padre Gian Franco Scarpitta, "E' veramente risorto perché non moriamo più"

E' veramente risorto perché non moriamo più
padre Gian Franco Scarpitta  
Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno A) (16/04/2017)
Vangelo: Gv 20,1-9 
"Tutto è perduto e tutto cade, se Cristo non è risorto. Tutto dipende dalla risurrezione di Cristo",
esclamava San Giovanni Crisostomo. Seppure accettassimo tutti gli altri articoli di fede cristiana quali l'incarnazione e la verginità di Maria, essi non ci farebbero effettivamente cristiani se non riponessimo la nostra vede in questo evento: la fuoriuscita gloriosa di Gesù dal sepolcro, la sua risurrezione. E' questo infatti l'evento basilare della nostra fede, che esalta tutti gli altri argomenti del nostro Credo e senza il quale questi non avrebbero sussistenza. Non avremmo dottrine, orientamenti di vita, direttive per il semplice fatto che quasi nulla sapremmo di Gesù Cristo. Senza la resurrezione infatti non sarebbe avvenuta la cosiddetta "cristologia esplicita", cioè l'annuncio degli apostoli, la loro predicazione affascinata ed entusiasta, la loro organizzazione comunitaria che ha accolto sempre più membri nella chiesa, la stesura dei testi dei testi dei Vangeli canonici, redatti in conseguenza delle catechesi degli stessi apostoli all'interno delle singole comunità cristiane. Non affolleremmo di conseguenza le nostre chiese tutte le domeniche e non avrebbe senso la scelta vocazionale del sacerdozio e della vita religiosa. Se Cristo non fosse risorto, avremmo già creduto al massimo in un mentecatto autoesaltato e ciarlatano, capace di farsi ammazzare per una smania personale e di soffrire per puro masochismo, ma questo mentecatto passo esaltato non avrebbe causato la divisione della storia in due tronconi (Avanti Cristo e dopo Cristo) e le sue imprese non avrebbero avuto ancora oggi il grosso riverbero che di fatto hanno. Se Cristo non fosse risorto, i suoi seguaci della prima stagione, a meno che non fossero tutti degli squilibrati esaltati, non avrebbero affrontato la persecuzione e la morte in pasto alle fiere o avvinti dalle fiamme, solo per un mero ideale o per una chimera non destinata a durare nel tempo. E' proprio come afferma Paolo: "Se Cristo non è risorto, vana è la nostra predicazione e vana è la vostra fede e voi siete ancora nei peccati"(1Cor 15, 14). Prescindendo allora da ogni altro argomento apologetico intorno a questo avvenimento, nessuno allora può ragionevolmente negare che Cristo sia risorto. Piuttosto, come afferma Pietro, "non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere"(At 2, 24) perché da vero Dio e vero Uomo Cristo era in grado di sconfiggere la morte, anche se ne ha affrontato tutti gli imprevisti e ne ha sofferto tutte le angosce. Vero Dio e vero uomo, ha condiviso con tutti gli uomini lo smarrimento, la paura, l'inquietitudine che il trapasso, soprattutto nella forma crudele, comporta per ciascuno di noi, ha fatto proprie le nostre apprensioni e le nostre preoccupazione nello spasimo in vista dell'estremo supplizio, ciononostante una volta affrontate le oscurità del sepolcro, da esso è uscito incolume e vittorioso. E' risuscitato. Solo il Figlio di Dio poteva dominare la morte e sottometterla, e se ne fosse rimasto asservito non era certo da definirsi tale. Solo il Signore della vita poteva avere ragione della morte e di fatto egli l'ha sottomessa non senza averla presa di petto inesorabilmente.
Aveva dato un saggio del suo trionfo sulla morte quando aveva mostrato di saper conciliare il trinomio dolore - morte - risurrezione nell'episodio del richiamo in vita dell'amico Lazzaro, quando questi ormai giaceva nel sepolcro da quattro giorni: aveva pianto per condividere il dolore e la sofferenza con chi è in angoscia per la perdita di un caro amico, ma aveva subito fatto uscire Lazzaro dal sepolcro nonostante i vincoli delle bende e del sudario. Adesso ad uscire dalla tomba, piegando ben bene il sudario da parte e lasciando le bende per terra, è stato lui stesso. Aveva fatto si che Lazzaro risuscitato consumasse il pasto a tavola, adesso è lui stesso che, una volta risorto dai morti, mangia a mensa con i suoi discepoli.
Attenzione: non stiamo semplicemente parlando di un cadavere riabilitato che esce al sepolcro, neppure di un redivivo che è tornato in vita a seguito di un errore di valutazione sulla morte cerebrale. Stiamo parlando di Colui che ha misteriosamente divelto la pietra della tomba, nella versione di Matteo sigillata e sottoposta a stretta sorveglianza, che è uscito dagli spazi angusti del sepolcro liberandosi dalle bende e lasciando il sudario in un angolo, ben piegato! Di Colui che è poi apparso a più di cinquecento persone in uno speciale stato di incorruttibilità somatica e di gloria indefinita, mostrando ancora ai discepoli la tangibilità del suo corpo invitto ed elevato. E che ha avuto capacità intanto di interagire con i suoi, di mangiare con loro (sebbene non ne avesse bisogno), di spiegare loro le Scritture passo dopo passo. Mostrando le mani, i piedi e il costato come realtà di un corpo rinnovato e glorificato, non più soggetto alle asperità del quotidiano.
A che scopo la morte e la resurrezione di Cristo? Quale rilevanza assume la sua resurrezione per noi uomini abituati a una cultura di morte, che non si configura sotto il solo aspetto fisico materiale?
Sempre a proposito della resurrezione dell'amico Lazzaro, Gesù aveva detto: "Io sono la risurrezione e la vita; chiunque vive e crede in me, anche se muore vivrà" La nostra fede nel Cristo ci rassicura che anche nella nostra condizione umana è possibile vincere la morte, che possiamo coltivare la speranza nella vita futura e che ci si dispiega, in avvenire, la prospettiva dell'eternità. Nessuno è abbandonato a se stesso nel momento del trapasso e nessuno è destinato a perire perché "Cristo risuscitato non muore più (Rm 6, 9)" e la parola definitiva anche per noi è vita eterna. Ciò ci incoraggia a persistere nell'oggi nell'aspettativa del domani, a sperare nella gloria futura e che ci attende e a cercare le cose di lassù (Col 3, 1 - 4) mentre procede la vita di quaggiù. Ma la resurrezione ci da' anche la certezza che vivere in Cristo equivale a non vivere in anticipo la propria morte, a vivere in pienezza la nostra quotidianità e a non disperdere vanamente il nostro tempo in tutto ciò che ci si propone come esaltante e che invece è deleterio. Vivendo la radicale sequela di Cristo, affascinandoci della sua parola e dei suoi insegnamenti, optando risolutamente per lui in ogni situazione fuggendo il peccato e il compromesso, possiamo partecipare alla sua vita divina anche a prescindere dal mondo ultraterreno.
Rifiutare la novità del Regno apportata dal Risorto e ostinarci nell'orrore e nel peccato equivale invece a protrarre la presenza di Cristo nel sepolcro e ad edificare sepolcri ai quali soccombere inconsapevolmente noi stessi, perché non vi è espediente più efficace del peccato per vanificare la resurrezione e segnare la nostra condanna.
Scrive Chesterton: "Noi siamo seguaci di uno che si lascia crocifiggere e rinchiudere nel sepolcro. Però resta nel sepolcro soltanto tre giorni. Lo sappiano tutti coloro che gli preparano nuove crocifissioni e nuovi sepolcri."
La Pasqua è la invece la gioia di poter vivere da risorti nel Risorto. Ed è quanto noi oggi auspichiamo gli uni per gli altri.
AUGURI SINCERI DI BUONA PASQUA A TUTTI

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