Padre Paolo Berti“Chi avrà tenuto per sè la propria vita, la perderà...”

XIII Domenica del T. O.      
Mt 10,37-42 
“Chi avrà tenuto per sè la propria vita, la perderà...”
Omelia 
Eliseo doveva essere di poche parole: mangiava quanto la donna facoltosa di Sunem gli dava, poi si
ritirava in un qualche angolo, e infine ripartiva. Che le cose stessero così lo dimostra il fatto che Eliseo venne a sapere dal servo Giezi, che sicuramente si mostrava più alla mano di Eliseo, che la donna non aveva figli. Eliseo non si era trattenuto con la donna.
“Chi accoglie un giusto perché è giusto, avrà la ricompensa del giusto”, ci dice Gesù. Eliseo, infatti, per l'aiuto avuto dalla donna, pregò Dio che ella avesse un figlio. Il giusto aiutato dà sempre una ricompensa, che non è pari al dono ricevuto, ma lo supera, in quanto non raggiungibile se non per mezzo della preghiera. Un giusto, assetato da un viaggio in terra deserta, può essere accolto e ristorato con un bicchiere d'acqua fresca, una cosa semplice, ma a questo il giusto fa seguire una preghiera di benedizione, che ha un valore ben più grande di un bicchiere d'acqua.
Eliseo non esita un attimo: “Chiamala!”. Niente di più bello per Eliseo intercedere presso il Dio vivente, che ama la vita, affinché la donna ottenga un figlio. Il profeta ama la vita, e questo fa Dio.
Gesù nel Vangelo di oggi ci parla di vita: “Chi avrà tenuto per sé la propria vita la perderà: e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”. Ma, perché non bisogna tenerla per sé, e perché bisogna perderla per trovarla? Gesù non ci avrebbe dovuto dire “chi terrà per sé la propria vita la conserverà”? La realtà è che Gesù è venuto a portare nella nostra vita una Vita, che è comunione con lui. Per avere questa Vita è necessario perdere quella che si tiene per sé, cioè con possesso che misconosce il Creatore e il suo disegno di salvezza. L'uomo si costruisce, impara a vivere, ad essere accorto, a trattare con gli altri; e gode del prestigio ottenuto, del consenso degli altri; ha trovato la sua vita, ma nel disegno che si è dato lui. Gesù chiede un cambiamento; chiede che questo tenere per sé ceda di fronte al vero cercare la vita, cioè Dio.
Vedete, noi tante volte pensiamo che la vita portataci da Cristo sia come una bella crema spalmata sul pan di Spagna. Mi spiego, sia come un di più su qualcosa che già va bene così com'è. Ma non è così, la vita portataci da Cristo rifonda la nostra vita, la purifica, la trasforma.
La trova se, paradossalmente, la perde; e costantemente la deve perdere, poiché anche se in Cristo abbiamo riavuto la vita della grazia santificante, la nostra carne porta il peso dell'antico peccato; infatti, tutti noi sperimentiamo i morsi del senso, i morsi dell'amor proprio, che - ripeto - devono essere costantemente vinti. Che errore, fratelli e sorelle, credere che la vita portata da Cristo sia un di più di superficie e non un di più che tocca tutto dell'uomo! La vita portata da Cristo è lievito che trasforma; lievito che chiede accoglienza nel cuore dell'uomo, spazio, amore alla croce anche. Senza amore alla croce non c'è autenticità cristiana. Gesù è chiaro: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me”. Il Maestro non ha parole ammorbidite; le sue parole sono forti, capaci di liberare l'uomo. Noi camminiamo in una vita nuova, grazie alla morte di Cristo. Non possiamo dimenticare la morte di Cristo, quasi fosse una realtà da dimenticare dal momento che Cristo è risorto. Niente affatto, verremmo a smarrire il senso delle parole di Gesù: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me”. Dimenticando la morte di Cristo le nostre sofferenze diventerebbero solo un incidente dal quale fuggire, e così perderemmo l'intimità con lui, poiché egli l'ha stabilità accettando di vivere le nostre sofferenze.
Fuggire le sofferenze, odiarle, è precisamente quel voler aver salva la vita di cui Gesù, ritornando sullo stesso pensiero, parla in altro passo del Vangelo di Matteo (17,25): “Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Voler salvare la propria vita è precisamente metterla al riparo dalle sofferenze, dalle indigenze, dalle insicurezze. Ma, Gesù dice che in tal modo la si perde. La morte, la sofferenza, vengono dal peccato, ma Cristo, morte e sofferenza, le ha indirizzate alla vita. Dio è Dio della vita; tutto Cristo ha orientato alla vita, anche la morte, il dolore servono ora la vita.
Gesù vuole che cambiamo, mettendo sempre al di sopra di tutto l'amore verso di lui: “Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me...”.
Gesù non mette in discussione il comandamento “Onora il padre e la madre”, ma vuole che tutte le relazioni interpersonali siano improntate a lui. Si è figli di Dio in lui; in lui esiste la fraternitas dei figli di Dio.
San Paolo (Rm 5,14) ci ha detto che “Adamo è figura di colui che doveva venire”, il che vuol dire che il capostipite dei figli di Dio non è Adamo, ma Cristo. Tutte le relazioni fondate sull'umano fanno capo ad Adamo, ma quelle fondate sullo Spirito fanno capo a Cristo. Ma non c'è solo questo rapporto fondamentale con Cristo; poiché bisogna accogliere Cristo vedendolo nei fratelli che lo annunciano: “Chi accoglie voi accoglie me”. Ma ciò si allarga ad ogni fratello, poiché la carità fatta ai fratelli Cristo la reputa fatta a sé (Mt 25,40). Chi, dunque, accoglie i discepoli del Signore aiutandoli nella loro missione, come fece quella donna facoltosa che aiutò Eliseo favorendone il raccoglimento, la preghiera, il recupero delle forze, riceve la ricompensa che viene dall’essere uniti col Signore. Chi accoglie “un giusto perché è un giusto”, dice Gesù, e quindi non per un rapporto semplicemente di lavoro o di svago, o di scambio culturale, ha la ricompensa del giusto, cioè la sua preghiera. Ma non solo ha la ricompensa da parte del giusto, ma quella che viene su iniziativa diretta del Signore. Infatti, Gesù ci dice: “Chi avrà dato da bere anche solo un bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”, poiché è come se l'avessero fatto a lui. Gesù infatti ci ha detto (Mt 25,40): “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”.
Il discorso di Gesù si allarga così alla ricompensa che verrà non solo dal discepolo con la sua preghiera, ma da Dio in cielo.
Tutto, fratelli e sorelle, nella fraternitas dei figli di Dio è comunione, trova del bene nel fare il bene, se vive in Cristo Gesù, aperto al Padre, nella forza d'amore che è lo Spirito Santo. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.qumran2.net

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