FRA.Andrea Vaona, "Un solo pane, un solo corpo"

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO A) 
Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo,
non è forse comunione con il sangue di Cristo?
E il pane che noi spezziamo,
non è forse comunione con il corpo di Cristo?
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo:
tutti infatti partecipiamo all’unico pane.
(1Cor 10,16-17)

«E perciò lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli,  è lui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore» (san Francesco, Ammonizioni, I : FF 143).

 Nella prima lettera ai Corinti Paolo affronta alcune questioni che nella vivace comunità di Corinto provocavano non poche difficoltà. Una di queste era il mangiare o meno le carni degli animali che erano stati offerti agli dei pagani e che poi venivano poste in vendita al mercato. Il principio che offre Paolo è quello della comunione. Chi mangia la carne sacrificata agli idoli entra in comunione con essi e con chi offre loro i sacrifici. Chi invece mangia la carne e il sangue di Cristo entra in comunione con Lui e con tutti coloro che mangiano insieme. Così risolvendo un problema della comunità di Corinto Paolo ci ha lasciato una delle più belle descrizioni dell’Eucarestia.

Paolo ci offre una chiave di interpretazione originale e molto importante. L’unico pane di cui mangiano i credenti, cioè l’unico corpo di Cristo, li mette in una condivisione tanto stretta che essi possono sentirsi un solo corpo. Questo corpo è la Chiesa. La Chiesa è un corpo unico armonizzato nelle sue diverse parti (confronta la celebre pagina di 1Cor 12,12-26), non tanto perché le sue parti sono solidali le une con le altre, ma perché esse compongono il corpo di Cristo. La comunità cristiana è il luogo in cui il Signore si manifesta e aggrega a sé nuovi membri.

La fraternità francescana è porzione di questa esperienza di Chiesa. Francesco insiste nella Regola non bollata (XX) che è nella misericordia e nell’eucaristia che questa fraternità si rinnova nell’identità:

“E così contriti e confessati [i frati] ricevano il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, con grande umiltà e venerazione, ricordando che il Signore dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna», e ancora: «Fate questo in memoria di me»” (FF 54). [...] «Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutta la capacità e la fortezza, con tutta l’intelligenza, con tutte le forze, con tutto lo slancio, tutto l’affetto, tutti i sentimenti più profondi, tutti i desideri e le volontà il Signore Iddio, il quale a tutti noi ha dato e da’ tutto il corpo, tutta l’anima e tutta la vita; che ci ha creati, redenti e ci salverà per sua sola misericordia; lui che ogni bene fece e fa a noi miserevoli e miseri, putridi e fetidi, ingrati e cattivi» (FF 69).

Questa matrice identitaria attorno al pane eucaristico muove in Francesco progetti testimoniali per tutti i frati:

«Così ardente riverenza e devozione nutriva, infatti, il beato Francesco per il corpo di Cristo, da volere che si scrivesse nella Regola che i frati, nelle province in cui dimoravano, avessero cura e zelo grande per questo sacramento e ammonissero ed esortassero i chierici e i sacerdoti a conservare il corpo di Cristo in luogo adatto e decoroso; e qualora quelli si mostrassero negligenti, voleva che vi sopperissero i frati.
Una volta, addirittura, volle mandare alcuni frati con delle pissidi per tutte le province, affinché dovunque trovassero il corpo del Signore riposto in modo sconveniente, lo collocassero con onore in quelle pissidi. E anche volle mandare altri frati per tutte le regioni con molti e buoni ferri da ostie, per fare delle particole belle e monde. Inoltre, mosso dalla riverenza del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, fu sua volontà di far mettere nella Regola che, dovunque i frati trovassero i nomi del Signore e quelle parole scritte, per mezzo delle quali si compie il Santissimo Sacramento, non custodite bene o giacenti disperse indecorosamente in qualche luogo, le raccogliessero e le riponessero in luogo decoroso, onorando il Signore nelle parole da lui pronunziate. E sebbene non scrivesse queste prescrizioni nella Regola, perché i ministri non vedevano di buon occhio che se ne facesse ai frati un precetto, tuttavia il santo padre nel suo Testamento e in altri suoi scritti volle lasciare ai frati la sua volontà sull’argomento» (Compilatio Assisiensis, FF 1658).

E anche per santa Chiara “tutte partecipano dell’unico pane” se c’è la volontà di rischiare la divisione:

«C’era una volta in monastero un solo pane, mentre si avvicinava l’ora della fame e del pranzo. Chiamata quella che doveva servire, la santa [Chiara] le comanda di dividere il pane in due parti: una da mandare ai frati e l’altra da conservare dentro per le sorelle.
Della metà che era stata conservata ordina che se ne facciano cinquanta fette, secondo il numero delle «signore», e che vengano loro servite alla mensa della povertà . Al che la figlia devota rispondeva: «Qui sarebbero necessari gli antichi miracoli di Cristo per far sı` che si riesca a fare cinquanta parti di un pezzo di pane tanto piccolo». Ma la madre rispose dicendo: «Figlia, fa’ con fiducia quel che ti dico». Si affretta la figlia a eseguire i comandi della madre, mentre si affretta la madre a rivolgere pii sospiri al suo Cristo per le figlie. Per intervento divino quella piccola quantità crebbe tra le mani di quella che la divideva, cosicché  ciascuna nella comunità ricevette una porzione abbondante» (Vita di Santa Chiara, 15 : FF 3189).
Fonte:http://bibbiafrancescana.org

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