Padre Paolo Berti, “Lazzaro, vieni fuori!”

V Domenica di Quaresima Gv.11,1-45 “Lazzaro, vieni fuori!”
Omelia 
Probabilmente, quello che colpisce di più nella risurrezione di Lazzaro è il pianto di Gesù.

Colpisce, e certo noi condividiamo l’osservazione di molti dei Giudei presenti al lutto: “Guarda come l’amava”. Osservazione alla quale seguì quella malevola di altri che dissero: “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?".
La risposta a questa osservazione ce la dà Gesù: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Queste parole ci dicono che il pianto di Gesù non poteva essere solo per la perdita dell’amico; esso si colloca su un orizzonte più vasto, su di una perdita più ampia e definitiva, quella di tanti che pur vedendo quel miracolo rimasero chiusi alla Verità decidendo di mettere a morte Gesù. Quel pianto riguarda le conseguenze di quel miracolo, che dà gloria a Dio, ma anche dà il via all’ostilità più assoluta del Sinedrio contro Gesù. Quel pianto non vive solo del dolore per l’amico Lazzaro, e più in generale per la morte dell’uomo, vive del dolore di sapere che la risurrezione di Lazzaro darà il via alla sua morte, che sarà la sua glorificazione, come dirà nella preghiera dell’ultima cena (Gv 17,1).
Gesù si trovava in quei giorni nel deserto di Giuda presso il Giordano, dove Giovanni aveva svolto la sua missione (Gv 10,40).
Gesù andò allora a Betania, un villaggio a tre km da Gerusalemme lungo la strada che conduceva a Gerico. Dunque, Gesù andò nella Giudea, dove l’ostilità nei suoi confronti era fortemente cresciuta, essendo alimentata dal potere del tempio.
I discepoli sanno che Gesù rischia la morte: "Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?". Sanno che anche loro rischiano la morte, ma Tommaso con coraggio dice: "Andiamo anche noi a morire con lui!". Generosità grande questa, ma fondata sulla forza che presumeva di avere e soprattutto viziata dalla prospettiva di morire con una spada in mano, combattendo.
Gesù non indietreggia vedendo profilarsi la sua ora. La sua morte, tante volte annunziata, non sarà per un’imprudenza, perché ha fatto degli errori, ma perché ha amato, perché è la Luce del mondo che non può stare nascosta.
Gesù partì due giorni dopo aver appreso della malattia di Lazzaro; prima è trattenuto presso persone che non poteva lasciare subito.
Giunto a Betania, ecco il miracolo della risurrezione di Lazzaro.
Di fronte al cieco nato che acquista la vista i suoi avversari si erano destreggiati sull’identità anagrafica del cieco, sulla sua cecità fin dalla nascita; avevano cavillato, messo in campo anche il principe dei demoni, che non può fare assolutamente i grandi miracoli che faceva Gesù. Ma ora un morto, in stato di avanzata decomposizione, come tutti ebbero modo di costatare dal fetore che uscì dal sepolcro, ritornava in vita. La putredine aveva lasciato il posto ad un corpo vivo e sano. Lazzaro era risuscitato; non si poteva cavillare su di una morte apparente; non su di una messa in scena da prestigiatore. Eppure, molti degli astanti si indurirono e andarono dal Sinedrio perché Gesù fosse messo a morte. Ecco la ragione più profonda del pianto di Gesù.
"Guarda come l’amava”, dissero in molti; vero, ma non compresero la piena ragione di quel pianto. E noi, fratelli e sorelle, dobbiamo vedere tutto di quel pianto, altrimenti corriamo il rischio di pensare ad un Gesù stordito di fronte alla morte dell’amico, a un Gesù che si lascia andare inerte, dopo avere gridato: “Io sono la risurrezione e la vita”, e prima: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio”. Il Vangelo non ci presenta un Gesù stordito, inerte. La narrazione del miracolo di Lazzaro, la più lunga delle narrazione di un miracolo, ci fa entrare nel cuore di Gesù.
Non dobbiamo alterare la persona di Gesù proiettandovi le nostre idee, il nostro umano imperfetto. Gesù diceva: “Guai a voi ricchi…” (Lc 6,24); ed ecco che Gesù lo facciamo diventare un insurrezionista, un eroe della lotta di classe. Se poi non ci piace un Gesù sulle barricate lo facciamo diventare un arreso che geme sconsolato di fronte ai ricchi e che nel gemito dice: “Guai a voi ricchi…”. Questo non è Gesù!
Ma noi, fratelli e sorelle, conosciamo Gesù, e non ci faremo ingannare da nessuno. Mi ricordo di una suora, che dopo aver sentito tante cose che non le tornavano su Gesù, si distanziò dal conferenziere dicendo: “Gesù è Gesù”. Sì, Gesù è Gesù! Egli è “riconoscibile fra una miriade” (Ct 5,10). Quella suora lo aveva colto nella meditazione orante dei Vangeli, lo aveva accolto nel cuore nella Comunione, giorno dopo giorno. Lo aveva contemplato come il modello della sua esistenza: conosceva Gesù.
Il pianto davanti alla tomba di Lazzaro era dolore nel vedere come il miracolo della risurrezione di Lazzaro non avrebbe smosso tanti cuori, anzi quel miracolo li avrebbe ancor più induriti. Quel miracolo diventava un passo verso la croce, per morire e risorgere da morte al fine di dare la vita al mondo.
Aveva un’umanità perfettissima il Signore, innocente, immacolata. Sul suo volto si stampavano emozioni limpide. I suoi occhi avevano tutte le tonalità dello sguardo, in maniera perfetta: fulmineo e fulminante, tenero e dolce, lontano e orante, sicuro, penetrante. Un’umanità perfetta che aveva unita a sé la perfezione di Dio, e perciò perfettissima. Egli è il Figlio di Dio, riconoscibile anche se non avesse compiuto miracoli (Gv 4,48), ma miracoli fece per venire incontro alle nostre sofferenze e facilitarci il credere in lui (Gv 14,11). La fede di Marta era grande: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo". Questa la fede della Chiesa; questa la nostra fede, per la quale viviamo e vivremo in eterno.
“Lazzaro, vieni fuori!”, un grido che ha in sé la decisione di abbracciare la croce per dare la vita eterna (Gv 3,15; 3,36). Il grido di Gesù è un grido rivolto ad ogni uomo, a ciascuno di noi.
Il nostro corpo, ci dice Paolo, è morto a causa del peccato, cioè del peccato originale. E’ morto perché tende a fare le opere del peccato; perché conosce i morsi della concupiscenza e conoscerà infine la morte. Ma, chi è in Cristo ha nel suo cuore lo Spirito di Cristo, cioè lo Spirito Santo, che era, ed è, nel cuore di Cristo. E l’avere lo Spirito di Cristo vuol dire essere uni col Cristo. E lo Spirito di Cristo, che dà la vita ai nostri cuori, nel giorno della risurrezione, darà vita anche ai nostri corpi.
Siamo giustificati in Cristo, il peccato non è più in noi; resta la concupiscenza, che non è affatto un peccato, ma solo la conseguenza dell’antico peccato. Ma, dalla diuturna lotta contro il peso della carne, sul quale spesso agisce il Demonio, e il mondo, noi traiamo l’altezza del premio che Cristo ci darà.
Chi non possiede lo Spirito di Cristo, dice ancora san Paolo, non appartiene a Cristo; non conosce Cristo. E se anche legge e studia la parola di Cristo, questa non è per lui parola di vita, che lo salva, ma diventa parola di condanna, perché egli rifiutando lo Spirito la oscura, la piega a dire ciò che la parola non dice.
“Gesù è Gesù”, disse, difendendosi, quella suora che non aveva grande istruzione, ma che aveva lo Spirito di Cristo, il quale è Spirito di conoscenza di Gesù. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Fonte: http://www.perfettaletizia.it/

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