P. Marko Ivan Rupnik, "Il Regno come un tesoro trovato di sorpresa"

XVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
Il vangelo di oggi continua con le altre tre parabole sul Regno. La prima parla del Regno come un tesoro trovato di sorpresa, la seconda come un atteso punto di arrivo nella ricerca.

Il tesoro comunque significa che qualcuno l’ha raccolto, preparato e nascosto. E se il tesoro può essere anche la persona così come si vede per esempio in Sir 6,14 dove l'amico è un tesoro prezioso, allora hanno ragione i padri che vedono Cristo come il tesoro. E dunque la vita con Cristo, in Cristo e per Cristo come il Regno. Il Padre ha preparato questo tesoro da secoli nascosto e ora apparso (cfr Col 1,26; Ef 3,9), così come su un campo appare qualcosa – cioè un tesoro. Il contadino che mentre lavora il campo a sorpresa trova il tesoro, va subito e vende tutto ciò che ha per comprarlo. Lui può avere il tesoro perché può comprare il campo. Dunque per comprare il campo diventa importante tutto ciò che lui ha, la sua storia, il suo passato, niente si  butta ma tutto  trova il senso nell’ottica di comprare il campo con il tesoro. Il tesoro fa emergere il senso di tutto ciò che si ha, che si possiede, di tutto ciò che si è vissuto e persino di ciò che si è.

La stessa verità si svela anche nella seconda parabola, quella del mercante che vende tutto per comprare la perla. È però anche vero che un ricercatore di cose preziose come era ad esempio san Paolo, quando trova la perla non solo vende tutto, ma reputa tutto come spazzatura. E la parola greca che Paolo utilizza testualmente risulta anche più forte e ne dà un’immagine ancora più incontrovertibile.

Sotto questo aspetto non possiamo non porci una domanda. Si presenta la fede come una vita tale che la persona investe tutto ciò che ha, tutto il vissuto, tutto ciò che ha pensato, tutto ciò che è? Cristo come il senso di tutta l’esistenza umana, come il modo di esistere che cambia radicalmente tutto ciò che si è? Le due parabole non presentano il peso della rinuncia di tutto ciò che si ha, ma la gioia di ciò che si trova e dunque investire tutto ciò che si ha non è rinuncia e sacrificio ma  la via logica per avere il tesoro che comporta così grande gioia.

Incontrare Cristo vuol dire entrare in un modo di esistenza, un modo di vivere la propria verità umana come compimento e pienezza di senso di tutto e allo stesso tempo relativizza tutto ciò che si ha e ciò che si è. Tutto viene considerato esclusivamente nell’ottica del tesoro. “Perché, dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,34). Il tesoro diventa il modo della nostra esistenza e anche il suo luogo.

Un capitolo particolare certamente riguarda il modo di pensare che confluisce nella parola sullo scriba che diventa discepolo di Cristo. Cioè che diventa di Cristo. Trovandosi in Cristo  fa vedere come le cose convergono a Lui. È dal Regno che si capisce anche ciò che lo annunciava e preparava.

L’ultima, la terza parabola è quella della rete piena di pesci di tutte le specie,  poi vengono separati i belli da quelli corrotti, marci. Ricordiamoci della zizzania che maturando si scurisce, si spegne ed è tossica, velenosa. Se la si separa dal grano mentre cresce si rovina il grano, ma se non la si separa dal grano prima di macinarla allora si fa un pane tossico. Ma questo non è possibile perché il pane è destinato a diventare il Corpo di Cristo. E il Corpo di Cristo siamo anche noi. E dunque niente di ciò che è tossico ne può far parte. Perciò la zizzania viene bruciata. Lo stesso i pesci, quelli belli si corrompono con quelli che sono già marci. Nella rete che è il Regno niente di marcio può rimanere. La buona notizia di questa parabola è che alla fine saremo purificati. Ciò che non è bello sarà bruciato. Paolo in 1Cor 3 lo dice apertamente. Sul fondamento che è Cristo ognuno costruisce – con paglia, legno o pietra. Tutto passerà la prova del fuoco. Tutto ciò che in noi è di zizzania sarà bruciato e tutto ciò che in noi è corrotto e marcio sarà tolto, perché nulla di tale fa parte del Regno.

Ma il capitolo si conclude con il fuoco della fornace che si trova in Daniele nel famoso terzo capitolo. Lì venivano bruciati quelli che non si prostravano e non adoravano la statua che Nabucodonosor costruiva. Ora si svela il vero senso di una vita che non si apre all’azione del Padre, che non aderisce all’azione dello Spirito sulla propria umanità in Cristo, nel Figlio. Una vita umana che non si identifica in quella convergente adesione all’azione di Dio su noi stessi, sulla nostra umanità si espone ad un altro potere, che alla fine  dei conti significa che si prostra a se stessa, alla propria volontà e dunque si distrugge. Perché, ricordiamolo ancora una volta, secondo la fede il vero uomo è colui che vive la propria natura umana secondo il soffio dello Spirito, cioè da figlio nel Figlio.


P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va

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