dom Luigi Gioia, "Una stella che brilla nel cuore"

Una stella che brilla nel cuore
dom Luigi Gioia  
Trasfigurazione del Signore (Anno A) (06/08/2017)
Vangelo: Dn 7,9-10.13-14; Sal 96; 2Pt 1,16-19; Mt 17,1.9 
Non si è dovuto attendere l'epoca moderna perché emergessero dubbi sull'autenticità della
predicazione evangelica. Come lo lascia intravedere la seconda lettera di Pietro, fin dall'inizio vi furono persone che consideravano le vicende legate alla vita e alla missione di Gesù, alla sua risurrezione, alla sua trasfigurazione, come “favole artificiosamente inventate” (2Pt 1,16). E in effetti, come credere alla storia raccontata nella pagina del vangelo di oggi? Della luce che emana da un corpo umano, personaggi deceduti da secoli che ritornano in vita, voci che si odono dal cielo. Se qualcuno ci raccontasse di essere stato testimone di eventi di questo genere difficilmente gli crederemmo. E ciò che ci appare incredibile oggi lo era altrettanto due mila anni fa. I discepoli di Gesù ne erano consapevoli. Avrebbero potuto scegliere di riportare il messaggio di Gesù ma di omettere dettagli che avrebbero sollevato dubbi riguardo all'equilibrio mentale di chi li riportava.
Invece, della trasfigurazione ci parlano non solo i vangeli, ma anche la seconda lettera di Pietro. Nel primo caso potremmo essere tentati di interpretare questo racconto in senso metaforico visto che i vangeli integrano molto materiale di carattere simbolico. Ma quando Pietro ne parla anche lui insiste sul fatto che non è un racconto simbolico, non è una favola della quale basta conservare il messaggio. Insiste anzi sulla veracità di questa esperienza, rivendica di esserne stato “testimone oculare” (2Pt 1,16) e insiste aggiungendo “noi questa voce l'abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui” (1 Pt 1, 18).
La trasfigurazione non fu un miracolo destinato a impressionare le folle. Il vangelo afferma che si svolse in un luogo “in disparte, su un alto monte”, davanti a soli quattro discepoli, ai quali del resto alla fine Gesù ordina di non parlarne a nessuno (Mt 17,1.9). Per capirne la natura possiamo associarla ad un altro episodio misterioso riportato dall'evangelista Luca, nel quale Gesù risorto appare ai discepoli di Emmaus, non si fa riconoscere immediatamente, ma spiega loro le Scritture e li illumina progressivamente fino a che ci è detto che finalmente “i loro occhi si aprirono e lo riconobbero” (Lc 24,18). La trasfigurazione ha anche essa come motivo quello di aprire gli occhi di coloro che dovranno annunciare al mondo l'identità e il messaggio di Gesù e gli occhi dei discepoli si aprono non quando vedono “vesti candide come la luce” (Mt 17,2), ma quando imparano ad ascoltare Gesù nel modo giusto. Non è per caso che la voce dal cielo non ingiunga ai discepoli di guardare Gesù nella sua gloria, ma di ascoltarlo: “Ascoltatelo” (Mt 17,5).
A questo riguardo, il dettaglio più significativo della scena della trasfigurazione è quello relativo a Mosè e ad Elia “che conversavano con lui” (Mt 17,3). Mosè era considerato l'autore dei primi cinque libri della bibbia o della legge, mentre Elia rappresentava i profeti. Mosè ed Elia rappresentano dunque la Scrittura, quello che noi chiamiamo Antico Testamento, ed il fatto che Gesù dialoghi con loro come se fossero ancora vivi vuol dire che solo lui vivifica la Scrittura, le permette di parlarci, la fa diventare Parola che Dio pronuncia adesso e attraverso la quale ci istruisce, ci consola, ci edifica, ci guida, ci conferma. Gesù va ascoltato in questo modo: conversando con la Legge e i Profeti, attraverso la Scrittura.
Questo ci è confermato dal racconto parallelo della trasfigurazione della seconda lettera di Pietro. Subito dopo aver assicurato che non è una favola, che i discepoli ne sono stati testimoni, sembra che ci sia un cambiamento di argomento. Pietro prima si riferisce alla voce udita dal cielo e subito dopo ci invita a “volgere attenzione” alla “parola dei profeti”, vale a dire alla Scrittura: “E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino” (2Pt 1,19). La luce che dobbiamo cercare non è esteriore a noi, ma deve sorgere nei nostri cuori, come la stella del mattino, quella cioè che guida i marinai verso la loro meta. I nostri occhi si aprono quando si schiude una certezza interiore, quella della fede: essa non ci fa vedere nulla, ma la luce che ci conferisce è assoluta, irremovibile. Questa fede diventa una lampada perché illumina il nostro cammino. Non è un faro, non ha la luminosità del sole, ma ci offre luce abbastanza per permetterci di avanzare un passo dopo l'altro sapendo dove mettiamo i piedi - esattamente come Gesù chiedeva ai suoi discepoli di seguirlo un passo dopo l'altro, lasciando a lui l'onere di essere per loro la via: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).
Anche noi, come i discepoli, dobbiamo allora lasciarci condurre in disparte da Gesù, su un alto monte, vale a dire in un luogo dove essere liberi per poterlo ascoltare senza che fretta, rovi, spine, incostanza o distrazioni ce lo rendano difficile. Saremo anche noi testimoni della sua trasfigurazione quando aprirà i nostri occhi per riconoscerlo presente in mezzo a noi, in cammino con ognuno di noi: “Io sono con voi” (Mt 28.20). Lo riconosceremo conversando anche noi con Mosè ed Elia, cioè meditando pazientemente la Scrittura fino a che non faremo anche noi la stessa esperienza dei discepoli di Emmaus: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32).
Fonte:http://www.qumran2.net

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