mons. Roberto Brunelli"In paradiso o all'inferno non si va per caso"
mons. Roberto Brunelli
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/07/2017)
Vangelo: Mt 10,37-42
"Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno
di me". Sono queste le parole di Gesù con cui si apre il vangelo di oggi (Matteo 10,37-42), parole che possono suscitare sorpresa, e magari sconcerto. Ma come: non l'ha forse detto lo stesso Gesù, che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi? E chi è più prossimo dei genitori e dei figli?
Occorrerà dunque qualche chiarimento. Il divino Maestro non nega il valore e l'impegno che comporta l'amore per i familiari: tutt'altro; egli anzi orienta quell'amore perché si esprima nel modo migliore. A parte, ovviamente, i casi in cui quell'amore non c'è (figli che dimenticano, o sfruttano, i genitori; genitori che abbandonano, o maltrattano, i figli), accade con frequenza che ci si illuda, magari in buona fede, di scambiare per amore quello che invece amore non è.
Si ricorderà quanto scalpore ha suscitato, non troppo tempo fa, il caso di quella madre che, dopo avere esortato ripetutamente ma invano il proprio figlio a smettere di drogarsi e rubacchiare per procurarsi la droga, l'ha denunciato ai carabinieri. Qualcuno l'ha criticata, accusandola di non amare il figlio. In realtà non sarebbe stato amore, quello di assistere inerte alla rovina del proprio caro, come peraltro accade a quei padri e madri più propensi a coprire le malefatte dei figli, invece di correggerli. Amare anzitutto e sopra tutto Gesù significa ascoltare e seguire ciò che egli insegna, fare quello che farebbe lui al posto nostro. E' questa l'autentica garanzia di aderire al suo invito, perché ci si adopera al meglio per cercare il bene di coloro che amiamo.
Nel seguito del vangelo odierno si trova un'altra frase che richiede un chiarimento. "Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà". Con queste parole Gesù ricorda che in questa vita noi prepariamo la prossima: in paradiso o all'inferno non si va per caso, cioè per ragioni indipendenti dalla nostra volontà. E allora: tenere per sé la propria vita significa viverla in modo egoistico, pensando solo a sé stessi, trascurando il prossimo che invece siamo invitati ad amare: ci si può illudere - molti lo fanno - di essere così nel numero dei furbi, che spremono dalla vita tutte le soddisfazioni possibili, senza badare agli altri. Non si rendono conto, invece, di preparare così la propria rovina nell'aldilà.
Perdere la propria vita, qui e ora, per causa del Signore comporta l'opposto dell'egoismo: comporta mettere Lui, i suoi insegnamenti, il suo esempio, al primo posto, a beneficio del prossimo (genitori e figli anzitutto, come si è visto prima; ma in genere tutti coloro che possiamo aiutare). Si potrà avere l'impressione di sacrificarsi, di dover affrontare rinunce; in realtà l'amore è già premio a se stesso. Provare per credere: gli egoisti, che pensano solo a sé stessi, sono sempre inquieti, perché quello che cercano non basta mai; chi invece ama disinteressatamente gode di armonia e pace interiore. In ogni caso, Gesù lo assicura, se "perdiamo" qui la nostra vita egli ci donerà di rifarci abbondantemente nella vita ventura (riceveremo il cento per uno, ha promesso).
Segue, nel vangelo odierno, questa espressione che Gesù rivolge agli apostoli: "Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato", cioè - come ha detto in altra occasione - colui che è il "Padre mio e Padre vostro". Gesù ribadisce così quello che ha rivelato: egli, l'Uomo-Dio, in quanto uomo è solidale con noi, e in quanto Figlio di Dio è tutt'uno col Padre che l'ha mandato a noi. Egli è dunque il tramite tra noi e Dio; non si può stabilire un rapporto autentico con Dio prescindendo da Gesù, dall'accogliere lui nella nostra vita, dal fare di lui la lampada che rischiara il nostro cammino, per guidarci alla luce intramontabile che è Lui.
Fonte:http://www.qumran2.net
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