Paolo Curtaz, "Croci e bicchieri"

Commento al Vangelo di domenica 2 Luglio 2017 - Paolo Curtaz
Croci e bicchieri

Gesù conclude il secondo dei suoi discorsi nel vangelo di Matteo, quello dedicato alle esigenze del
discepolato, con una lugubre profezia: non è venuto a portare la pace, ma la spada.
E specifica: in una famiglia si divideranno due contro tre e tre contro due.
Gli studiosi ci dicono che, molto probabilmente, quando Matteo scrive il suo vangelo si è già consumata l’insanabile frattura fra la comunità cristiana e quella farisaica, dopo la distruzione del tempio.
I seguaci del Nazareno, oggi diremmo, vengono “scomunicati” da coloro che si credono detentori e unici interpreti della Torà.
È un momento drammatico per i cristiani, immaginate.
Dall’oggi al domani sono guardati con odio dagli stessi famigliari.
È a questo punto che Gesù pronuncia le parole che oggi abbiamo accolto.
Parole magnifiche. Eppure così male interpretate…

Amare di più
Ai discepoli che, a causa della propria fede in lui, vedono critiche e giudizi pesanti all’interno della propria famiglia, Gesù pronuncia parole di consolazione:
37Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me;38chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.

Il verbo amare usato da Gesù è legato alla philia, l’amore naturale. Gesù, invece, quando parla di amore nei suoi confronti, parla di agape, dell’amore riflesso di Dio. Gesù non pone una contrapposizione, non chiede di disprezzare i famigliari ma propone una classifica di intensità di amore: l’amore connaturale per i famigliari è e resta emanazione/simbolo/rappresentazione dell’amore divino.
E rassicura i suoi: l’amore che egli ci dona, e che siamo in grado di restituire, è di un’intensità che nessun amore umano (bello, straordinario, immaginifico), è in grado di sostituire.
Qualunque esperienza affettiva ed emotiva, qualunque sentimento che sperimentiamo verso una persona (amante, figlio, genitore, amico) è e resta realtà penultima. Gesù esige, pretende di essere il riferimento ultimo perché all’origine di ogni amore. Questo amore che qui viviamo è riflesso straordinario ed interessante, gioioso e corposo di quell’altro amore ben più consistente. Relativizzare le emozioni e i fallimenti, orientare la nostra famiglia ad un percorso di verità, senza assolutizzarla ma godendone con gioia le dinamiche positive ci permette di vivere la dimensione animica della nostra vita.
Essere compagni di viaggio, dono per la scoperta della realtà più forte e profonda: a questo è finalizzata la relazione. Confondere i piani, aspettarsi dalla philia che colmi il cuore è foriero di gravissime conseguenze.

Croci vere o presunte
Qui per la prima volta nel testo di Matteo si parla di croce. Accogliere la (mentalità della) croce è essenziale per essere degni discepoli del Signore.
Sbagliando clamorosamente, molti pensano che la croce indichi il dolore. Quindi Gesù chiederebbe ai suoi discepoli di sopportare la croce come segno di dignità. È fuorviante e falso! Gesù chiede di superare il dolore e di sciogliere i nodi!
Gesù stesso spiega in che cosa consista la croce:

39Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.

È il detto di Gesù più citato nei vangeli, per ben sei volte! La vita è dono di sé, la vita è effusione dell’amore di Dio, la vita è regalo, ecco ciò che ha maggiormente colpito le comunità primitive.
Questa è la logica della croce che Gesù stesso vive: fare della vita un dono.
Quindi Gesù dice: per essere degno di me ama fino alla fine, fino al tutto di te.
La croce diventa il modo che Gesù ha per manifestare fino a che punto è disposto ad amarmi. Prendere la croce significa allora assumere questa logica che, di conseguenza, ci fa scegliere di donare la nostra vita. Qualunque altra interpretazione è, a mio avviso, assolutamente fuorviante! Croce come dolore, come punizione, come prova… interpretazione che non ha nulla a che vedere col discorso di Gesù che, al contrario, parla di tutt’altro.
Dio non manda le croci. Ci chiede di assumere nella vita una logica crocifissa, cioè donata.

Accogliere i profeti
La conclusione del discorso molto impegnativo ora si rilassa, guarda al positivo.
Essere accolti come profeti, come discepoli, è la più grande ricompensa che possiamo ottenere.
È l’esperienza che fanno molti di noi: se, sedotti dall’amore di Cristo, siamo resi capaci di amare, di donare, di annunciare, come il profeta nella prima lettura, troveremo uomini e donne grati e stupiti pieni di generosità, capaci di accoglierci. Quante volte l’ho visto accadere!
Di più: se siamo entrati nella logica della croce, cioè del dono totale e senza misura, sappiamo restituirlo anche nel piccolo gesto quotidiano come può essere l’offerta di un bicchiere d’acqua.
Morire martiri, testimoniare Cristo con il sangue o riempire un bicchiere d’acqua a un fratello per conto di Cristo fanno parte dello stesso amore, anche se con intensità diversa.

Allora capiamo l’importanza del logion più citato di Gesù: è solo nella logica del dono di sé che imita il dono di Gesù che sperimentiamo la logica di Dio e, così facendo, sperimentiamo la grazia di essere accolti e di accogliere.
Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/


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