don Mauro Pozzi,"Vade retro satana! "

OMELIA XXII DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 16,21-27)
Vade retro satana! (dMP)
Povero Pietro, lui parla al suo Maestro con l’affetto di chi vuole vederlo sempre riconosciuto e amato,
ma ha bisogno di una strapazzata per capire che il giudizio umano sulle cose non c‘entra niente con il piano divino. Anche noi abbiamo la pretesa di giudicare se quello che ci capita sia bene o male, ma la cosa migliore è fidarsi.
Pietro ha appena finito di confessare Gesù come il Cristo, il
Figlio di Dio, e Gesù stesso lo rimprovera allontanandolo da sé.
Satana vuol dire inciampo. Pietro è un ostacolo alla
realizzazione del piano della salvezza. Sono parole molto dure,
ancor più perché seguono la lode di poco prima: beato te
Simone… In realtà quello che fa parlare l’Apostolo è l’affetto che
nutre per il suo Maestro. Come è possibile che un uomo grande
come Gesù debba essere ucciso, che il Messia, colui che era
atteso dai tempi più antichi, debba essere rifiutato? Certamente
non è questo che gli viene rimproverato, ma il fatto che egli
giudichi il disegno divino. Il vero discepolo è colui che rinnega
se stesso e prende la sua croce. Cerchiamo di capire. La nostra
vita è sospesa tra gioia e dolore. La sofferenza ne fa parte e non
può essere eliminata, prova ne è che Gesù stesso ha sofferto.
Invece il principe del mondo, Satana, cerca in tutti in modi di
farci credere che ogni forma di dolore sia uno sbaglio,
un’ingiustizia, qualcosa che ci allontana dal bene. È falso,
perché noi sappiamo che senza sacrificio e fatica non si cresce,
non si impara, non si migliora. Inoltre la morte, anche se ci fa
paura e non vorremmo che ci fosse, esiste e nulla le sfugge. La
morte e il dolore non sono il male in sé, certo fanno soffrire, ma
sono delle vie di accesso a nuove opportunità. Per cui il bene c’è
sempre, piuttosto manca la capacità di vederlo. Rinnegare se
stessi significa allora rinunciare alla pretesa di capire tutto e di
voler giudicare l’operato di Dio, e mettersi con fiducia nelle mani
della Provvidenza, che sa molto meglio di noi che cosa concorra
al nostro vero bene. Prendere la propria croce non vuol dire
essere contenti di soffrire o cercare di vivere nel peggior modo
possibile, ma piuttosto saper accettare serenamente e
fiduciosamente le difficoltà e le fatiche della nostra vita,
considerandole come strumenti per crescere. Se Gesù avesse
rifiutato la croce per noi non ci sarebbe salvezza, né lui, senza
morire, sarebbe potuto risorgere. Per cui il Maestro strapazza
Pietro perché capisca che non deve giudicare il disegno del
Padre, ma deve piuttosto collaborare con coraggio alla sua
realizzazione. Noi crediamo nella resurrezione e nella vita
eterna, la nostra esistenza attuale non è definitiva, ma è
l’opportunità che abbiamo per arrivare all’eternità. È dunque
inutile attaccarci a questo mondo e alle sue ricchezze, perché in
capo a qualche anno dovremo abbandonare l’uno e le altre. Ecco
perché Gesù ci invita a preoccuparci soprattutto del suo
giudizio finale. Cerchiamo di essere pronti.

Fonte:http://www.noidisantamonica.it/



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