MONASTERO MARANGO,"Più leggero del silenzio ma più forte delle acque "

19° Domenica del Tempo Ordinario (anno A)
Letture: 1Re 19,9a.11-13a; Rm 9,1-5; Mt 14,22-33
Più leggero del silenzio ma più forte delle acque

1)In quei giorni Elia, essendo giunto al monte di Dio, l’Oreb, entrò in una caverna per passarvi la
notte.
Elia è un profeta spaventato e in fuga. L’ha fatta troppo grossa, facendo sgozzare quattrocentocinquanta (!) profeti del dio Baal al torrente Kison. Ora teme per la sua vita e, dopo aver percorso a ritroso tutta la terra promessa, giunge al Sinai, chiamato anche Oreb, dove tutto ha avuto inizio, e trova rifugio in una grotta. Nell’oscurità della grotta, che sembra come il fondo di una notte senza alba, Dio gli rivolge la parola: «Che cosa fai qui, Elia?» Il profeta si affretta a presentare il conto del suo ministero, così difficile e impegnativo: «Sono pieno di zelo per il Signore; tutti ti hanno abbandonato e sono rimasto solo io. E ora, dopo aver ucciso i tuoi profeti, vogliono uccidere anche me!». Parole orgogliose e prive di senso. Il Signore allora gli ordina di uscire dalla caverna, per assistere al suo passaggio.

Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento.
Nei salmi e in altri testi il vento viene assimilato alla «voce di JHWH». Ora, contrariamente a questa tradizione costante, che invita a riconoscere la «voce di Dio» nel fragore di una tempesta che sconvolge il mare e fa vibrare le foreste, Elia non trova il Signore nel fragore di un vento impetuoso.
Viene poi il terremoto: veniva proposto come segno possibile della terribile presenza di Dio. Profeti e scrittori apocalittici ci si sono ispirati per descrivere i cataclismi escatologici precursori del grande e definitivo «giudizio di Dio». Ma Dio non è lì.
Poi viene il fuoco, che è una rievocazione del Sinai infuocato, piuttosto che del roveto ardente. L’attesa di una manifestazione di Dio nel fuoco percorre tutta la Bibbia, ma sull’Oreb, davanti a Elia, il Signore non si trova nel fuoco!

Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera.
E’ un linguaggio nuovo, una nuova rivelazione di Dio. Come a dire che egli non si manifesta nella potenza e nella forza sconvolgente, tale da incutere terrore, come anche Elia aveva creduto fino a quel momento. Se Dio è terribile, Elia riteneva che tale maestà andasse difesa con altrettanta forza e con l’affermazione di azioni violente per sconfiggere i nemici di Dio. Ma non è così. Ora Dio si manifesta al suo profeta tremante e terrificato dalla collera del re Acab e della moglie Gezabele, nel “sussurro di una brezza leggera”.
Questo “silenzio” di Dio rende Elia sensibile ad una vera trascendenza, una volta che viene purificato da ogni falsa immagine del Dio vivente. Dovremo anche noi dire spesso: «Dio non è così», e cancellare montagne di immagini dolciastre e false di Dio e del suo Cristo.
La “voce di un silenzio sottile” accompagna la visita del Signore. Davanti a lui Elia si copre il volto con il mantello, perché «nessuno può vedere Dio e restare in vita» (Es 33,20). Dio si afferma come colui che è completamente “diverso” dall’uomo.
Fu così anche per il profeta Mosè, che conversava con Dio «a faccia a faccia, come un amico con il suo amico». Quando gli domanda di mostrargli la sua gloria, Dio gli risponde: «Vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere» (Es 33,23).
Mosè ed Elia, intimi di Dio, saranno accanto a Gesù nella rivelazione del Tabor (Mt 17,3). Gli apostoli troveranno nella loro presenza una testimonianza viva del piano salvifico del Signore: nella loro missione terrestre furono servi e amici di Dio, pur senza vederlo. Ora possono vederne il volto di gloria riflesso sul volto di Gesù.


Non pochi, oggi, incontrano il volto di Dio in fondo alle strade più polverose, nelle periferie dell’esistenza, tra compagni di un lavoro, spesso malpagato e opprimente. O anche nella mano tesa di chi ti strappa dalla morte nell’oscurità del mare. Il volto di Dio è là dove incontri il volto dell’uomo. Ma per vederlo occorre attraversare il deserto, come Elia, sfiorati dal velo gelido della morte. O come Mosè, che ha condotto il suo gregge oltre il deserto, oltre la sua disperazione e l’amarezza della sconfitta e della fuga.
«Vi sarà sempre un deserto a sufficienza per coloro che ne sono degni» (E. Psichari).

Alcuni cenni sul Vangelo.
Congedata la folla, Gesù salì sul monte, in disparte, a pregare.
Gesù aveva spezzato il pane per i cinquemila che lo avevano seguito a piedi dalle città della Galilea. Ora cerca un po’ di tranquillità «sul monte». Più che darci una indicazione geografica, il termine vuol suggerirci un ambiente spirituale, adatto alla preghiera.
La barca dei discepoli «distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde. Sul finire della notte Gesù andò verso di loro camminando sul mare». I discepoli, vedendo Gesù che camminava sul mare, lo prendono per un fantasma.
Confrontando questo episodio con il racconto dell’apparizione del Risorto ai discepoli riuniti nel cenacolo, narrato da Luca, vediamo che anch’essi lo prendono per un fantasma. (Lc 24,37). Gesù deve farsi riconoscere: «Sono proprio io!». Domandiamoci: chi può compiere tali segni se non Dio stesso?
Il racconto sacerdotale delle origini aveva descritto la creazione come una vittoria della potenza divina sull’abisso delle acque (Gen 1). Nei salmi, ma anche in altri testi, l’oceano viene considerato come una forza che schiaccia e che minaccia pericolosamente l’uomo, e che soltanto Dio può dominare.
Allora, il fatto che Gesù “cammini sulle acque” è il segno che tutte le creature sono messe «sotto i suoi piedi», anche le potenze malefiche, capaci di dare la morte. Egli è veramente il Figlio di Dio (Mt 14,33), il Salvatore del mondo (Gv4,42). Talvolta anche i cristiani, come Pietro, sono presi dalla paura e dallo smarrimento. E affondano in acque profonde.
Pietro incarna, in qualche modo, il cammino della fede nel cuore dell’uomo: egli crede, ma la sua fede rimane fragile. Quando si affida a Gesù, è forte; quando torna a lasciarsi imprigionare dalle proprie debolezze, affonda. Ma grida: «Signore, salvami!», e Gesù lo afferra e lo salva.
Attraverso la fede, unita all’amore, l’uomo fragile e peccatore rimane “appeso” a Cristo.


Giorgio Scatto    
Fonte:www.monasteromarango.it

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