Mons.Antonio Riboldi, "Solennità dell’Ascensione di Gesù al Cielo"

Solennità dell’Ascensione di Gesù al Cielo

28 maggio 2017

Dona sempre tanto conforto pensare e sapere che questa vita non è un camminare senza senso e verso
il nulla, ma è un accostarsi al giorno del nostro ritorno a Dio … come una vigilia, vivendo, in ogni momento, lo stupore degli Apostoli, che assistono all’ascensione di Gesù.

Così inizia il racconto degli Atti sul giorno di Gesù, che ascende al Cielo:

‘Gesù si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio.’

In 40 giorni – ben piccola cosa di fronte alla storia che conosce i tempi lunghi – si è come ripetuta la sofferenza e la bellezza della creazione. Gesù ci ha riaperto il Cielo, al termine di una storia chiusa in una manciata di giorni: i giorni dell’obbedienza al disegno del Padre, per riconciliare a Sé tutta l’umanità, nella umiliazione e sofferenza della passione e del sacrificio con la morte in croce. Ma con la Resurrezione, con l’incredibile stupore degli Apostoli nel vedere vinta la morte, nel constatare che, di fronte all’amore che si immola, chi ha la peggio è sempre la cattiveria, il peccato, la Chiesa può ripetere ieri, oggi e sempre: ‘L’Amore è più forte’, come a stamparlo nella mente e nel cuore, fino a diventare l’unica esperienza che conosciamo e viviamo, il centro stupendo della vita. E’ in Gesù risorto che diciamo anche noi, assediati a volte da violenze ed assurdità, da tragedie e rifiuti, da meschinità e dolori umanamente incomprensibili: ‘L’Amore è più forte’!

Oggi la Chiesa fa festa per il trionfo dell’Amore in Gesù che, dopo 40 giorni dalla Sua Resurrezione, rassicurando i suoi della Sua continua Presenza, torna al Padre: ascende in Cielo, dove sappiamo che ha la Sua sede, ma restando sempre con noi ogni istante, fino a farsi compagno nel cammino per risorgere anche noi e con Lui, un giorno, salire al Cielo.

Il segreto della vita è tutto qui: una vita dataci come dono, perché possa realizzarsi in pienezza nel ritorno a Casa, in Cielo.

Ascoltiamo e lasciamoci inondare da tale misericordiosa realtà:

‘ … venutisi a trovare insieme, gli domandarono: ‘Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?’. Ma egli rispose: ‘Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra’.

Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse ai loro sguardi.

E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato tra voi assunto al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo’.” (At. 1, 1-11)

Ora i discepoli sanno che Gesù non è più soggetto alla miseria e fragilità della nostra natura umana: continua ad essere tra noi, non in forma provvisoria, ma per sempre, nella pienezza della Sua potenza, pronto a farci partecipi di tale ‘potenza’ (e lo dimostra la vita di tutti i Santi, a volte in modo sbalorditivo). Come è scritto nel Vangelo di Matteo: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate, dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 16-20)

Ma ancora di più, gli Apostoli ora sanno che anche per loro il Cielo è aperto e Gesù li ha solo preceduti. L’importante per loro e per noi è tenere fisso lo sguardo verso l’Alto, per ‘interpretare’ tutto attraverso quella Luce, che dall’Alto discende, vivendo, quindi, in qualche modo, già da ora come ‘cittadini del Cielo’, e non è facile per noi, distratti dal ‘mondo’, che proprio nulla ha a che fare con il Cielo. Dovremmo seguire l’invito, pregando perché si realizzi, dell’apostolo Paolo:

“Possa davvero Dio illuminare gli occhi della nostra mente, per farci comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la Sua eredità fra i santi e quale è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti …”. (Ef. 1, 17-23)

Il difficile, adesso, (ma è la somma sapienza cristiana, dono dello Spirito Santo) è vivere, dunque, con lo sguardo fisso alla mèta, il Cielo: non è avere ‘la testa fra le nuvole’, ma vivere con i piedi ben piantati sulle realtà terrene, che sono la nostra vita quotidiana, nella Luce della Volontà d’amore del Padre. Nessuno può nascondersi i rischi e le paure che ci prendono tutti, percorrendo i giorni della nostra vita terrena: soprattutto le velenose insidie, che ci vengono dalla nostra superbia e da tutti gli altri vizi che ci si appiccicano addosso come sanguisughe.

È necessario, carissimi, corazzarci di una continua e salda fede, per non perdere mai di vista la mèta che ci attende, il Cielo. Abbiamo fiducia!

Dio non ci lascia mai soli, nessuno …. siamo noi, purtroppo, che Lo dimentichiamo!

Dovremmo abituarci a vivere quotidianamente nella consapevolezza di essere alla Sua Presenza, con la fede dei santi, veri interpreti della vita eterna con Dio, già quaggiù,: questa è la speranza cristiana. Non riesco a capire come possano essere davvero felici e guardare con speranza il futuro che ci attende, quanti tra di noi hanno occhi e cuore rivolti solo su questo mondo, che sa donare pochi sorrisi e tante lacrime.

Solo vivere guardando verso un futuro, che non è la fine di tutto, ma il principio della vera Vita, nella pienezza della felicità in Dio, è davvero da ‘saggi’.

Forse per troppi questo discorso dell’attesa del Cielo può sembrare utopia.

Forse non comprendono l’inganno del mondo.

Preghiamo per questi nostri fratelli e, soprattutto, che non sia così per noi.

Antonio Riboldi - Vescovo

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