Paolo Curtaz, "Io sono Zaccheo"

Io sono Zaccheo
 Commento al Vangelo di domenica 30 ottobre 2016 - Paolo Curtaz
Eccolo, Zaccheo. Già il nome è un programma: significa il puro ma se è la contrazione di Zaccaria,
significa Dio ricorda: il Signore vede in lui un puro, un semplice. Dio ci restituisce la nostra immagine ancestrale, la nostra idealità profonda, egli sa cosa siamo veramente. Dietro la scorza indurita di un uomo che è diventato un aguzzino, Dio vede l’innocenza nascosta.
E la rianima.
La folla vede in lui un delinquente, Dio, che si ricorda di com’era Zaccheo quando lo ha creato nel grembo della madre, vede in lui un santo.
Due sono le peculiarità che caratterizzano Zaccheo: è un capo dei pubblicani ed è ricco.
Non sappiamo altro di lui: nulla sul suo carattere, sui suoi sogni, sulle sue amicizie, sulla sua fede.
È il suo ruolo, non si scappa.
Per Gesù quell’uomo ha un nome, Zaccheo, non un ruolo.

Piccole vendette
Sono temuti, i pubblicani: alle spalle hanno l’aquila romana.
Ma i suoi concittadini, ora, si tolgono una piccola soddisfazione, diventano un muro davanti alla strada, gli impediscono di vedere. Piccola e innocente vendetta fra uomini, come ancora si usa oggi.
Zaccheo ha saputo del passaggio del profeta.
Non che la cosa lo riguardi più di tanto: i farisei e gli scribi, di solito, insultano e tengono distanti i pubblicani, non scherziamo. Zaccheo sa bene di essere un pubblico peccatore, non ha nessuna possibilità di salvezza.
Se anche il Messia venisse, Zaccheo rimarrebbe fuori dalla porta della festa.
In compagnia dei pastori. Della samaritana. Della donna emorroissa.
Ma è curioso.
Cercava di vedere, annota Luca. È la ricerca il cuore pulsante di questo incontro.
Zaccheo cerca Gesù che lo cerca. E si incontreranno.
Siamo ciò che desideriamo. Siamo ciò che cerchiamo.

Chi è Gesù
Zaccheo vuole vedere chi è Gesù.
La sua curiosità ha un obiettivo specifico: il Nazareno.
Non è curiosità fine a sé stessa, lui non vuole soddisfare il suo quarto d’ora di delirio mistico.
La ricerca di senso, la curiosità, va orientata e nutrita. Zaccheo ha intuito che Gesù ha a che fare con la sua felicità. E osa.
Zaccheo vuole vedere Gesù, punto. Se ne è degno, se è pronto, se capisce dove lo porterà questo incontro, se è moralmente accettabile a Dio, proprio non gli importa.

Ostacoli
Un muro di gente ci impedisce di vedere Gesù. Schiene, non volti.
Persone che ci sono ostili, che dicono che è tutto falso, che non c’è né desiderio, né soddisfazione, che l’uomo è drammaticamente incapace di risposte, è mostruosa creatura irrisolta.
Persone che non hanno risposte e che negano la possibilità di fare domande.
Profeti del nulla, non vogliono che ci mettiamo in cammino per giustificare il loro fallimento.
Zaccheo sembra non avere soluzioni. Potrebbe girare i tacchi e tornarsene a casa.
Come molti, oggi, che gettano la spugna alla prima difficoltà.
Corre avanti. Zaccheo trova una soluzione semplice davanti al muro di folla che aspetta Gesù: salirà su un albero. Su di un sicomoro, per la precisione.

Fichi
La Bibbia ci dice che il sicomoro, albero sempre verde che non cresce in Europa, fa parte della famiglia dei fichi. I rabbini insegnavano o studiavano sotto il fico e alcuni paragonavano la Torah al fico per via della dolcezza del suo frutto. A nessuno sfugge che Natanaele, nel vangelo di Giovanni, è chiamato da Gesù mentre sta sotto un fico (Gv 1,28).
È in alto, libero, non ostacolato.
Che bello sarebbe se le nostre comunità diventassero tanti alberi su cui chiunque (chiunque!) possa salire per vedere il Signore…
È ben nascosto, Zaccheo. Il fogliame lo protegge: può vedere senza essere visto. O così pensa.
Appena giunto al luogo dell’appuntamento, all’albero, Gesù alza gli occhi e lo vede.
Zaccheo!
Lo chiama per nome, lo conosce, sa bene chi è.
Ha preso l’iniziativa, ha polverizzato con una frase ogni dubbio, resistenza, colpa.
Oggi deve andare da Zaccheo.
Oggi: ogni giorno, ogni oggi è il giorno in cui possiamo accogliere il Signore in casa nostra.
Anche se non ne siamo degni, anche se tentenniamo, anche se non abbiamo nulla di pronto da offrirgli. Nessun giusto sarebbe mai entrato nella casa di un peccatore.
Eccetto Gesù.

Fico maturo
Scende in fretta, Zaccheo,  letteralmente si precipita, cade come un frutto maturo.
È accaduto l’inaudito: il Rabbì che tutti aspettavano, si è accorto di lui e ha chiesto di andare a casa sua. Non si è sbagliato, non lo ha confuso con un altro: lo ha chiamato per nome.
È tutto talmente esagerato che anche Zaccheo esagera e si rovina.
Leggete bene e fate due conti: il pubblicano regala la metà dei suoi soldi ai poveri. E sia.
Poi restituisce quattro volte tanto a coloro ai quali ha rubato, cioè a tutti. La metà di quello che ha non basterà certo a rimborsare il quadruplo di ciò che ha rubato!
Pazienza: ora ha il tesoro.
Perderà tutto perché ha trovato il tesoro nascosto nel campo (Mt 13,44). Che gli importa?
In questo incontro troviamo il cuore del vangelo.
Dio precede e suscita la nostra conversione. L’incontro con Dio ci cambia la vita.
Zaccheo contraddice il nostro modo di pensare: di solito parliamo di contrizione e di pentimento per meritare il perdono di Dio.
Pecco, mi pento, Dio mi perdona, questa è la sequenza corretta.
Gesù scardina questa sequenza: pecco, Dio mi perdona, quindi mi pento.

Zaccheo sa benissimo di essere un delinquente, non ha bisogno che qualcuno glielo ricordi.
Ha bisogno che qualcuno creda in lui.
Che creda nella possibilità di cambiare senza condizione, a prescindere.
L’amore scatena in noi energie inattese e nascoste.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/









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