MONASTERO MARANGO, "Un Messia che rompe gli schemi"
21° Domenica del Tempo Ordinario (anno A)
Letture: Is 22,19-23; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20
Un Messia che rompe gli schemi
1)Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Seguendo Marco, che è la sua fonte letteraria, Matteo colloca la confessione di fede di Pietro nella
regione di Cesarea di Filippo, in terra pagana.
Siamo verso la fine del ministero itinerante in Galilea. Gesù aveva già dato sufficienti segni della sua messianicità e sperava che almeno i discepoli l’avessero capita. Davanti, ormai, c’era solo Gerusalemme e la certezza che nella città santa avrebbe consegnato la sua vita.
Mi sono recato diverse volte in pellegrinaggio in questa località, che oggi si chiama Banyas, a 55 Km da Damasco, sulle pendici del monte Hermon. Permettete che mi dilunghi un poco sulla storia di questi luoghi perché, dal contesto storico e geografico, si può capire meglio la portata della domanda che Gesù rivolge ai discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?»; «Voi, chi dite che io sia?».
Banyas sta nella regione del Golan, territorio occupato e amministrato da Israele e rivendicato dalla Siria, almeno fino alla sanguinosa guerra civile che da tanti anni insanguina quel Paese, e che, come tutte le guerre, non ha proprio nulla di civile.
Con i greci al potere, nel III secolo a.C., divenne luogo di culto in onore del dio Pan, divinità della terra, in parte uomo e in parte capra, simbolo della forza selvaggia e generatrice. In quel periodo la regione è anche teatro di violenti scontri tra eserciti contrapposti, per il dominio politico e militare del territorio.
Divenuta in seguito, con il rovesciamento delle parti, provincia romana, Erode il grande, piccolo re tenuto in piedi dai dominatori, vi fa erigere, nel 20 a.C.,un tempio in marmo bianco in onore dell’imperatore Augusto.
Nel 3 a.C. il tetrarca Filippo, figlio di Erode e di Cleopatra, vi fonda una città alla quale dà il nome di Cesarea, come omaggio all’imperatore Tiberio. E’ la Cesarea di Filippo, di cui parla il vangelo. Come se non bastassero questi fuochi d’artificio, questo vuoto asservimento all’idolo del potere, al fine di continuare ad avere una parvenza di dominio sul territorio, nel 61 d.C. il re Agrippa ribattezzò la città con il nome di Neronia, ed è ancora una volta chiarissimo il perché.
In questo contesto geografico e politico, si capisce meglio la domanda posta da Gesù proprio in quel luogo, la debole risposta dei discepoli, che riportano solo immagini, se pur gloriose, del passato, e la risposta, suggerita “dal Padre che è nei cieli” di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
Non so se avete inteso bene. In questa risposta c’è la contestazione di tutti i poteri e di tutte le potenze di questo mondo che, in quanto potenze, pretendono di attribuire a sé le prerogative che sono solo di Colui che Dio ha inviato. Di fronte al Cristo, Figlio di Dio, il dio Pan è un impotente, Cesare è lo sgabello dei suoi piedi, e tutti gli imperi del mondo non sono che “un pulviscolo sulla bilancia”, come leggiamo in un salmo.
Cantiamo infatti, nella liturgia della Chiesa: «Tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo». E ancora: «Tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli». E questo lo crediamo di Gesù il crocifisso, innalzato non dai poteri mondani, ma dalla potenza dello Spirito. Il nostro Messia è un Messia crocifisso.
Vorrei aiutare i miei pochi ascoltatori a capire questo, in un momento, come quello che stiamo vivendo, nel quale, di fronte allo smarrimento, alla paura, alla mancanza di orientamento, da più parti si cercano ancora, in modo del tutto improvvido e irrazionale, i segni del potere. Assisto con sgomento all’imbarbarimento della lotta politica, alimentata spesso, dalla diffusione di fake news, di notizie redatte da agenzie specializzate, del tutto inventate, ingannevoli e distorte, con l’intento di attrarre il consenso dello sprovveduto lettore. Siamo diventati il popolo del “mi piace”, “commenta”, “condividi”. Basta premere un dito, e il mondo è sistemato, giustizia è fatta: di qua i cattivi e di là i buoni. Senza alzarci da una comoda poltrona.
A me invece piace sempre di più questo Messia povero, che si reca nei luoghi del potere, e ha il coraggio di dire che “il re è nudo”, che non esiste alcun potere degno di questo nome, e che la vera grandezza sta nella potenza dell’amore che si dona incessantemente ai fratelli, affinché nessun uomo sia più sottomesso ad un altro uomo. A costo della propria vita. Lo fa interrogando i discepoli: «Voi, chi dite che io sia?». I discepoli avevano riferito il parere della gente, peraltro assai lusinghiero: «Alcuni dicono Giovanni battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». E’ notevole, ma non è sufficiente per rompere con gli schemi e le immagini del passato: Gesù si presenta come novità, incomprensibile anche ai discepoli che, tra l’altro, hanno del Messia una visione gloriosa e anche guerriera, come guerrieri erano stati Davide e Salomone. Gesù insiste: «Ma voi chi dite che io sia?». La domanda impegna più direttamente; essa è più grave, e riguarda il presente. Così Pietro prende la parola, e lo fa come portavoce dei Dodici. Lo fa per ispirazione “del Padre che è nei cieli”, e non mosso semplicemente dalla sua convinzione.
Secondo l’evangelista Marco, Pietro risponde molto semplicemente «Tu sei il Messia». Questa frase ha tutti i requisiti per essere la frase esatta pronunciata da Pietro. Corrisponde all’insegnamento e ai segni già compiuti: Gesù è l’inviato da Dio annunciato dai profeti, il re potente, il nuovo Davide che salverà il popolo eletto dalla umiliazione e dalla dipendenza che subisce da secoli, come castigo per i suoi peccati.
A questo punto è bene però che ci ricordiamo ancora una volta in quale modo Gesù manifesterà il suo essere Messia, Figlio di Dio. Lo farà non mettendosi in fila con i potenti di questo mondo, ma con i peccatori, sedendo a mensa non con i forti, ma con i deboli e i disprezzati. Diventando amico degli stranieri, dei ladri e delle prostitute.
Lo farà scendendo il gradino più basso dell’umanità, spiegando ai discepoli increduli che «doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno». E’ questo il modo in cui Gesù si fa beffe del potere, dandogli l’illusione, per un momento, di aver riportato la vittoria.
Sì, di fronte all’uomo Gesù, che dona la vita, che si fa servo e non padrone, gli dèi sono ormai giunti al crepuscolo, e i simboli del potere sono solo una tragica commedia destinata a finire.
Nemmeno i discepoli capiscono questo. Nemmeno Pietro, al quale il Signore consegna le chiavi del Regno.
Alla prospettiva del dono della vita, Pietro si è opposto. Ha premuto sul tasto del “non mi piace”, con un facile e qualunquistico disimpegno, spacciato per amicizia e coinvolgimento. Come facciamo tutti.
Se Gesù si fosse lasciato persuadere dall’amico Pietro, non sarebbe il Messia, Figlio di Dio.
Se non ci mettiamo alla sequela di questo strano Messia, nessuno potrà dirsi discepolo, nessuno potrà sperimentare cosa significa essere prossimi a Dio.
Allora ordinò ai discepoli di non dire a nessuno che egli era il Cristo.
Per via, camminando dietro a Gesù, iniziamo a fare silenzio.
Giorgio Scatto
Fonte:www.monasteromarango.it/
Letture: Is 22,19-23; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20
Un Messia che rompe gli schemi
1)Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Seguendo Marco, che è la sua fonte letteraria, Matteo colloca la confessione di fede di Pietro nella
regione di Cesarea di Filippo, in terra pagana.
Siamo verso la fine del ministero itinerante in Galilea. Gesù aveva già dato sufficienti segni della sua messianicità e sperava che almeno i discepoli l’avessero capita. Davanti, ormai, c’era solo Gerusalemme e la certezza che nella città santa avrebbe consegnato la sua vita.
Mi sono recato diverse volte in pellegrinaggio in questa località, che oggi si chiama Banyas, a 55 Km da Damasco, sulle pendici del monte Hermon. Permettete che mi dilunghi un poco sulla storia di questi luoghi perché, dal contesto storico e geografico, si può capire meglio la portata della domanda che Gesù rivolge ai discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?»; «Voi, chi dite che io sia?».
Banyas sta nella regione del Golan, territorio occupato e amministrato da Israele e rivendicato dalla Siria, almeno fino alla sanguinosa guerra civile che da tanti anni insanguina quel Paese, e che, come tutte le guerre, non ha proprio nulla di civile.
Con i greci al potere, nel III secolo a.C., divenne luogo di culto in onore del dio Pan, divinità della terra, in parte uomo e in parte capra, simbolo della forza selvaggia e generatrice. In quel periodo la regione è anche teatro di violenti scontri tra eserciti contrapposti, per il dominio politico e militare del territorio.
Divenuta in seguito, con il rovesciamento delle parti, provincia romana, Erode il grande, piccolo re tenuto in piedi dai dominatori, vi fa erigere, nel 20 a.C.,un tempio in marmo bianco in onore dell’imperatore Augusto.
Nel 3 a.C. il tetrarca Filippo, figlio di Erode e di Cleopatra, vi fonda una città alla quale dà il nome di Cesarea, come omaggio all’imperatore Tiberio. E’ la Cesarea di Filippo, di cui parla il vangelo. Come se non bastassero questi fuochi d’artificio, questo vuoto asservimento all’idolo del potere, al fine di continuare ad avere una parvenza di dominio sul territorio, nel 61 d.C. il re Agrippa ribattezzò la città con il nome di Neronia, ed è ancora una volta chiarissimo il perché.
In questo contesto geografico e politico, si capisce meglio la domanda posta da Gesù proprio in quel luogo, la debole risposta dei discepoli, che riportano solo immagini, se pur gloriose, del passato, e la risposta, suggerita “dal Padre che è nei cieli” di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
Non so se avete inteso bene. In questa risposta c’è la contestazione di tutti i poteri e di tutte le potenze di questo mondo che, in quanto potenze, pretendono di attribuire a sé le prerogative che sono solo di Colui che Dio ha inviato. Di fronte al Cristo, Figlio di Dio, il dio Pan è un impotente, Cesare è lo sgabello dei suoi piedi, e tutti gli imperi del mondo non sono che “un pulviscolo sulla bilancia”, come leggiamo in un salmo.
Cantiamo infatti, nella liturgia della Chiesa: «Tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo». E ancora: «Tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli». E questo lo crediamo di Gesù il crocifisso, innalzato non dai poteri mondani, ma dalla potenza dello Spirito. Il nostro Messia è un Messia crocifisso.
Vorrei aiutare i miei pochi ascoltatori a capire questo, in un momento, come quello che stiamo vivendo, nel quale, di fronte allo smarrimento, alla paura, alla mancanza di orientamento, da più parti si cercano ancora, in modo del tutto improvvido e irrazionale, i segni del potere. Assisto con sgomento all’imbarbarimento della lotta politica, alimentata spesso, dalla diffusione di fake news, di notizie redatte da agenzie specializzate, del tutto inventate, ingannevoli e distorte, con l’intento di attrarre il consenso dello sprovveduto lettore. Siamo diventati il popolo del “mi piace”, “commenta”, “condividi”. Basta premere un dito, e il mondo è sistemato, giustizia è fatta: di qua i cattivi e di là i buoni. Senza alzarci da una comoda poltrona.
A me invece piace sempre di più questo Messia povero, che si reca nei luoghi del potere, e ha il coraggio di dire che “il re è nudo”, che non esiste alcun potere degno di questo nome, e che la vera grandezza sta nella potenza dell’amore che si dona incessantemente ai fratelli, affinché nessun uomo sia più sottomesso ad un altro uomo. A costo della propria vita. Lo fa interrogando i discepoli: «Voi, chi dite che io sia?». I discepoli avevano riferito il parere della gente, peraltro assai lusinghiero: «Alcuni dicono Giovanni battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». E’ notevole, ma non è sufficiente per rompere con gli schemi e le immagini del passato: Gesù si presenta come novità, incomprensibile anche ai discepoli che, tra l’altro, hanno del Messia una visione gloriosa e anche guerriera, come guerrieri erano stati Davide e Salomone. Gesù insiste: «Ma voi chi dite che io sia?». La domanda impegna più direttamente; essa è più grave, e riguarda il presente. Così Pietro prende la parola, e lo fa come portavoce dei Dodici. Lo fa per ispirazione “del Padre che è nei cieli”, e non mosso semplicemente dalla sua convinzione.
Secondo l’evangelista Marco, Pietro risponde molto semplicemente «Tu sei il Messia». Questa frase ha tutti i requisiti per essere la frase esatta pronunciata da Pietro. Corrisponde all’insegnamento e ai segni già compiuti: Gesù è l’inviato da Dio annunciato dai profeti, il re potente, il nuovo Davide che salverà il popolo eletto dalla umiliazione e dalla dipendenza che subisce da secoli, come castigo per i suoi peccati.
A questo punto è bene però che ci ricordiamo ancora una volta in quale modo Gesù manifesterà il suo essere Messia, Figlio di Dio. Lo farà non mettendosi in fila con i potenti di questo mondo, ma con i peccatori, sedendo a mensa non con i forti, ma con i deboli e i disprezzati. Diventando amico degli stranieri, dei ladri e delle prostitute.
Lo farà scendendo il gradino più basso dell’umanità, spiegando ai discepoli increduli che «doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno». E’ questo il modo in cui Gesù si fa beffe del potere, dandogli l’illusione, per un momento, di aver riportato la vittoria.
Sì, di fronte all’uomo Gesù, che dona la vita, che si fa servo e non padrone, gli dèi sono ormai giunti al crepuscolo, e i simboli del potere sono solo una tragica commedia destinata a finire.
Nemmeno i discepoli capiscono questo. Nemmeno Pietro, al quale il Signore consegna le chiavi del Regno.
Alla prospettiva del dono della vita, Pietro si è opposto. Ha premuto sul tasto del “non mi piace”, con un facile e qualunquistico disimpegno, spacciato per amicizia e coinvolgimento. Come facciamo tutti.
Se Gesù si fosse lasciato persuadere dall’amico Pietro, non sarebbe il Messia, Figlio di Dio.
Se non ci mettiamo alla sequela di questo strano Messia, nessuno potrà dirsi discepolo, nessuno potrà sperimentare cosa significa essere prossimi a Dio.
Allora ordinò ai discepoli di non dire a nessuno che egli era il Cristo.
Per via, camminando dietro a Gesù, iniziamo a fare silenzio.
Giorgio Scatto
Fonte:www.monasteromarango.it/
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