dom Luigi Gioia, "Quando il senso svanisce"


Quando il senso svanisce
dom Luigi Gioia  
Domenica delle Palme (Anno A) (09/04/2017)
Vangelo: Is 50,4-7; Sal 22; Fil 2,6-11; Mt 26,14-27,66 
C'è qualcosa che l'uomo della Bibbia teme ancora più della sofferenza fisica, del dolore e delle prove
della vita. C'è una forma di afflizione interiore legata direttamente alla relazione con il Signore che più di ogni altra chiude l'orizzonte e fa paura. Essa si esprime quando il salmista geme in espressioni di questo tipo: Perché Signore, ti tieni lontano, nel momento di pericolo ti nascondi? oppure: Dirò a Dio, mia roccia, perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?. L'umiliazione, la confusione e la vergogna per l'autore biblico risultano dal non capire: Riflettevo per comprendere, ma fu una fatica ai miei occhi.
Ci sono circostanze nella vita nelle quali proprio per chi mette tutta la sua fede e tutta la sua speranza in Dio, proprio per chi cerca maggiormente di affidarsi a lui e di fare la sua volontà, ad un certo punto l'orizzonte si chiude. Svanisce il senso di quello che sta succedendo, si comincia ad essere tentati di dubitare dell'amore del Signore, a temere che abbia perso il controllo della storia. Ed in queste occasioni, lentamente, spesso con grande sofferenza, si insinua il tarlo del dubbio, si scivola lentamente nella disperazione.
Proprio nel momento di più grande oscurità, però, lentamente, faticosamente, il Signore ci introduce in una dimensione nuova della relazione con lui. Il drammatico racconto della passione di Gesù ci aiuta a comprendere come questo avviene.
In questi momenti è prima di tutto fondamentale non colpevolizzarsi. Quando vediamo che il nostro cuore vacilla, che in questi momenti perdiamo lo slancio che aveva animato fino ad allora la nostra vita di fede, che l'entusiasmo scema, che non riusciamo a reagire positivamente come vorremmo, non dobbiamo temere, perché il Signore non solo non ci condanna e non ci giudica, ma ci fornisce lui stesso le parole per esprimere questa sofferenza, per trasformarla in preghiera. Nei momenti di impotenza tutto quello che possiamo fare è cercare di trasformarla in preghiera.
Per questo abbiamo le parole dei salmi, ma soprattutto quelli della liturgia di questa domenica delle palme. Le parole che ci sono offerte sono quelle del salmo 21, le stesse che Gesù ha pronunciato sulla croce: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?
In questo risiede la singolarità della nostra fede e della nostra relazione con il Signore: in esse vi è spazio non solo per il ringraziamento e la lode, ma anche per la delusione, per l'amarezza e addirittura per la collera. Occorre aggiungere: vi è spazio anche per la disperazione. È un errore cercare di attenuare il carattere inaudito, scandaloso, del grido di disperazione di Gesù sulla croce, del Figlio che dice al Padre, di Dio che dice a Dio: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Colui che è venuto come nostro modello e dal quale impariamo cosa voglia dire essere figli del Padre ci appare in questo momento supremo non in una serena accettazione della volontà di Dio, ma nell'atto di gridare la sua disperazione, il suo dolore, la sua sofferenza, la sua solitudine. Il Figlio dice al Padre: perché mi hai abbandonato? Se il Signore ha spinto il suo abbassamento, la sua confusione, la sua umiliazione e la sua agonia fino a voler fare l'esperienza di questa disperazione, fino a volerla urlare, abbiamo il dovere di prenderla sul serio e di accettarne le conseguenze.
La vita di fede non ci risparmia le esperienze limite, la solitudine e l'angoscia. La vita di fede ci chiede non di ignorarle, non di sminuirle, ma veramente di gridarle, come ha fatto Gesù. Gesù non ha cercato di nascondere né a se stesso, né al Padre, né a noi, questo momento di tenebre, ma lo ha esposto agli occhi di tutti. Lo ha fatto perché vuole che ci sentiamo autorizzati a farlo anche noi, in lui, con lui, grazie a lui.
C'è una frase del salmo 66 che rischia di passare inosservata, ma che forse meglio di qualunque altra esprime questo aspetto paradossale della relazione con Dio e della vita di fede: persino la collera dell'uomo ti da gloria. Questa è Parola di Dio. Questa frase del salmo ci insegna che diamo gloria a Dio essendo autentici davanti a lui. Diamo certamente gloria a Dio lodandolo, quando siamo nella gioia o quando scopriamo i motivi per lodarlo; diamo certamente gloria a Dio ringraziandolo per i suoi benefici e adorandolo per la sua grandezza. Ma siamo veri, siamo autentici nella nostra relazione con lui, gli diamo gloria soprattutto quando abbiamo il coraggio di presentargli la nostra umiliazione, la nostra incapacità di capire, la nostra sofferenza, la nostra rivolta interiore, la nostra collera.
In questa settimana santa lasciamo che il Signore ci liberi da tutto quello che ci ostacola nella relazione con lui. E questo grido di Gesù sulla croce: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? ci aiuti a capire fino a che punto il Signore vuole essere con noi e vuole che noi restiamo con lui. Il Signore vuole essere con noi fin nella tenebra nella quale siamo tentati di dubitare della sua presenza. Vuole che restiamo con lui in questo momento nel quale siamo esposti al grido di disperazione, di solitudine e di angoscia che dobbiamo saper accogliere come un grido che è stato fatto per noi e che Cristo è sempre pronto a ripetere con noi per liberarci.

Fonte:http://www.qumran2.net

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