MONASTERO DI RUVIANO, DOMENICA DELLE PALME

DOMENICA DELLE PALME
Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Mt 26, 1 -27, 66
            E’ il giorno dell’ “Osanna”, è il giorno dell’inizio della Grande Settimana in cui fisseremo lo
sguardo ed il cuore su tutti i misteri culminanti della nostra redenzione.

            E’ la Pasqua del Signore! Oggi inizia la Pasqua del Signore e noi, sua Chiesa, ci mettiamo, anche quest’anno, sui suoi passi per percorrere con lui le vie dure e luminose di questi giorni santissimi, i più santi dell’anno, che ci immergeranno negli eventi fondanti della nostra fede, negli eventi fondanti di ogni nostra speranza, negli eventi fondanti che ci faranno capaci di amare pagando il prezzo dell’amore.

            Oggi tutto inizia con una folla che accoglie il Messia mite che  entra nella santa città e la Chiesa ci fa compiere lo stesso gesto di quella folla per aprire la Santa Settimana; ci fa agitare rami di palme e d’olivo, ci fa cantare l’ “osanna” di giubilo.

            Matteo sottolinea molto che la folla è grande e che segue e precede Gesù che cavalca l’asino che ha voluto gli fosse procurato per questo ingresso simbolico in Gerusalemme.

            Molta folla … ma questa gran folla capisce che sta facendo? Quella di allora … ma anche quella di oggi … noi …

            Subito dopo, Matteo dice che Gesù dichiara che Gerusalemme non l’ha accolto (cfr Mt 24, 37-38), prima ancora ha fatto seccare il fico sterile, simbolo di Gerusalemme, di Israele, incapaci di accogliere il Messia, l’Inviato dal Signore (cfr Mt 21, 18-22).

            Nel Quarto Evangelo si dice che Gesù, dinanzi ad alcuni che facevano grandi proclamazioni nei suoi confronti, “non metteva fede nella loro fede” (cfr Gv 2, 24); mi pare che anche qui Gesù comprende di non essere davvero accolto, non si fida di quegli “osanna” festanti e di quei gesti di acclamazione; infatti, se leggiamo con attenzione il racconto di Matteo, ci accorgiamo che Gesù resta silenzioso mentre la folla lo acclama; alla fine il racconto termina con una verità che Matteo deve confessare, anche a costo di contraddire, in qualche modo, tutta la scena trionfale che prima ha descritto; scrive così: Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: “Chi è costui?”. E la folla rispondeva: “Questi è il profeta Gesù, da Nazareth di Galilea”.

            Quante volte alla Domenica delle Palme ci siamo detti che era l’ora di accogliere Gesù nelle “mura della nostra città”, nella “città della nostra vita”, nella “città” che è la Comunità cristiana in ogni oggi della storia!

            Se ci riflettiamo bene, però, dobbiamo chiederci, e dobbiamo farlo anche noi in questo anno, in questa Domenica delle Palme: “Chi è costui?” Chi stiamo accogliendo? Sappiamo che anche oggi, dicendo il nostro “osanna”, abbiamo accolto il Crocefisso?

            Non è strano, infatti, che in questa domenica, da tempo inveterato, nella Liturgia Romana si legga il lungo racconto della Passione. Un racconto – quest’anno quello di Matteo – che è chiarificatore proprio di quella identità: “Chi è costui?”. Abbiamo accolto davvero il Protagonista di questa Passione dolorosa? Abbiamo davvero accolto il Crocefisso che è stato “annoverato tra gli empi” (cfr Is 53,9)? Abbiamo accolto davvero colui che muore con un enigma senza risposta sulle labbra? Abbiamo accolto davvero colui che ha offerto il suo corpo spezzato ed il suo sangue versato?

            Il racconto della Passione è certamente una provocazione alla nostra fede cristiana: è davvero fede “cristiana”, è cioè, sequela di questo Messia e non di un Messia frutto delle nostre proiezioni, dei nostri desideri, dei nostri deliri religiosi, dei nostri bisogni di una “religione” di certezze e di esenzioni?

            Nell’apprestarci a celebrare la Pasqua, in questo anno ulteriore che ci è dato, è questa una domanda importante; dobbiamo farci convinti che noi siamo discepoli di un Messia crocefisso, di uno che per la storia è stato assolutamente un perdente, di uno che ha vinto, ma non secondo le vittorie mondane, ma l’ha fatto perdendosi, di uno che apre le nostre tombe ma con la sua discesa in una tomba, di uno che “spogliò se stesso e assunse la forma di schiavo” (cfr Fil 2, 7).

            Se comprendiamo questo capiremo che celebrare la Pasqua, anche con i gioiosi “alleluia” della Notte santa della Risurrezione, non è celebrare una festa trionfalistica che ci mette tra i trionfatori della storia, è invece celebrare un amore che vince la morte ed è caparra di risurrezione per noi e per le nostre morti, ma attraverso una sequela di un Crocefisso.

            Celebrare la Pasqua significa dire un sì a questa sequela, a questo modello di uomo; celebrare la Pasqua di Gesù significa accogliere l’uomo che Gesù è stato per plasmare su quell’uomo la nostra umanità quotidiana, prosaica, minuta, con i suoi gesti ordinari; è volere per noi un’umanità come la sua che vince perdendosi.

            Celebrare la Pasqua significa scegliere davvero di essere discepoli del Messia Gesù che ha detto: “Chi salverà la propria vita la perderà e chi perderà la propria vita la troverà” (cfr Mt 16,25) … lo ha detto e lo ha fatto per primo.

            E’ questo il Messia che accogliamo oggi con  il nostro “Osanna”? Diversamente inganniamo noi stessi, l’Evangelo e la storia.
Fonte:http://www.monasterodiruviano.it/

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