DON PaoloScquizzato, ‘Prendere la propria croce’

OMELIA 13a Domenica Tempo Ordinario. Anno A
«Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno
di me; 38chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. 40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». (Mt 10, 37-42)

Il Vangelo di oggi va letto molto attentamente per non rischiare di cadere in dannose interpretazioni.
«Chi ama padre o madre, figlio e figlia più di me, non è degno di me…» (v 37). Gesù non si è mai posto in concorrenza con gli affetti umani, non ha mai chiesto di essere il primo tra gli amori vissuti e non ha mai voluto essere il ‘preferito’ o l’assoluto. Un Dio che reclamasse questo sarebbe un piccolo dio che non meriterebbe alcuna considerazione.
Qui il termine di paragone è l’amore. Gesù sta dicendo semplicemente che quando si ama occorre uscire dallo stretto orizzonte dei propri legami di sangue. L’amore per definizione non ha limiti, per cui un amore esclusivo, preferenziale, particolare non ha senso.
Si sente spesso dire: “Prima quelli della mia famiglia… Prima quelli di casa nostra… Prima noi italiani… Prima…”. Ebbene, nella logica dell’amore, non c’è un ‘prima’,  ma un ‘adesso’. L’amore è sempre ‘indifferente’, ossia incapace di fare differenze e vivere di particolarismi.
‘Prendere la propria croce’ poi, non significa passiva rassegnazione di fronte al male o alle prove della vita, e tanto meno accettare tutto come proveniente dalla ‘volontà di Dio’. Ancora una volta Gesù ci ricorda che chi comincia ad amare ed entrare nella logica dell’amore, è chiamato ad andare fino alla fine, nella piena disponibilità a portare le conseguenze ultime di quella scelta, ossia la ‘croce’, come è avvenuto per Gesù stesso. ‘Prendere la propria croce’ significherà dunque prendere su di sé l’inimicizia del mondo per essersi messi dalla parte dei poveri, per essersi presi sulle spalle il peso della sorte di coloro che non hanno potere, degli ultimi, dei ‘senza volto’ o comunque dal volto molto differente da quello rassicurante e pulito dei propri familiari.
‘Prendere la propria croce’ significa in ultima analisi accettare che ogni atto d’amore, la fedeltà alla logica evangelica, avrà inevitabilmente delle conseguenze, ma al contempo significa maturare la certezza che, costi quel che costi, l’amore avrà sempre un’uscita verso la luce, la vita e la fecondità.
E questo amore non occorre – ci ricorda Gesù – sia luccicante e pirotecnico. L’amore ha una modalità di azione molto diversa dalla logica comune. Noi siamo abituati a misurare l’efficacia dei processi sull’importanza o la consistenza delle cose. Invece nel mondo dell’amore le cose vanno diversamente: il più piccolo gesto ha conseguenze in grado di muovere astri, e riportare in vita esistenze morte, come è narrato nella prima lettura di oggi. Per cui anche un ‘bicchiere d’acqua fresca’ donato con amore sarà in grado di dissetare l’umanità intera, e contribuire all’instaurarsi di quel Regno di Dio che altro non è che l’Amore che ‘move il sole e l’altre stelle’ (Dante).
Fonte:www.paoloscquizzato.it/

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