padre Raniero Cantalamessa, "Tu sei mio Figlio"

BATTESIMO DEL SIGNORE
Isaia 42, 1-4.6-7; Atti 10, 34-38; Matteo 3, 13-17
La Chiesa celebra oggi la festa del battesimo di Gesù. La cosa più importante nel battesimo di Gesù,
non è tanto il fatto esterno -Gesù che viene a farsi battezzare da Giovanni Battista-; questa è solo la cornice. L’essenziale è quella voce del Padre che proclama Gesù suo figlio diletto.
“Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Matteo 3, 16-17).
Quando si scrive la vita dei grandi artisti e poeti, sempre si cerca di scoprire la persona (in genere la donna) che è stata, per il genio, la fonte di ispirazione, la musa spesso nascosta. Anche nella vita di Cristo troviamo un amore segreto che è stato il motivo ispiratore di tutto ciò che ha fatto: il suo amore per il Padre celeste.
Veramente, egli non diceva “Padre”, ma Abba, che significa papà, padre mio, padre caro. Era un modo nuovo, inaudito di rivolgersi a Dio, pieno, allo stesso tempo, di infinito rispetto e infinita confidenza. Ora, in occasione del battesimo nel Giordano, scopriamo che questo amore è reciproco. Il Padre proclama Gesù suo “Figlio diletto” e manifesta tutta la sua compiacenza, inviando su di lui lo Spirito Santo che è il suo amore stesso personificato.
Chissà perché, la letteratura, l’arte, lo spettacolo, la pubblicità sfruttano tutti un solo rapporto umano: quello a sfondo sessuale tra l’uomo e la donna, tra marito e moglie. Forse perché è così facile parlare di sesso, si tratta di una realtà inquietante e l’uomo ama pescare nel torbido. Sembra che non esista nella vita altro che questo. Dobbiamo ammettere che il sesso sta diventando un’ossessione. Se capitasse sulla terra qualcuno da un altro pianeta o riuscisse a captare dal suo pianeta certi nostri spettacoli televisivi penso ci troverebbe perfino un po’ ridicoli a questo riguardo.
Lasciamo invece quasi del tutto inesplorato un altro rapporto umano altrettanto universale e vitale, un’altra delle grandi fonti di gioia della vita: il rapporto padre -figli, la gioia della paternità. Se ne è occupata un po’ la psicologia moderna, ma quasi solo in chiave negativa, per mettere in luce i conflitti padre – figlio.
Se invece si scava con serenità e obiettività nel cuore dell’uomo si scopre che, nella stragrande maggioranza delle persone normali, un rapporto riuscito, intenso e sereno, con i figli è, per un uomo adulto e maturo, non meno importante e appagante che il rapporto uomo – donna. Sappiamo, d’altra parte, quanto questo rapporto sia importante anche per il figlio o la figlia e il vuoto tremendo che lascia la sua mancanza.
Nella festa della Sacra Famiglia, ci siamo occupati del rapporto moglie – marito, consentitemi dunque oggi di dire qualcosa di quest’altro rapporto fondamentale e trascurato, quello padre – figli. Delle mamme, avremo occasione di occuparci un’altra volta, senza contare che le mamme saranno le più felici di questa scelta, perché esse, si sa, sono le prime a soffrire di un cattivo rapporto tra il padre e i figli.
Secondo la Scrittura, come il rapporto uomo – donna ha il suo modello nel rapporto Cristo – Chiesa, così il rapporto padre – figlio ha il suo modello nel rapporto tra Dio Padre e il Figlio suo Gesù. Da Dio Padre, dice san Paolo, “ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome” (Efesini 3,15), cioè trae esistenza, senso e valore.
Ma come il cancro attacca, di solito, gli organi più delicati nell’uomo e nella donna, così la potenza distruttrice del peccato e del male attacca i gangli più vitali dell’esistenza umana. Non c’è nulla che sia sottoposto all’abuso, allo sfruttamento e alla violenza quanto il rapporto uomo – donna e non c’è nulla che sia così esposto alla deformazione come il rapporto padre – figlio: autoritarismo, paternalismo, ribellione, rifiuto, incomunicabilità…
La psicanalisi ha creduto di scorgere nell’inconscio di ogni figlio il cosiddetto complesso di Edipo, cioè il segreto desiderio di uccidere il padre. Ma senza scomodare la psicanalisi di Freud, la cronaca si incarica di metterci sotto gli occhi ogni giorno fatti terribili a questo riguardo.
Questa è un’opera tipicamente diabolica. Il nome “diavolo”, preso alla lettera, significa colui che divide, che separa. Egli non si accontenta più di mettere una classe sociale contro un’altra, e neppure un sesso contro l’altro, gli uomini contro le donne e le donne contro gli uomini. Vuole colpire ancora più a fondo: tenta di mettere i padri contro i figli e i figli contro i padri e spesso ci riesce.
Viene così avvelenata una delle sorgenti più pure di gioia della vita umana e uno dei fattori più importanti di equilibrio e maturazione della persona umana. La sofferenza è reciproca, anche se in questo caso limitiamo il nostro discorso ai padri. Ci sono padri la cui più profonda sofferenza nella vita è di essere rifiutati, o addirittura disprezzati dai figli, per i quali hanno fatto tutto quello che hanno fatto. E ci sono figli la cui più profonda e inconfessata sofferenza è di sentirsi incompresi o rifiutati dal padre, e che, in un momento di rabbia, si sono magari sentiti dire in faccia dal proprio padre: “Tu non sei mio figlio!”.
Cosa può fare la fede per neutralizzare quest’opera satanica nella nostra società? Quando nacque Giovanni Battista l’angelo disse che uno dei suoi compiti sarebbe stato quello di “ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i cuori dei figli verso i padri” (cfr. Luca 1, 17; Malachia 3, 24). Bisogna continuare quest’opera del Precursore. Lanciare l’iniziativa di una grande riconciliazione, di una guarigione dei rapporti malati tra padri e figli, smascherando e neutralizzando l’opera di Satana.
Non che io abbia la ricetta in mano e la soluzione, so però chi ce l’ha: lo Spirito Santo! In seno alla Trinità egli è l‘amore tra Padre e Figlio. Questa è la sua caratteristica personale che porta dovunque arriva. Perciò quando tra un padre e un figlio terreni entra lo Spirito Santo, questo rapporto si rinnova, nasce un sentimento nuovo di paternità e un sentimento nuovo di figliolanza. È lui infatti che insegna a gridare: Abba!, cioè papà, padre mio! padre caro! Egli riconcilia e risana tutto ciò che sfiora. È il balsamo divino che guarisce le ferite profonde dell’anima, giungendo là dove nessuna psicanalisi può arrivare. A lui la Chiesa rivolge la preghiera: “Sana ciò che sanguina”. E il cuore di molti padri e di molti figli sanguina, infatti, ed ha bisogno di essere risanato.
Cosa fare? Anzitutto credere. Ritrovare la fiducia nella paternità che non è un fatto solo biologico, ma un mistero e una partecipazione alla paternità stessa di Dio. Chiedere a Dio il dono della paternità, di saper essere padre. Chiedergli lo Spirito Santo.
Poi sforzarsi anche di imitare il Padre celeste. San Paolo, dopo aver tratteggiato il rapporto moglie – marito, così delineava, il rapporto padri – figli:
Voi, figli, obbedite ai vostri genitori in tutto; ciò è gradito al Signore.
Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino”
(Colossesi 3, 18-21)
Ai figli raccomanda l’obbedienza, ma un’obbedienza filiale, non da schiavi o da militari. Ma lasciamo da parte i doveri dei figli. (Avremo altre occasioni di parlare ad essi , senza contare che i padri di oggi sono i figli di ieri e i figli di oggi saranno i padri di domani e che quindi il discorso interessa tutti). Cosa si richiede ai padri? Di “non esasperare” i figli; cioè, positivamente, di avere pazienza, comprensione, di non esigere tutto subito, saper aspettare che i figli maturino, saper scusare gli sbagli. Non scoraggiare con continui rimproveri e osservazioni negative, ma piuttosto incoraggiare ogni piccolo sforzo. Comunicare senso di libertà, di protezione, di fiducia in se stessi, di sicurezza. Come fa Dio, che dice di voler essere per noi una “roccia di difesa” e un “aiuto sempre vicino nelle angosce” (Salmo 46)
A un padre che volesse sapere tutto quello che non deve fare nei confronti del figlio, consiglierei di leggere la famosa Lettera al padre di F. Kafka. Il padre gli aveva chiesto perché mai avesse paura di lui e lo scrittore gli risponde con questa lettera intrisa di amore e di tristezza. Quello che rimprovera al padre è soprattutto di non essersi mai reso conto del “potere” tremendo che egli aveva, in bene e in male, su di lui. Con i suoi perentori: “E non una parola di replica!”, l’aveva inibito fino a fargli disimparare quasi a parlare. Portava a casa da scuola una gioia, una piccola impresa infantile, o un buon risultato? La reazione era : “Ho altro a cui pensare io!”. (“Altro cui pensare” era il suo lavoro, il negozio). Mentre si intravede, da qualche raro squarcio positivo, quello che egli avrebbe potuto essere per il figlio: l’amico, il confidente, il modello, il mondo intero.
Non avere paura di imitare qualche volta, alla lettera, Dio Padre e dire al proprio figlio o figlia, se le circostanze lo richiedono, da soli o davanti ad altri: “Tu sei mio figlio diletto! Tu sei mia figlia diletta! Di te mi sono compiaciuto!” Cioè, sono fiero di te, di essere tuo padre! Se viene dal cuore e al momento giusto, questa parola fa miracoli, mette le ali al cuore del ragazzo o della ragazza. E per il padre è come generare una seconda volta, più consapevolmente, il proprio figlio.
Una cosa soprattutto è necessario imitare, di Dio Padre: egli “fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Dio ci vorrebbe migliori di come siamo, più buoni, ma ci accetta e ci ama già così come siamo, ci ama in speranza. Anche un padre terreno (qui il discorso vale però anche per le mamme) non deve amare solo il figlio ideale, quello che aveva vagheggiato: brillante a scuola, educato, riuscito in tutto…Deve amare il figlio reale che il Signore gli ha dato, stimarlo per quello che è e che può fare. Quante frustrazioni si risolvono accettando serenamente la volontà di Dio circa i figli, pur naturalmente facendo ogni sforzo educativo su di essi.
Termino formulando a tutti i papà in ascolto un augurio: che i vostri figli siano ora la vostra gioia, un domani il vostro sostegno e in cielo la vostra corona.

Fonte:http://www.cantalamessa.org/

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