Don Paolo Zamengo, "Signore, salvami "
Signore, salvami Mt 14, 22-33
Pietro aveva avuto una grande paura già sul finire della notte. Gesù cammina sulle acque in mezzo
alla tempesta. Lo credevano ancora immerso nella preghiera, in disparte e solo, sulla montagna e, invece, eccolo qui in mezzo all’infuriare dei venti, in precario equilibrio sulle onde agitate da mettere paura. Loro, uomini, pescatori, esperti, conoscitori come nessun altro di quel lago, oggi così ostile.
Nel marasma risuona una voce. “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. È chiaramente la sua voce, la voce di Gesù che si fa vicina, che rincuora e calma, che si fa fraterna e amichevole. Pietro la riconosce. Quella voce gli è familiare, gli appartiene. La paura scompare. Pietro allora osa l’incredibile.
Pietro si rende conto fino in fondo di quello che chiede? Non domanda semplicemente un segno ma lancia una sfida! Lui abituato a sbilanciare anche se stesso e puntualmente riportato a più miti pretese. Ricordate i rimproveri di Gesù? “Pietro rimetti la tua spada nel fodero”, o “Prima che il gallo canti tu mi avrai già rinnegato”.
Pietro è fatto così, nel bene e nel male. Perciò è irrefrenabile nelle sue pretese: “Signore, se sei tu, comandami di venire da te sulle acque”. Quale è la pretesa di Pietro? Di camminare sulle acque o nel voler strappare a Gesù la prova di essere quello che dice? Come la chiamiamo? Presunzione, arroganza, sfida, provocazione, audacia?
Non dovrebbe essere Pietro a dare un segno a Gesù, fidandosi di lui? Credendo alla sua parola? Non dovrebbe essere Pietro a buttarsi tra le braccia di Gesù? Niente di tutto questo e Gesù non se ne rammarica. Gesù sa che il cuore dell’uomo ha bisogno di tempo come il grano delle stagioni per diventare spiga dorata e la vite per donare grappoli d’uva matura.
Perciò Gesù ha solo una parola, una breve parola che Pietro aveva già sentito quando era con suo padre intento a riparare le reti sulla riva di quello stesso lago. “Vieni”. Pietro risente il richiamo che ora gli arriva attraverso la tempesta, dentro l’infuriare dei venti e lo spumeggiare delle onde. Si affida alla potenza del miracolo che Gesù gli offre. Prende lo slancio e si getta in acqua.
Ma, ora, cosa succede a Pietro? Cosa trasforma il miracolo di un uomo che cammina sulle acque in un tragico incidente che rasenta la tragedia? Pietro ha chiesto l’impossibile, ha chiesto un miracolo e Gesù lo esaudisce. Ma ora il miracolo deve diventare “puro miracolo”, unicamente segno di salvezza e di misericordia.
Il vangelo dice che Pietro ebbe paura. Per un istante, Pietro aveva perso di vista Gesù perché aveva guardato solo se stesso. Staccando il suo sguardo da Gesù, Pietro non si rese conto di cosa c’era di tragico nella sua situazione, così in balia delle acque e spinto dalla burrasca. Povero Pietro. Chi credeva di essere? Perché aveva tentato Dio?
Quando ci allontaniamo, anche per un istante, dall’attrazione dell’amore di Gesù, il miracolo viene meno e ben presto succede ciò che capita a Pietro: ha paura e affonda. Ma un sussulto di fede e di preghiera lo salva. “Signore, salvami!”. Gesù non aspettava che questo. La disperazione e quel sussulto di fede contro ogni speranza. Il vero miracolo si compie ora. Gesù afferra con la sua mano quella di Pietro e, all’istante, il vento cessò. Pietro aveva bisogno di essere salvato. Ora è finalmente salvo, ma nella mano di Gesù.
Noi non siamo diversi da Pietro. Talvolta la nostra buona volontà è impressionante. Il Signore ci prende sul serio e accetta i nostri propositi. Ma questo non è che l’inizio. Il tempo è galantuomo e rivela la nostra fragilità. Il nostro cammino, allora, deve trasformarsi e diventare il miracolo della misericordia di Gesù.
Gesù non si meraviglia della nostra stanchezza e neanche se qualche volta affondiamo nella bufera della vita. Una cosa aspetta Gesù. Una cosa si aspetta da noi. Che lo chiamiamo. Magari disperati e urlando. “Gesù, salvami!”. Allora soltanto il Signore può compiere, un’altra volta, il suo vero miracolo.
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