Fede?
Gesù è venuto, splendore del Padre, ci ha detto e dato Dio perché egli stesso è Dio. Ha convinto il mondo, riempiendolo di Spirito, riguardo a Dio anche se il mondo, e la Chiesa e noi, continuamente rischiamo di scordarci il volto del Padre per sostituirlo a quello approssimativo delle nostre abitudini.
In uno slancio di follia Gesù ha affidato il Regno alla Chiesa, a questa Chiesa, alla mia Chiesa, perché diventasse testimone del Padre. Alla Chiesa debole fatta di uomini deboli, seppure trasfigurati dallo Spirito.
Ma una cosa siamo chiamati a fare: avere fede.
Gesù tornerà, lo sappiamo, nella pienezza dei tempi, quando ogni uomo avrà sentito annunciare il Vangelo di Cristo. Verrà per completare il lavoro. A meno che il lavoro non sia fermo, paralizzato dall’incompetenza delle maestranze, dalla polemica dei ricorsi, dall’egoismo del particolarismo, dal litigio degli operai.
Ci sarà ancora fede?
Non dice: “Ci sarà ancora un’organizzazione ecclesiale? Una vita etica derivante dal cristianesimo? Delle belle e buone opere sociali?” Non chiede: “La gente andrà a Messa, i cristiani saranno ancora visibili, professeranno ancora i valori del vangelo?”.
La fede chiede il Signore. Non l’efficacia, non l’organizzazione, non la coerenza, non la struttura.
Tutte cose essenziali. Se portano e coltivano la fede.
Ma inutili e pericolose, se autoreferenziali, se auto-celebrative.
Altrimenti rischiamo di confondere i piani, di lasciare che le cose penultime e terzultime prendano il posto delle cose ultime.

Scuotimenti
Sano rimprovero, quello di Gesù oggi, sano realismo, sconcertante provocazione.
Gesù chiede ai suoi discepoli di conservare fede nella avversità, di non demordere, di non mollare, di continuare la disarmata e disarmante battaglia del Regno.
È tempo di fedeltà, di non mollare, di non demordere.
Proprio perché i tempi sono caliginosi.
Oggi, durante le nostre assemblee, con la nostra presenza, la nostra vita, il nostro desiderio, potremo dire: sì, Signore, Maestro, se oggi verrai, se ora è la pienezza, troverai ancora la fede bruciare.La mia.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/


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