Don Paolo Zamengo,"Dov’è il tuo tesoro"

VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (26/02/2017)
Dov’è il tuo tesoro         Mt 5, 38-48
Gesù chiama il denaro “padrone”. Chiamarlo così è rendergli un grande onore. Troppo onore, ma è la
verità. Il denaro su questa terra regna sovrano. Ha servitori e schiavi. Calcoliamo il valore delle cose da quanto costano. Misuriamo gli uomini per quello che rendono. Con il denaro si compra tutto, anche il corpo. Purtroppo anche l’anima e, talvolta, persino Dio. È inutile nasconderselo: il denaro è il vero re di questo mondo.

Oggi, Gesù vuole liberarci e sottrarci al suo dominio. “Nessuno può servire a due padroni, a Dio e alla ricchezza”. Bisogna scegliere, perché il denaro ha il potere di rendere Dio superfluo e inutile.

La povertà, quella che rende drammaticamente insicuro il domani e talvolta anche l’oggi, è da noi e per noi, abbastanza rara. Quasi tutti siamo al riparo da questo pericolo. Abbiamo tante assicurazioni-vita fin dalla culla, grazie a Dio. ‘Grazie a Dio’… per dire che siamo sufficientemente organizzati o fortunati da metterci al sicuro con le nostre mani. Altro che ‘grazie a Dio’, grazie a noi.

Non è un peccato essere previdenti ma questa esasperata industriosità nasconde una trappola che riduce il nostro orizzonte e restringe il nostro campo visivo. Come ancorarsi a Dio e a lui solo, se tutto è già pianificato e tutto calcolato, fuorché lui? Come cercare il regno di Dio se il di più ci è già stato assicurato in anticipo? Come gareggiare nell’amore se tutto è semplicemente dovuto?

Il fatto è che la povertà ha cambiato casa. Non abita più qui. Ma dilania ancora, clamorosamente e dolorosamente, una grande parte dell’umanità. Noi non siamo che una minoranza privilegiata. Facciamo parte di coloro che mangiano a sazietà e apparteniamo a una minoranza, ancora più piccola, di coloro che hanno tutto in abbondanza.

Altri, molti altri, troppi altri, vivono invece sotto la soglia della povertà. Ce ne rendiamo conto ma non sappiamo cosa fare per invertire questo processo diabolico. La nostra carità, dal punto di vista umano, è soltanto una goccia. È proprio questa la nostra povertà straziante. Non essere capaci di fare di fare di più. Siamo quasi inutili di fronte all’immenso pianto del mondo.

Per cambiare il corso degli eventi e poter raggiungere i poveri non abbiamo che una sola speranza e una sola garanzia: la Parola di Gesù. “Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno”. Nella parola di Gesù tutti ci ritroviamo. C’è un altro che sa, che si preoccupa e che è sempre all’opera.

Questa è la differenza tra chi rincorre la realizzazione di sé al servizio del mondo e chi si lascia dolcemente realizzare da Dio al servizio del suo regno.

Per chi nella fede si abbandona a lui, il Padre assicura il successo nel regno ma assicura anche tutto ciò di cui ha bisogno sulla terra e anche il di più e il gratuito: “Osservate come crescono i gigli del campo: neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.

L’affanno per la ricchezza molto spesso impoverisce. Impoverisce il cuore.  La povertà o, se preferite, la sobrietà può essere la strada per diventare più ricchi di umanità e di Dio. Perché il tempo e la terra non li produciamo noi, li possiamo solo ricevere, custodire, accudire, gestire, come dono e promessa. Non siamo i padroni del mondo. Lo abitiamo, ci ama, ci nutre e ci fa vivere, ma siamo solo suoi ospiti.

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