Umberto DE VANNA sdb, "Quando accadranno queste cose?"

13 novembre 2016 | 33a Domenica T. Ordinario - Anno C | Omelia
Per cominciare

La liturgia di questa domenica è segnata dal tempo liturgico. La prossima domenica sarà la festa di
Cristo Re e si concluderà l'anno liturgico. La parola di Dio fa riferimento al giudizio di Dio sulla storia e ai giorni difficili che aspettano i cristiani. Ma i giusti, dicono i profeti e lo stesso Gesù, non hanno nulla da temere, perché Dio è buono e sarà vicino nel momento della prova.

La parola di Dio
Malachia 3,19-20a. Malachia lancia il suo messaggio profetico e preannuncia il giorno del giudizio, rovente come un forno per condannare i malvagi, mentre per i giusti sorgerà come il sole la giustizia.
2 Tesalonicesi 3,7-12. Paolo propone se stesso come modello di vita esemplare. Egli che si è guadagnato il pane lavorando con fatica notte e giorno, esorta gli sfaticati e i bighelloni a non vivere nell'ozio.
Luca 21,5-19. Gesù si esprime come un profeta e preannuncia la fine di Gerusalemme, tra guerre, rivoluzioni e terribili persecuzioni. Ma i cristiani non hanno nulla da temere, perché "neanche un capello del loro capo perirà".

Riflettere

Questa domenica in alcune diocesi viene sostituita dalla festa della dedicazione della cattedrale e la solennità della chiesa locale (vedi pag. 000). In molte parrocchie, anche in questo caso, si leggono le letture della domenica 33ª, tranne in circostanze di particolari solennità.
I temi che emergono dalle letture sono parecchi: ancora il tema del giudizio finale, soprattutto nel testo del profeta Malachia. L'argomento è già stato abbondantemente affrontato nella domenica 32ª, nella solennità dei santi e nella commemorazione dei defunti.
Si fa riferimento alla distruzione del tempio e agli avvenimenti tragici della conquista di Gerusalemme avvenuta nel 70 dopo Cristo per opera dei romani. Le espressioni e i riferimenti espliciti potrebbero essere di Luca, che ha vissuto di persona questi momenti. Oppure sono espressioni in qualche modo anticipatrici di Gesù, di tipo apocalittico.
Gesù ha presenti anche le difficoltà e i contrasti di ogni tipo a cui sarebbero andati incontro gli apostoli e i nuovi cristiani. Ma, assicura, non hanno nulla da temere, perché "nemmeno un capello del loro capo perirà" (Lc 21,18).
Paolo ai cristiani di Tessalonica, che sembrano aver preso troppo alla lettera le parole che lui ha scritto nella lettera precedente e pensano che siano imminenti la fine del mondo e il giudizio di Dio, e per questo rifiutano di impegnarsi e di lavorare, ricorda di seguire il suo esempio: lui non è mai vissuto nell'ozio, ma si è sempre guadagnato il pane lavorando con fatica notte e giorno. Anch'essi "si guadagnino il pane lavorando in tranquillità", e non vivano "senza far nulla e sempre in agitazione".
Infine Gesù, senza tanti giri di parole, gela coloro che magnificano la bellezza del tempio di Gerusalemme, e preannuncia che di quella magnificenza ben presto non rimarrà "pietra su pietra".
"Quando accadrà tutto questo?", gli domandano. Ma Gesù non dà particolari, anzi, afferma di non dare retta a chi è sempre lì pronto a stabilire tempi e modi della fine del mondo e del giudizio universale.
Quanto alle persecuzione di cui parla il vangelo, presenti nella chiesa primitiva, ma anche in quella ogni tempo, dobbiamo dire che ci sono tribolazioni che giungono improvvise e non cercate, ma ce ne sono altre che sono la conseguenza di scelte fatte. È regolarmente il prezzo da pagare per chi accetta di svolgere la missione difficile e poco gratificante del profeta.
Anche le persone più simpatiche, quando si fanno interpreti del messaggio evangelico, per quanto possa sembrare strano, possono diventare irritanti, fastidiose, insopportabili e venire emarginate.
Il profeta non è mai osannato a lungo dalle folle e meno ancora da chi detiene il potere, sia politico che religioso. In un primo momento può anche essere apprezzato per la sua preparazione, intelligenza, integrità morale, ma presto è guardato con sospetto, osteggiato e perseguitato.
Gesù non ha illuso i suoi discepoli, non ha promesso una vita facile, non ha assicurato l'approvazione e il consenso degli uomini. Con insistenza ha ripetuto che l'adesione a lui avrebbe comportato persecuzioni: "È sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!" (Mt 10,24-25). "Anzi", ha aggiunto, "viene l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio" (Gv 16,2).

Attualizzare

L'orgoglio del tempio che avevano gli ebrei è a volte l'orgoglio che abbiamo noi per i nostri santuari (Pompei, Loreto, Oropa, Caravaggio…). Orgoglio legittimo, perché sono stati voluti e costruiti spesso dalla fede semplice di molti cristiani. A volte anche dall'ambizione di vescovi e potenti, ma la gente del popolo non ha mai sottilizzato troppo, vedendo piuttosto il prodotto finale come occasione per manifestare e vivere la propria fede.
Gesù dice del tempio di Gerusalemme, che era un'opera davvero grandiosa: "Non sarà lasciata pietra su pietra". La sua distruzione segnerà la fine di un'epoca. Anche simbolicamente è l'inizio di qualcosa di profondamente nuovo che nasce dalle macerie del tempio: la fede nella risurrezione di Gesù, la chiesa, il cristianesimo.
Gli domandano: "Quando accadranno queste cose?", ma Gesù non risponde in modo diretto e non soddisfa la curiosità nostra e di tanti, che vorrebbero conoscere il futuro, i tempo del giudizio di Dio, della fine del mondo.
Sono le sette, i testimoni di Geova, le visioni private che hanno le informazioni più dettagliate al riguardo. Spesso sfiorano il ridicolo e l'ingenuità.
Il cristiano invece sa che è più importante vivere bene ed essere fedeli, che sentire l'ansia o la paura per ciò che ci attende nel futuro. Non mancherà infatti, anche di fronte alla persecuzione, l'assistenza di Dio, che darà "parola e sapienza" al momento opportuno.
È un fatto che la persecuzione è un dato costante nella storia del cristianesimo. Sin dalle origini della chiesa. Dal martirio dei primi secoli, alla vita dei santi, che spesso è costellata di contrasti senza fine e a volte inspiegabili, perché vissuti all'interno della stessa chiesa, della stessa comunità, della stessa famiglia.
Il vescovo Oscar Romero sapeva che gli squadroni della morte lo avrebbero fatto fuori, se avesse continuato a sostenere in San Salvador i diritti dei poveri, ma diceva: "Non posso fare altrimenti. Non posso rinunciare alla verità. Morire dobbiamo tutti, una volta o l'altra. Se questo accade per una buona causa, tanto meglio. Per uno che cade, ne vengono altri cento". Fu ucciso il 24 marzo del 1980, mentre celebrava la messa.
Nessun privilegio dunque per il cristiano. A lui non sarà tolta alcuna difficoltà nella sua vita. Anzi, la difficoltà diventa proprio la prova del nove per giudicare della bontà di un'iniziativa o di un progetto di vita.

La fedeltà nel martirio quotidiano

Maggio 1977. mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo do San Salvador, celebra il funerale di un suo prete assassinato dagli squadroni della morte. Disse in quella circostanza: "Non tutti avranno l'onore di dare il loro sangue fisico, di essere uccisi per la fede, però Dio chiede a tutti coloro che credono in lui lo spirito del martirio, cioè tutti dobbiamo essere disposti a morire per la nostra fede, anche se il Signore non ci concede questo onore; noi, sì, siamo disponibili, in modo che quando arriva la nostra ora di rendere conto, possiamo dire: "Signore, io ero disposto a dare la mia vita per te. E l'ho data". Perché dare la vita non significa solo essere uccisi: dare la vita, avere spirito di martirio, è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana; dare la vita a poco a poco. Come la dà la madre, senza timore, con la semplicità del martirio materno, dà alla luce, allatta, fa crescere e accudisce con affetto suo figlio…".

Don Umberto DE VANNA sdb
Fonte:  www.donbosco-torino.it

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