don Enzo Pacini," La resurrezione, un fatto che sconvolge"

La resurrezione, un fatto che sconvolge
Domenica 16 aprile - PASQUA DI RESURREZIONE - «Egli doveva risuscitare dai morti»
12/04/2017 di Enzo Pacini*
Commentare, anche brevemente, la liturgia della Pasqua del Signore è veramente difficile.
Innanzitutto per la grande varietà di brani biblici che vengono proposti a partire dalla Veglia, poi per la grandezza del mistero proclamato, di fronte al quale le parole e l’esperienza umana mostrano tutto il loro corto respiro. Annunciare e proclamare la vittoria di Cristo sulla morte significa ribaltare totalmente l’impianto della creazione, della stessa concezione del tempo e dello spazio, un dato ancora più incredibile del «Giordano che si volge indietro»(Sal 113,3) o del  sole che si ferma in Gabaon (cf. Gs 10,12).  Da questo punto di vista, mi si passi il termine, la Pasqua ha una certa dimensione «caotica», nel senso che determinati confini sono saltati. Già nella crocifissione Matteo sottolinea lo sconvolgimento cosmico che scoperchia le tombe in una sorta di partecipazione anticipata a questa nuova creazione (cf. Mt 27,52).

Non si tratta di un caos assoluto ma ai nostri occhi la Pasqua può essere talmente sconvolgente da intimorire. Questo disagio lo ritroviamo nell’esperienza dei due di Emmaus, che all’annuncio della tomba vuota non sanno cosa pensare (cf. Lc 24,24), negli apostoli riuniti che accolgono il risorto con il timore riservato alle apparizioni spettrali (cf. Lc 24,37). È indubbio che nella nostra esistenza anche eventi duri o traumatici vengono elaborati per ritrovare una certa stabilità. Rassegnarsi, darsi pace, elaborare il lutto, sono strategie per poter proseguire nella vita ritrovando un certo equilibrio. La pasqua di Gesù turba questo equilibrio, ci parla di un mondo che irrompe nel presente e ne mette in luce la drammatica incompiutezza.

Gesù aveva già in precedenza invitato a lasciare che i morti seppellissero i loro morti (cf. Lc 9,60), un invito a veleggiare in mare aperto, nell’oceano della novità di Dio. È la disponibilità ad abbandonarsi allo Spirito che porta perfino dove uno non vuole (cf. Gv 21,18), lasciando totalmente gli ormeggi e imbarcandosi in questa avventura che, ancora più che per Abramo, non dà garanzie evidenti. Uno dei  paradossi della Pasqua è proprio questa mancata rassicurazione: il Cristo non si lasca incasellare solo nel suo passato, anche se ricco di insegnamenti e messaggi di salvezza, egli è il vivente, «colui che è,  che era e che viene» (Ap 1,8). Come tale non è possibile astrarre da un rapporto che si sviluppa quotidianamente, in un dialogo che è preghiera, ascolto, prassi, relazione, vita comune. Non si tratta solo di preservare un corpus di dottrine, e neppure solo viverle in modo adeguato, occorre farsi attenti a lui che continua a interagire con questo mondo, con il nostro mondo, in un andare e venire, in questa spinta e attrazione che diventa ricerca dei passi da fare giorno per giorno, dei segnali che lo Spirito dispone sul nostro cammino. Ma è pure vero che questo mondo non è più del tutto nostro, siamo anche già concittadini dei santi (cf. Ef 2,19), membri di una città dalle salde fondamenta, siamo perfino già risorti,cosa che sembrerebbe  una bestemmia o una solenne smargiassata, se non fosse che Paolo stesso lo afferma in modo netto (cf. Col 3,1).

Potremmo dire, banalizzando, che abbiamo una doppia cittadinanza, cosa che alle volte può essere utile ma altre volte può creare anche qualche problema; essa dice principalmente che siamo ormai uomini della soglia, con le valigie fatte e avendo cenato in piedi come la notte dell’ Esodo e la porta aperta sul mistero che ci viene incontro.

*Cappellano del carcere di Prato

Fonte:http://www.toscanaoggi.it/

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