Padre Paolo Berti, “Ecco, il seminatore uscì a seminare”
XV Domenica del T. O.
Mt 13,1-23
“Ecco, il seminatore uscì a seminare”
Omelia
La Parola di Dio opera sempre, non lascia mai le cose come sono. Essa è come acqua che scende dal
cielo e irriga la terra rendendola ricca di germogli e di raccolti per il sostentamento dell'uomo. L'opera della Parola è tutta positiva, tutta rivolta alla vita, alla crescita, alla pace. Quando è rifiutata opera ugualmente, poiché mette in luce la chiusura del cuore, e ne determina l'ulteriore indurimento, pur non essendo assolutamente fatta per questo. La Parola è così o fonte di vita oppure di condanna. Gesù ce lo dice (Gv 6,63): “Le mie parole sono spirito e vita”, e anche ci dice (Gv 12,48): “Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell'ultimo giorno”.
Abbiamo anche esempi dell'operare della Parola quando è rifiutata. Al faraone Dio diede la sua Parola, ma questa portò il faraone all'indurimento; e cosa singolare anche l'indurimento del faraone giovò al popolo di Israele perché ne seguì la trionfale vittoria sul faraone e il suo esercito, a dimostrazione della potenza di Dio (Es 7,15-16; 11,9; Rm 9,17). Anche gli indurimenti del cuore, sempre colpevoli, non bloccano l'azione di Dio, poiché egli è l'Onnipotente che sa trarre il bene, per quelli che gli sono fedeli, anche dal male.
Gesù annunciò la Parola, ma chi la rifiutò cadde nell'indurimento, tanto da scagliarsi contro di lui, ma dalla croce ne nacque la salvezza e la vittoria. Lo stesso accade con la Chiesa: essa dona la parola di Dio per la vita degli uomini, e se la Parola è rifiutata questa determina lo scagliarsi del mondo contro di essa, ma essa sostenendo la persecuzione con la forza di Cristo vince (Ap 12,11).
I colpi, le infamie, le sofferenze che vengono lanciate dal mondo contro di essa non le tolgono splendore, ma se di splendore si tratta le viene tolto lo splendore terreno, cosicché meglio risplende quello divino (Is 60,1; Ap 12,1). Avviene come accadde per Gesù. Venne messo in croce perché fosse spogliato di ogni attrattiva, di ogni luce di gloria, di quella gloria che i miracoli gli avevano conferito, del consenso di chi aveva creduto in lui. Inchiodato sulla croce come un malfattore, in lui non c'era più gloria che nascesse da ammirazione umana. Eppure, privo di ogni accenno di gloria che nascesse dalla terra, il Cristo esprimeva la gloria dell'amore, fino a ricevere, quando tutto fu compiuto, la gloria del Padre nella risurrezione. La gloria è data al vincitore, e Cristo è stato ed è vincitore.
E vince colui che avvolto dalla disapprovazione, dalla sofferenza, tutto sostiene in Cristo e con Cristo e per Cristo: egli sarà glorioso presso il Padre.
Sembra agli uomini accecati dalla superbia che i cristiani siano oscurità e non luce; che le cose della natura siano più belle senza di loro; che verrà la pace senza di loro. Voi mi direte: “Ma non sono consapevoli di essere brutti, di rendere brutte le cose violentandole con la loro bruttezza, di produrre guerra e non pace?”. Certo, ne sono consapevoli eppure mentendo a se stessi si dicono pieni di bellezza. Essi producono caducità e non bellezza. Nel magnifico passo della lettera ai Romani vien detto che la creazione è sottomessa alla caducità proprio a causa dei superbi, e che “attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio”. Essa soffre di essere violentata. Soffre che si tenti di separarla da Dio, se fosse possibile. I cristiani non rendono caduche le cose, poiché dove c'è un cristiano le cose vengono rispettate. Anzi, il cristiano le vuole libere dalla caducità e le invita, in un impeto poetico e orante, ad affermare il loro canto di lode a Dio (Ps 147/148,3s): “Lodatelo sole e luna, lodatelo, voi tutte, fulgide stelle. Lodate il Signore dalla terra, mostri marini, fuoco e grandine, neve e nebbia, vento di bufera che esegue la sua parola...”.
Non lasciamoci prendere dalla deformità dei malvagi, lasciamoci prendere dalla bellezza dei santi. Non rimaniamo vittime degli ipocriti ossequi alla Chiesa di chi poi ne rifiuta la Parola, ma seguiamo chi vive la Parola. Viviamo noi tutti nel mondo, ma non siamo del mondo, secondo la parola di Gesù (Gv 17,14). Essere nel mondo non significa esservi solo fisicamente, così come non essere del mondo non significa una ripulsa manichea del mondo. Infatti, il mondo è soggetto della redenzione attuata da Cristo, per cui essere nel mondo vuol dire esservi come luce, annuncio di vita, come forza di liberazione dal peccato, dai peccati che incatenano il mondo al principe nero dell'abisso (Gv 12,31). Le realtà del mondo sono redimibili, cioè dalla destinazione al male possono passare alla destinazione al bene. Il denaro, ad esempio, può essere redimibile quando da “ricchezza iniqua” passa ad essere aiuto per i poveri (Lc 16,9). Le conoscenze scientifiche raggiunte con lo scopo di rendere più devastanti le guerre possono essere rivolte ad opere di pace. Il profeta Isaia ci presenta questa redenzione con parole incisive (Is 2,4: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci”.
Purtroppo, realisticamente, non tutto ciò che è prodotto dal mondo è redimibile; gli orrori del mondo vanno rimossi radicalmente. Ne rimane la storia, ma essa non può che insegnare che lontano da Dio si arriva veramente all'orrore. Un campo di concentramento, ad esempio, con i suoi orrori va rimosso; ne rimane la storia, le strutture magari, ma non c'è più il campo di concentramento. Esso era un male assoluto, non redimibile. Altri mali sono purificabili, rettificabili, ma ci sono pure i mali assoluti.
Sarebbe bello che ci fosse un'ora nella storia della terra in cui il mondo si converte tutto a Dio. Noi lo desideriamo e per questo diciamo nei salmi “Tutta la terra ti adori o Dio” ma purtroppo, pur desiderandolo con tutte le forze, non dobbiamo sostare in illusioni. Ci sarà il tempo della civiltà dell'amore, ma qualche rigagnolo sotterraneo del male resterà e alla fine riemergerà e a partire da esso Satana infetterà tutta la terra, ma allora Dio decreterà la fine del mondo (Cf. Ap 20,9).
La parabola della zizzania che cresce in mezzo al grano è chiara. L'agricoltore divino rifiuta di togliere la zizzania, perché si rovinerebbe anche il grano. Dunque tolleranza, che è carità; non disinteresse, non un lasciar vivere senza procurare del bene, il massimo bene, Cristo.
La parola di Dio è stata seminata in noi dall'azione della Chiesa, e deve portare molti frutti di bene. E se anche dovremo soffrire “a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1,9), sappiamo che non saremo senza frutti se accetteremo tutto: renderemo non solo il trenta o il sessanta, ma il cento. Un cento che ridonderà nella storia, nel mondo, per un tempo di saggezza in Cristo, dove si estinguerà l'industria dell'odio e il consumismo del vizio. Questo noi lo desideriamo e di fatto proclamiamo quando invitiamo nella preghiera tutte le genti ad aprirsi al Signore (Ps 95/96,1): “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore uomini di tutta la terra”; (Ps 97/98,4): “Acclami il Signore tutta la terra”; (Ps 99/100, 2): “Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza”.
Doveroso è pregare per un mondo rinnovato dalla grazia, e se anche vediamo che questo risultato oggi è molto lontano, non dobbiamo mai cessare di pregare per la salvezza di tutti gli uomini, poiché Cristo è morto per tutti. Il Signore con dolore ci ha detto che è inevitabile che ci siano scandali (Mt 18,7), ma non ci ha detto di pregare soltanto per i buoni, anzi ci ha invitato ad amare anche quelli che ci fanno del male, e il modo più vero è quello di pregare per la loro conversione. Gesù ci ha presentato la realtà dell'inferno, e noi con la nostra preghiera dovremmo metterci, idealmente, di fronte alla porta dell'inferno affinché nessuno vi entri. Purtroppo all'inferno ci vanno in tanti, ma perché hanno rifiutato la perseverante misericordia di Dio, così come è accaduto per Giuda che andò “al posto che gli spettava” (At 1, 25).
Noi preghiamo. Poi alla fine sarà la gloria.
Quando il nostro corpo sarà glorificato, la creazione tutta sarà rinnovata, nell'ultima forma, quella gloriosa, quella che solo Dio conosce. Quando la vita sarà solo vita celeste, nella nuova creazione noi risplenderemo.
Gli animali, le piante, splendide opere della creazione, non ci saranno più; piante a animali non possono risorgere. Possono essere solo creati, riprodursi, e poi morire, e moriranno con l'universo, che si rinnoverà. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it/
Mt 13,1-23
“Ecco, il seminatore uscì a seminare”
Omelia
La Parola di Dio opera sempre, non lascia mai le cose come sono. Essa è come acqua che scende dal
cielo e irriga la terra rendendola ricca di germogli e di raccolti per il sostentamento dell'uomo. L'opera della Parola è tutta positiva, tutta rivolta alla vita, alla crescita, alla pace. Quando è rifiutata opera ugualmente, poiché mette in luce la chiusura del cuore, e ne determina l'ulteriore indurimento, pur non essendo assolutamente fatta per questo. La Parola è così o fonte di vita oppure di condanna. Gesù ce lo dice (Gv 6,63): “Le mie parole sono spirito e vita”, e anche ci dice (Gv 12,48): “Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell'ultimo giorno”.
Abbiamo anche esempi dell'operare della Parola quando è rifiutata. Al faraone Dio diede la sua Parola, ma questa portò il faraone all'indurimento; e cosa singolare anche l'indurimento del faraone giovò al popolo di Israele perché ne seguì la trionfale vittoria sul faraone e il suo esercito, a dimostrazione della potenza di Dio (Es 7,15-16; 11,9; Rm 9,17). Anche gli indurimenti del cuore, sempre colpevoli, non bloccano l'azione di Dio, poiché egli è l'Onnipotente che sa trarre il bene, per quelli che gli sono fedeli, anche dal male.
Gesù annunciò la Parola, ma chi la rifiutò cadde nell'indurimento, tanto da scagliarsi contro di lui, ma dalla croce ne nacque la salvezza e la vittoria. Lo stesso accade con la Chiesa: essa dona la parola di Dio per la vita degli uomini, e se la Parola è rifiutata questa determina lo scagliarsi del mondo contro di essa, ma essa sostenendo la persecuzione con la forza di Cristo vince (Ap 12,11).
I colpi, le infamie, le sofferenze che vengono lanciate dal mondo contro di essa non le tolgono splendore, ma se di splendore si tratta le viene tolto lo splendore terreno, cosicché meglio risplende quello divino (Is 60,1; Ap 12,1). Avviene come accadde per Gesù. Venne messo in croce perché fosse spogliato di ogni attrattiva, di ogni luce di gloria, di quella gloria che i miracoli gli avevano conferito, del consenso di chi aveva creduto in lui. Inchiodato sulla croce come un malfattore, in lui non c'era più gloria che nascesse da ammirazione umana. Eppure, privo di ogni accenno di gloria che nascesse dalla terra, il Cristo esprimeva la gloria dell'amore, fino a ricevere, quando tutto fu compiuto, la gloria del Padre nella risurrezione. La gloria è data al vincitore, e Cristo è stato ed è vincitore.
E vince colui che avvolto dalla disapprovazione, dalla sofferenza, tutto sostiene in Cristo e con Cristo e per Cristo: egli sarà glorioso presso il Padre.
Sembra agli uomini accecati dalla superbia che i cristiani siano oscurità e non luce; che le cose della natura siano più belle senza di loro; che verrà la pace senza di loro. Voi mi direte: “Ma non sono consapevoli di essere brutti, di rendere brutte le cose violentandole con la loro bruttezza, di produrre guerra e non pace?”. Certo, ne sono consapevoli eppure mentendo a se stessi si dicono pieni di bellezza. Essi producono caducità e non bellezza. Nel magnifico passo della lettera ai Romani vien detto che la creazione è sottomessa alla caducità proprio a causa dei superbi, e che “attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio”. Essa soffre di essere violentata. Soffre che si tenti di separarla da Dio, se fosse possibile. I cristiani non rendono caduche le cose, poiché dove c'è un cristiano le cose vengono rispettate. Anzi, il cristiano le vuole libere dalla caducità e le invita, in un impeto poetico e orante, ad affermare il loro canto di lode a Dio (Ps 147/148,3s): “Lodatelo sole e luna, lodatelo, voi tutte, fulgide stelle. Lodate il Signore dalla terra, mostri marini, fuoco e grandine, neve e nebbia, vento di bufera che esegue la sua parola...”.
Non lasciamoci prendere dalla deformità dei malvagi, lasciamoci prendere dalla bellezza dei santi. Non rimaniamo vittime degli ipocriti ossequi alla Chiesa di chi poi ne rifiuta la Parola, ma seguiamo chi vive la Parola. Viviamo noi tutti nel mondo, ma non siamo del mondo, secondo la parola di Gesù (Gv 17,14). Essere nel mondo non significa esservi solo fisicamente, così come non essere del mondo non significa una ripulsa manichea del mondo. Infatti, il mondo è soggetto della redenzione attuata da Cristo, per cui essere nel mondo vuol dire esservi come luce, annuncio di vita, come forza di liberazione dal peccato, dai peccati che incatenano il mondo al principe nero dell'abisso (Gv 12,31). Le realtà del mondo sono redimibili, cioè dalla destinazione al male possono passare alla destinazione al bene. Il denaro, ad esempio, può essere redimibile quando da “ricchezza iniqua” passa ad essere aiuto per i poveri (Lc 16,9). Le conoscenze scientifiche raggiunte con lo scopo di rendere più devastanti le guerre possono essere rivolte ad opere di pace. Il profeta Isaia ci presenta questa redenzione con parole incisive (Is 2,4: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci”.
Purtroppo, realisticamente, non tutto ciò che è prodotto dal mondo è redimibile; gli orrori del mondo vanno rimossi radicalmente. Ne rimane la storia, ma essa non può che insegnare che lontano da Dio si arriva veramente all'orrore. Un campo di concentramento, ad esempio, con i suoi orrori va rimosso; ne rimane la storia, le strutture magari, ma non c'è più il campo di concentramento. Esso era un male assoluto, non redimibile. Altri mali sono purificabili, rettificabili, ma ci sono pure i mali assoluti.
Sarebbe bello che ci fosse un'ora nella storia della terra in cui il mondo si converte tutto a Dio. Noi lo desideriamo e per questo diciamo nei salmi “Tutta la terra ti adori o Dio” ma purtroppo, pur desiderandolo con tutte le forze, non dobbiamo sostare in illusioni. Ci sarà il tempo della civiltà dell'amore, ma qualche rigagnolo sotterraneo del male resterà e alla fine riemergerà e a partire da esso Satana infetterà tutta la terra, ma allora Dio decreterà la fine del mondo (Cf. Ap 20,9).
La parabola della zizzania che cresce in mezzo al grano è chiara. L'agricoltore divino rifiuta di togliere la zizzania, perché si rovinerebbe anche il grano. Dunque tolleranza, che è carità; non disinteresse, non un lasciar vivere senza procurare del bene, il massimo bene, Cristo.
La parola di Dio è stata seminata in noi dall'azione della Chiesa, e deve portare molti frutti di bene. E se anche dovremo soffrire “a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1,9), sappiamo che non saremo senza frutti se accetteremo tutto: renderemo non solo il trenta o il sessanta, ma il cento. Un cento che ridonderà nella storia, nel mondo, per un tempo di saggezza in Cristo, dove si estinguerà l'industria dell'odio e il consumismo del vizio. Questo noi lo desideriamo e di fatto proclamiamo quando invitiamo nella preghiera tutte le genti ad aprirsi al Signore (Ps 95/96,1): “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore uomini di tutta la terra”; (Ps 97/98,4): “Acclami il Signore tutta la terra”; (Ps 99/100, 2): “Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza”.
Doveroso è pregare per un mondo rinnovato dalla grazia, e se anche vediamo che questo risultato oggi è molto lontano, non dobbiamo mai cessare di pregare per la salvezza di tutti gli uomini, poiché Cristo è morto per tutti. Il Signore con dolore ci ha detto che è inevitabile che ci siano scandali (Mt 18,7), ma non ci ha detto di pregare soltanto per i buoni, anzi ci ha invitato ad amare anche quelli che ci fanno del male, e il modo più vero è quello di pregare per la loro conversione. Gesù ci ha presentato la realtà dell'inferno, e noi con la nostra preghiera dovremmo metterci, idealmente, di fronte alla porta dell'inferno affinché nessuno vi entri. Purtroppo all'inferno ci vanno in tanti, ma perché hanno rifiutato la perseverante misericordia di Dio, così come è accaduto per Giuda che andò “al posto che gli spettava” (At 1, 25).
Noi preghiamo. Poi alla fine sarà la gloria.
Quando il nostro corpo sarà glorificato, la creazione tutta sarà rinnovata, nell'ultima forma, quella gloriosa, quella che solo Dio conosce. Quando la vita sarà solo vita celeste, nella nuova creazione noi risplenderemo.
Gli animali, le piante, splendide opere della creazione, non ci saranno più; piante a animali non possono risorgere. Possono essere solo creati, riprodursi, e poi morire, e moriranno con l'universo, che si rinnoverà. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it/
Commenti
Posta un commento