padre Raniero Cantalamessa, "Un Dio di parola"
padre Raniero Cantalamessa
XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (13/07/2008)
Vangelo: Mt 13,1-23
Le letture di questa domenica parlano della Parola di Dio con due immagini che si richiamano a
vicenda: quella della pioggia e quella del seme. Isaia nella prima lettura paragona la Parola di Dio alla pioggia che scende dal cielo e non vi ritorna senza avere irrigato e fatto germogliare i semi; Gesù nel vangelo parla della Parola di Dio come di un seme che cade su terreni diversi e produce frutti diversi. La parola di Dio è seme perché genera la vita ed è pioggia che alimenta la vita, che permette al seme di germogliare.
Parlando della parola di Dio diamo spesso per scontato il fatto più sconvolgente di tutti e cioè che Dio parli. Il Dio biblico è un Dio che parla! "Parla il Signore, Dio degli dei, non sta in silenzio", dice il salmo (Sal 50, 1-3); Dio stesso ripete spesso: "Ascolta, popolo mio, voglio parlare" (Sal 50, 7). In ciò la Bibbia vede la differenza più chiara con gli idoli che "hanno bocca, ma non parlano" (Sal 114, 5).
Ma che significato dobbiamo dare a espressioni così antropomorfiche come: "Dio disse ad Adamo", "così parla il Signore", "dice il Signore", "oracolo del Signore" e altre simili? Si tratta evidentemente di un parlare diverso dall'umano, un parlare agli orecchi del cuore. Dio parla come scrive! "Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore", dice nel profeta Geremia (Ger 31, 33). Egli scrive sul cuore e anche le sue parole le fa risuonare nel cuore. Lo dice espressamente lui stesso attraverso il profeta Osea, parlando di Israele come di una sposa infedele: "Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (Os 2, 16).
Dio non ha bocca e fiato umani: la sua bocca è il profeta, il suo fiato lo Spirito Santo. "Tu sarai la mia bocca" dice egli stesso ai suoi profeti, o anche "porrò la mia parola sulle tue labbra". È il senso della celebre frase: "Mossi da parte di Dio parlarono quegli uomini da parte di Dio" (2 Pt 1, 21). La tradizione spirituale della Chiesa ha coniato per questo modo di parlare diretto alla mente e al cuore l'espressione di "locuzioni interiori".
È tuttavia si tratta di un parlare in senso vero; la creatura riceve un messaggio che può tradurre in parole umane. Così vivido e reale è il parlare di Dio che il profeta ricorda con precisione il luogo, il giorno e l'ora in cui una certa parola "venne" su di lui. Così concreta è la parola di Dio che di essa si dice che "cade" su Israele, come fosse una pietra (Is 9,7), o come fosse un pane che si mangia con gusto: "Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore" (Ger 15, 16). Nessuna voce umana raggiunge l'uomo alla profondità in cui lo raggiunge la parola di Dio. "Essa "penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4,12). A volte il parlare di Dio è "un tuono potente che schianta i cedri del Libano " (Sal 28), altre volte somiglia al "mormorio di un vento leggero" (1 Re 19,12). Conosce tutte le tonalità del parlare umano.
Questa natura interiore e spirituale del parlare di Dio cambia radicalmente nel momento in cui "il Verbo si è fatto carne". Con la venuta di Cristo, Dio parla anche con voce umana, udibile con gli orecchi non più solo dell'anima, ma anche del corpo.
La Bibbia attribuisce, come si vede, alla parola una dignità immensa. Non sono mancati tentativi di cambiare la solenne affermazione con cui Giovanni inizia il suo vangelo: "In principio era la Parola". Goethe fa dire al suo Faust: "In principio era l'azione" ed è interessante vedere come lo scrittore arriva a questa conclusione. Non posso, dice Faust, dare a "la parola" un valore così alto; forse devo intendere "il senso"; ma può il senso essere ciò che tutto opera e crea? Si dovrà allora dire: "In principio era la forza"? Ma no, un'improvvisa illuminazione mi suggerisce la risposta: "In principio era l'azione". Ma sono tentativi di correzione ingiustificati. Il Verbo, o Logos, giovanneo contiene tutti i significati che Goethe assegna ad altri termini. Esso, lo si vede nel resto del Prologo, è luce, è vita ed è forza creatrice.
Dio creò l'uomo "a sua immagine" proprio perché lo creò capace di parlare, di comunicare e di stabilire dei rapporti. Egli, che ha in se stesso, dall'eternità, una Parola, ha creato l'uomo dotato di parola. Per essere, però, non solo "a immagine", ma anche "a somiglianza" di Dio (Gen 1, 26), non basta che l'uomo parli, bisogna che imiti il parlare di Dio. Ora contenuto e movente del parlare di Dio è l'amore. Dio parla per lo stesso motivo per cui crea: "Per effondere il suo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della sua gloria", come dice la Preghiera Eucaristica IV. La Bibbia, dall'inizio alla fine, non è che un messaggio d'amore di Dio alle sue creature. I toni possono cambiare, dall'adirato al tenerissimo, ma la sostanza è sempre e solo amore.
Dio si è servito della parola per comunicare vita e verità, per istruire e consolare. Questo pone la domanda: noi che uso facciamo della parola? Nel suo dramma Porte chiuse, Sartre ci ha dato una immagine impressionante di quello che può diventare la comunicazione umana, quando manca l'amore. Tre persone vengono introdotte, a brevi intervalli, in una stanza. Non ci sono finestre, la luce è al massimo e non c'è possibilità di spegnerla, fa un caldo soffocante, e non c'è nulla all'infuori di un canapè per ciascuno. La porta naturalmente è chiusa, il campanello c'è, ma non dà suono. Chi sono? Sono tre morti, un uomo e due donne, e il luogo dove si trovano è l'inferno. Non vi sono specchi e ognuno di loro non può vedersi che attraverso le parole dell'altro che gli rimanda l'immagine più brutta di sé, senza nessuna misericordia, anzi con ironia e sarcasmo. Quando, dopo un po', le loro anime sono diventate nude l'una all'altra e le colpe di cui ci si vergogna di più sono venute a galla una ad una e sfruttate dagli altri senza pietà, uno dei personaggi dice agli altri due: "Ricordate: lo zolfo, le fiamme, la graticola. Tutte sciocchezze. Non c'è nessun bisogno di graticole: l'inferno sono gli Altri". L'abuso della parola può trasformare la vita in un inferno.
San Paolo dà ai cristiani questa regola d'oro a proposito delle parole: "Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano" (Ef 4, 29). La parola buona è la parola che sa cogliere il lato positivo di un'azione e di una persona e, anche quando corregge, non offende; parola buona è quella che da speranza. Parola cattiva è ogni parola detta senza amore, per ferire e umiliare il prossimo. Se la parola cattiva è uscita dalle labbra, bisognerà ritirarla indietro. Non sono del tutto veri i versi del nostro Metastasio:
"Voce dal sen fuggita
più richiamar non vale;
non si trattien lo strale,
quando dall'arco uscì".
Si può richiamare una parola uscita di bocca, o almeno limitarne l'effetto negativo, chiedendo scusa. Che dono, allora, per i nostri simili e che miglioramento della qualità della vita in seno alla famiglia e alla società
Fonte:http://www.qumran2.net
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