padre Gian Franco Scarpitta "Tutto posso in Colui che mi da' la forza"
padre Gian Franco Scarpitta
XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (25/06/2017)
Vangelo: Mt 10,26-33
Dubbi, angosce e perplessità sulla via che si è intrapresa, sul progetto di vita che ci si è prefissati.
Non è raro che si verifichino, anzi tante volte ci sorprendono e ci colgono impreparati e non di rado ingenerano in noi paura del futuro e ansie esistenziali. Qualsiasi itinerario si sia intrapreso a livello professionale o universitario si è sempre colti da vessanti interrogativi del tipo: "E' giusta la strada che ho intrapreso?"; "Mi sono avviato bene, sto procedendo adeguatamente oppure ho sbagliato direzione?" Interrogativi assillanti e ricorrenti, che non di rado turbano e inducono a tentazioni di abbandono e di rinuncia, nella sensazione di non aver fatto la scelta giusta. Quindi domande incalzanti apportatrici di tentazioni nefaste. E tuttavia non possiamo negare che dubbi e interrogativi di questo tipo siano necessari e che costituiscano anche una vera opportunità. Quando tanti anni or sono trascorrevo l'anno di Noviziato in preparazione alla vita religiosa ricordo che non di rado dubbi e perplessità del tipo appena esposto mi coglievano di sorpresa e più volte m'interrogavo se sarei stato domani all'altezza del sacerdozio, della vita ministeriale e mi chiedevo se avrei perseverato nella fedeltà alla vita consacrata e all'osservanza di ciascuno dei voti religiosi. Il Direttore Spirituale tuttavia mi rassicurava: "Se non ci fossero questi dubbi, Gian Franco, non avremmo occasione di mantenerci nell'umiltà. E' necessario che veniamo sfidati dall'ossessione di domande di tal tipo perché esse sole possono spingerci a confidare in Dio anziché esaltare oltremisura noi stessi." Occorre certamente non darla vinta al dubbio, ma cogliere l'opportunità del dubbio perché la nostra fede trionfi. E' appunto la paura la prerogativa distintiva di ogni vocazione, cioè l'esitazione di fronte all'imprevisto e la sensazione di trovarci insufficienti e privi di competenza e di capacità. Il timore di non aver intrapreso la scelta giusta, il dubbio pertinace di trovarci nell'errore, la paura di non essere all'altezza o di non disporre dei mezzi necessari, tutto questo è sinonimo di vocazione. Perché la paura ci spinge all'affidamento, alla fiducia nei confronti di Chi ci ha chiamati e provvederà a sostenerci e ad attrezzarci. La paura estingue la superbia e l'autroesaltazione, invita a non contare eccessivamente sulle proprie capacità e dischiude per ciò stesso alla fede e alla speranza. Ciò non giustifica che paura e angoscia debbano avere il sopravvento e turbare la nostra vita. Il timore non deve diventare ossessione: occorre vincerlo e superarlo appunto con la risorsa della fede e con la fiducia in noi stessi fatta salva la nostra ferma fede in Dio. Nessuna meraviglia tuttavia quando determinate sensazioni debbano verificarsi: sono all'ordine del giorno nella vita spirituale e per l'appunto necessarie in un serio itinerario vocazionale. Ricordo che quando al liceo studiavo letteratura mi sorprendeva il paragone fra Enea e tutti gli altri eroi mitologici: era un eroe insicuro e sofferente, oppresso e angariato, eppure fiducioso e perseverante. Colui che vince le battaglie alla fine è proprio colui che aveva temuto di affrontarle. Chi ha avuto timore alla fine risulta sempre vincente. Purché ovviamente l'angoscia non sia per lui parola definitiva.
Nel suo discorso "apostolico" di cui alla pagina evangelica di oggi Gesù ha appena descritto che la missione dei Dodici, chiamati a stare con lui e ad annunciare la salvezza in ogni luogo, non sarà per niente comoda e piacevole. Essi saranno esposti all'ignominia e alla persecuzione e subiranno ogni sorta di oltraggi e di pregiudizi da parte dei loro interlocutori. Cionondimeno Gesù li incoraggia, li esorta a bandire il timore e a lasciarsi guidare con fiducia e decisione perché "non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato". La massima, riportata anche da altri evangelisti, attesta a che i discepoli di Gesù saranno edotti di volta in volta su tutto ciò che adesso a loro non appare chiaro, e del resto Gesù promette loro (come abbiamo già osservato poche settimane or sono) lo Spirito che li guiderà alla verità tutta intera. Qualche commentatore vi legge però anche la seguente interpretazione: l'innocenza e la sincerità dei discepoli di Cristo, per ora non immediatamente evinta, risulterà alla fine palese e manifesta ed essi nonostante travagli e peripezie verranno accolti e accettati risolutamente per come essi sono: i latori del divino messaggio. Dio sosterrà e attrezzerà i discepoli che agiranno nel suo nome, sarà il loro appoggio garantito e non farà mancare a nessuno di loro la forza e il coraggio necessari e pertanto non devono temere ma affidarsi senza esitazione. Geremia (Prima Lettura) lamenta le difficoltà alle quali è costretto un profeta umiliato e vessato dal popolo a cui si rivolge, tuttavia apre il cuore al Signore riponendo in lui ogni speranza.
I discepoli dovranno lottare, soffrire, fuggire e angariarsi ma perseverando nel Signore alla fine usciranno vittoriosi.
Da qualche parte si dice che il modo migliore per vincere la paura è fare ciò di cui si ha paura. Affrontare il pericolo una volta per tutte è l'unico rimedio di cessare di evitarlo. Il discepolo vince la paura proprio affrontando, nella sua emissione evangelizzatrice, proprio gli interlocutori che gli incutono paura, facendosi forte della vicinanza e della sicurezza che gli provengono da Dio. Cosa del resto evinta nel famoso episodio di Pentecoste, quando lo Spirito Santo rende impavidi degli uomini da sempre nascosti per timore dei Giudei. Per dirla con Paolo, "Tutto posso in Colui che mi da la forza".
Fonte:http://www.qumran2.net
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