Don Paolo Zamengo SDB, "Un seme di speranza e la terra ospitale"
Un seme di speranza e la terra ospitale Mt 13,1-23
Gesù parla in parabole per essere compreso e per coinvolgerci di più e introdurci totalmente nel cuore
del mistero. La parabola è una specie di contenitore del dono e ci è chiesto di avvicinarci quasi in punta di piedi e liberare il regalo dalla carta luccicante e dai nastrini che lo avvolgono, per gustare in pienezza il tesoro che esso racchiude.
Gesù non vuole uditori o spettatori passivi e refrattari, preferisce e ama chi si lascia interpellare e fecondare dalla sua parola. Così fecero gli apostoli che abbandonarono il loro passato per seguire Gesù su una nuova strada. Così fece Maria, la madre, che si fidò del Signore e si mise in cammino lasciandosi portare fin sotto la croce.
Sentite questa storia. Un vecchio imperatore non aveva eredi. Perciò radunò i figli dei nobili del suo impero e diede a ciascuno un seme, dicendo: “Chi tra voi farà crescere il fiore più bello sarà il mio successore”. I giovani piantarono il loro seme. Uno di loro di nome Kumar non riuscì a far germogliare il seme. Provò e riprovò ma fu tutto inutile, mentre le piante dei suoi amici crescevano belle e splendidamente fiorite.
Venne il giorno del giudizio e ancora nel vaso di Kumar non si vedeva nulla, mentre tutti gli altri avevano fiori meravigliosi. Kumar era tanto abbattuto che non voleva nemmeno presentarsi e mostrare il suo vaso vuoto, ma la madre gli disse: “Hai fatto del tuo meglio: va’ a mostrarlo comunque all’imperatore”.
Tutti i pretendenti portarono i loro meravigliosi fiori, ma l’imperatore li guardò appena, senza sorridere. Kumar era l’ultimo e stava tremando di paura. Tuttavia, l’imperatore, quando vide il suo vaso vuoto, sorrise: “Bravo!, disse, hai vinto tu, e tu sarai il prossimo imperatore!”. Kumar non riusciva a credere. I fiori degli altri erano sbocciati e il suo non era neppure germogliato…”.
L’imperatore gli disse: “Sì. Hai ragione. Io avevo consegnato a tutti dei semi che erano già morti. Gli altri hanno barato ed hanno usato un altro seme. Tu sei l’unico ad esser stato onesto e hai fatto del tuo meglio con il seme che io ti ho dato. Tu sei adatto a governare l’impero dopo di me”.
C’è una strana reciprocità tra seme e terra, tra seme e zolla, una mutua necessità. L’una è indispensabile all’altro. Il seme è la parola che viene dall’alto ma opera la sua azione dentro la zolla che lo accoglie, talvolta terra buia e arida del cuore umano.
Alla terra è richiesto di essere accogliente, pronta a ospitare e avvolgere il seme della parola. Il messaggio evangelico abita qui. Dio può sollecitare, bussare, proporre ma non sfonderà mai la porta del cuore. Arresta la sua onnipotenza alla soglia della libertà di ciascuno di noi.
L’accoglienza e la collaborazione dell’uomo sono la condizione decisiva per l’efficacia del progetto di Dio. Da qui prende spunto il discorso dei terreni pronti o non pronti ad accogliere la parola. Comprenderla significa sentirla come decisiva per la propria vita.
Dio non ama la bacchetta magica, non la può amare e mai l’amerà ma chiede collaborazione sincera perché questa è la sola strada che farà crescere la fede in piena maturità, in ogni cuore.
Gesù parla in parabole per essere compreso e per coinvolgerci di più e introdurci totalmente nel cuore
del mistero. La parabola è una specie di contenitore del dono e ci è chiesto di avvicinarci quasi in punta di piedi e liberare il regalo dalla carta luccicante e dai nastrini che lo avvolgono, per gustare in pienezza il tesoro che esso racchiude.
Gesù non vuole uditori o spettatori passivi e refrattari, preferisce e ama chi si lascia interpellare e fecondare dalla sua parola. Così fecero gli apostoli che abbandonarono il loro passato per seguire Gesù su una nuova strada. Così fece Maria, la madre, che si fidò del Signore e si mise in cammino lasciandosi portare fin sotto la croce.
Sentite questa storia. Un vecchio imperatore non aveva eredi. Perciò radunò i figli dei nobili del suo impero e diede a ciascuno un seme, dicendo: “Chi tra voi farà crescere il fiore più bello sarà il mio successore”. I giovani piantarono il loro seme. Uno di loro di nome Kumar non riuscì a far germogliare il seme. Provò e riprovò ma fu tutto inutile, mentre le piante dei suoi amici crescevano belle e splendidamente fiorite.
Venne il giorno del giudizio e ancora nel vaso di Kumar non si vedeva nulla, mentre tutti gli altri avevano fiori meravigliosi. Kumar era tanto abbattuto che non voleva nemmeno presentarsi e mostrare il suo vaso vuoto, ma la madre gli disse: “Hai fatto del tuo meglio: va’ a mostrarlo comunque all’imperatore”.
Tutti i pretendenti portarono i loro meravigliosi fiori, ma l’imperatore li guardò appena, senza sorridere. Kumar era l’ultimo e stava tremando di paura. Tuttavia, l’imperatore, quando vide il suo vaso vuoto, sorrise: “Bravo!, disse, hai vinto tu, e tu sarai il prossimo imperatore!”. Kumar non riusciva a credere. I fiori degli altri erano sbocciati e il suo non era neppure germogliato…”.
L’imperatore gli disse: “Sì. Hai ragione. Io avevo consegnato a tutti dei semi che erano già morti. Gli altri hanno barato ed hanno usato un altro seme. Tu sei l’unico ad esser stato onesto e hai fatto del tuo meglio con il seme che io ti ho dato. Tu sei adatto a governare l’impero dopo di me”.
C’è una strana reciprocità tra seme e terra, tra seme e zolla, una mutua necessità. L’una è indispensabile all’altro. Il seme è la parola che viene dall’alto ma opera la sua azione dentro la zolla che lo accoglie, talvolta terra buia e arida del cuore umano.
Alla terra è richiesto di essere accogliente, pronta a ospitare e avvolgere il seme della parola. Il messaggio evangelico abita qui. Dio può sollecitare, bussare, proporre ma non sfonderà mai la porta del cuore. Arresta la sua onnipotenza alla soglia della libertà di ciascuno di noi.
L’accoglienza e la collaborazione dell’uomo sono la condizione decisiva per l’efficacia del progetto di Dio. Da qui prende spunto il discorso dei terreni pronti o non pronti ad accogliere la parola. Comprenderla significa sentirla come decisiva per la propria vita.
Dio non ama la bacchetta magica, non la può amare e mai l’amerà ma chiede collaborazione sincera perché questa è la sola strada che farà crescere la fede in piena maturità, in ogni cuore.
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