P. Marko Ivan Rupnik"Gesù esce di casa per seminare la Parola del Regno"
XV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
Congregatio pro Clericis
XV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
Mt 13,1-23
In questo vangelo troviamo alcuni dettagli che lo rendono particolarmente ricco. La parabola racconta
che Gesù esce di casa per seminare la Parola del Regno. La Parola è questo seme, Cristo è il Seminatore che è la Parola che è uscita dalla bocca di Dio, ma non solo, è Dio che per mezzo di questa Parola è uscito da se stesso ed è venuto nel mondo, per dare la vita al mondo. La Parola stessa di questa parabola, cioè Cristo che la racconta, ne è al tempo stesso il significato.
Sui terreni si può discutere molto, ma quasi tutta la tradizione e pure l’esegesi moderna concorda che possono significare sì la diversità dell’ascoltatore, ma anche che si trovano in ogni ascoltatore. E non è tanto importante quello, quanto l’immagine del Seminatore che è molto generoso e molto abbondante e non tiene cura di dove cade il seme perché non dipende da questo che il seme produca frutto (cfr. Mc 4, 26-28; Mt 13, 24-30.). Non si parla infatti di terreno buono ma si usa il termine kalos, cioè terreno bello, ovvero il terreno che è accogliente. Questo è il terreno che saprà fare molto frutto, in modo imparagonabile alla semina. Sarà il terreno bello a supplire i terreni che non produrranno.
La strada è un terreno buono, la strada si fa sempre su un terreno buono, perché era più facile farla in quel tempo. Ed è chiaro che con il tempo si è battuta ed è diventata dura. Così come la roccia. Così come le persone. Ci sono dentro di noi le zone che si sono indurite, dove noi facciamo come tutti gli altri e questo diventa l’impedimento all’accoglienza del seme, della Parola. Questo alla fine farà morire il seme, perché verranno gli uccelli a strapparlo.
È curiosa la citazione di Isaia che noi ora leggiamo nell’originale ebraico ma che Matteo cita dalla Settanta dicendo praticamente: Ascolterete con l’ascolto e non comprenderete e vedendo vedrete ma non conoscerete. La visione è la conoscenza. Si è indurito il cuore di questo popolo di modo che non vedano con gli occhi e non ascoltino con gli orecchi, e non comprendono con il cuore e non si convertano. E Cristo non li può guarire. È totalmente diverso, perché nell’originale ebraico sembra che Dio ha compiuto tutto questo, invece in Matteo si vede che è proprio la durezza del cuore del popolo a impedire la conversione e la conversione è la condizione della guarigione. Se tu non aderisci non guarisci.
Cristo parla in parabole perché le parabole prendono le cose della vita e fanno vedere dentro la presenza del Signore. Solo lui può farlo perché è divino umano. Perché è dentro la vita divina e dentro la vita dell’uomo, e perciò può prendere le immagini di qualsiasi momento della giornata, di qualsiasi luogo dell’umanità facendo vedere dentro la vita di Dio. Perciò Cristo non insegna il Regno dei cieli, Cristo fa vedere la presenza del Regno dei cieli in mezzo a noi. Non si tratta di conoscenza e osservanza, ma di contemplazione che è quell’atteggiamento che permette l’accoglienza e l’accoglienza è la conversione; e se non c’è la conversione non succederà nulla. Per comprendere la Parola bisogna stare con la Parola, ascoltarla sempre e mettere tutto insieme, poi si spiega, poi si capisce.
E questo è il terreno bello, che è la Madre di Dio, l’unico vero terreno bello nella Bibbia (s. Efrem il Siro). Lei ascoltava e confrontava, metteva insieme tutto ciò che sentiva e viveva, perché gli episodi della vita, che sono parabole, possono far scoprire la presenza del Regno di Dio in mezzo a noi.
P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va
Congregatio pro Clericis
XV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
Mt 13,1-23
In questo vangelo troviamo alcuni dettagli che lo rendono particolarmente ricco. La parabola racconta
che Gesù esce di casa per seminare la Parola del Regno. La Parola è questo seme, Cristo è il Seminatore che è la Parola che è uscita dalla bocca di Dio, ma non solo, è Dio che per mezzo di questa Parola è uscito da se stesso ed è venuto nel mondo, per dare la vita al mondo. La Parola stessa di questa parabola, cioè Cristo che la racconta, ne è al tempo stesso il significato.
Sui terreni si può discutere molto, ma quasi tutta la tradizione e pure l’esegesi moderna concorda che possono significare sì la diversità dell’ascoltatore, ma anche che si trovano in ogni ascoltatore. E non è tanto importante quello, quanto l’immagine del Seminatore che è molto generoso e molto abbondante e non tiene cura di dove cade il seme perché non dipende da questo che il seme produca frutto (cfr. Mc 4, 26-28; Mt 13, 24-30.). Non si parla infatti di terreno buono ma si usa il termine kalos, cioè terreno bello, ovvero il terreno che è accogliente. Questo è il terreno che saprà fare molto frutto, in modo imparagonabile alla semina. Sarà il terreno bello a supplire i terreni che non produrranno.
La strada è un terreno buono, la strada si fa sempre su un terreno buono, perché era più facile farla in quel tempo. Ed è chiaro che con il tempo si è battuta ed è diventata dura. Così come la roccia. Così come le persone. Ci sono dentro di noi le zone che si sono indurite, dove noi facciamo come tutti gli altri e questo diventa l’impedimento all’accoglienza del seme, della Parola. Questo alla fine farà morire il seme, perché verranno gli uccelli a strapparlo.
È curiosa la citazione di Isaia che noi ora leggiamo nell’originale ebraico ma che Matteo cita dalla Settanta dicendo praticamente: Ascolterete con l’ascolto e non comprenderete e vedendo vedrete ma non conoscerete. La visione è la conoscenza. Si è indurito il cuore di questo popolo di modo che non vedano con gli occhi e non ascoltino con gli orecchi, e non comprendono con il cuore e non si convertano. E Cristo non li può guarire. È totalmente diverso, perché nell’originale ebraico sembra che Dio ha compiuto tutto questo, invece in Matteo si vede che è proprio la durezza del cuore del popolo a impedire la conversione e la conversione è la condizione della guarigione. Se tu non aderisci non guarisci.
Cristo parla in parabole perché le parabole prendono le cose della vita e fanno vedere dentro la presenza del Signore. Solo lui può farlo perché è divino umano. Perché è dentro la vita divina e dentro la vita dell’uomo, e perciò può prendere le immagini di qualsiasi momento della giornata, di qualsiasi luogo dell’umanità facendo vedere dentro la vita di Dio. Perciò Cristo non insegna il Regno dei cieli, Cristo fa vedere la presenza del Regno dei cieli in mezzo a noi. Non si tratta di conoscenza e osservanza, ma di contemplazione che è quell’atteggiamento che permette l’accoglienza e l’accoglienza è la conversione; e se non c’è la conversione non succederà nulla. Per comprendere la Parola bisogna stare con la Parola, ascoltarla sempre e mettere tutto insieme, poi si spiega, poi si capisce.
E questo è il terreno bello, che è la Madre di Dio, l’unico vero terreno bello nella Bibbia (s. Efrem il Siro). Lei ascoltava e confrontava, metteva insieme tutto ciò che sentiva e viveva, perché gli episodi della vita, che sono parabole, possono far scoprire la presenza del Regno di Dio in mezzo a noi.
P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va
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