p. José María CASTILLO, "VA’ VIA DA ME, SATANA!"

XXII TEMPO ORDINARIO – 3 settembre 2017 - Commento al Vangelo
VA’ VIA DA ME, SATANA!
di p. José María CASTILLO
Mt 16, 21-27
Da allora Gesù cominciò a dire chiaramente ai suoi discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme
e soffrire molto da parte degli anziani, sommi sacerdoti e scribi; inoltre che doveva essere messo a morte, ma che al terzo giorno sarebbe risorto. Allora Pietro lo prese in disparte e cercava di dissuaderlo dicendo: «Dio te ne guardi, Signore! Questo non ti accadrà mai». Ma egli, rivoltosi a Pietro, disse: «Va' via da me, satana! Tu mi sei di inciampo, poiché i tuoi sentimenti non sono quelli di Dio, ma quelli degli uomini». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Poiché chi vuol salvare la propria vita la perderà; chi invece perderà la propria vita a causa mia, la troverà. Infatti, che giovamento avrà l'uomo se, avendo conquistato tutto il mondo, è danneggiato poi nella sua vita? Oppure, che cosa potrà dare l'uomo quale prezzo della sua vita? Infatti il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo insieme con i suoi angeli e allora darà a ciascuno secondo la sua condotta.
A partire dal momento in cui i discepoli, per bocca del loro portavoce Pietro, affermano la loro fede in Gesù come Messia (Mc 8, 27-30; Mt 16, 13-16; Lc 9, 18-21), lui “inizia” a spiegare a quegli uomini in cosa consisteva il suo messianismo e come lo avrebbe realizzato. Tale messianismo non sarebbe stato una carriera di successi, di trionfi, di potere e di fama. Tutto il contrario. Il messianismo, che potrebbe portare salvezza ed offrire una soluzione al mondo, sarebbe (dovrebbe essere) e si realizzerebbe in una vita che sarebbe terminata con lo sconto mortale con i poteri religiosi e politici, fino a vedersi emarginato, escluso e condannato da tali poteri
Questo fatto, così come è avvenuto storicamente, sembrò intollerabile a Pietro. Per questo “rimproverò” Gesù. Cosa che fu motivo di uno scontro durissimo. Perché Gesù giunse a qualificare Pietro come “Satana”. Perché quello scontro giunse fino a tal punto? Era in gioco l’aspetto più decisivo. Perché? Il Messia, secondo l’A.T., era l’«unto». E unti erano il «sommo sacerdote» ed il «re». Per ogni ebreo il messianismo era associato alla cosa più degna, al potere ed alla grandezza. L’idea del Messia era quindi legata al soprannaturale, al governo glorioso del re Davide (Is 9, 1-6; 11, 1ss; Mi 5, 1-5). Forse nell’idea nel Messia c’entrava anche il concetto di “sacro”. Ma non vi è alcun dubbio che l’idea giudaica del messianismo era associata alla regalità, con il potere e la dignità che riguarda chi incarna il ruolo e la grandezza della salvezza del popolo eletto (K. H. Rengstorf).
Stando così le cose ed essendo questa la mentalità del giudaismo proveniente dall’A.T., si comprende che Gesù, nello spiegare il suo messianismo (come di fatto si realizzò), dovette servirsi di una formula forte e radicale: “il Messia deve andare a Gerusalemme e lì soffrire molto”. Il testo utilizza il verbo greco déi, che non ha equivalente semitico (W. Popkes) e che designa una necessità assoluta, indiscutibile. Ma nella storia dell’interpretazione biblica questa necessità ha posto un problema nel quale la teologia si è impantanata: Gesù “doveva” soffrire e morire respinto dalle autorità religiose, perché così lo aveva deciso Dio? O perché lo stesso Gesù ha vissuto in maniera tale che quella vita non sarebbe finita se non nel fallimento, nella sofferenza e nella morte di un sovversivo? Qui sta il problema fondamentale per capire Gesù, per comprendere quello che significa il cristianesimo, e per vivere la fede cristiana con coerenza e secondo il suo ragionevole significato. Cosa vuole dire questo?
L’affermazione forte fatta da Gesù, secondo la quale il Messia “deve soffrire molto” (déi pollá pathéin), associa la sofferenza e la morte di Cristo ad «una necessità assoluta». Il problema sta nel fatto che il verbo déi (“è necessario”, “deve”) nel N.T. si associa a decisioni divine (W. Popkes). Questo ha dato motivo per dire che è stato Dio a decidere la sofferenza e la morte di Gesù. Ma, se giungiamo a questa conclusione, alla fine stiamo affermando che Dio aveva bisogno della sofferenza e della morte, niente meno che della morte di suo Figlio. Questo è fare di Dio un mostro di malvagità e di sadismo. Una simile affermazione teologica è assolutamente intollerabile ed inaccettabile. In un Dio così non è possibile credere.
Per mettere le cose al loro posto, è necessario sapere: 1) Nel N.T. il verbo déi è collegato con norme di Dio per l’etica e la pietà (At 5,29; 1 Ts 4,1; Rm 8,26; 1 Cor 8,2; 1 Tm 3,2.7.15; Lc 13,14.16). 2) Mai è collegato con sofferenze che Dio manda o con decisioni divine relative alla morte di alcuno. 3) E quindi mai è collegato a sofferenze, violenza e morte, la cui origine sta nelle autorità religiose.
Bisogna dire quindi quello che dicono i vangeli quando mettono in bocca a Gesù gli annunci della passione: sono stati i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani a decidere di torturare, umiliare ed assassinare Gesù. In questo senso si può affermare che non è stato Dio, ma la Religione (per mezzo dei suoi rappresentanti ufficiali) ad uccidere Gesù. Il progetto di uccidere Gesù venne dagli osservanti religiosi, dai farisei (Mc 3,6). E lo realizzò il Sinedrio delle autorità religiose di Gerusalemme (Gv 11, 47-53)
Ma nel cristianesimo primitivo è capitato che i vangeli sono stati scritti e diffusi (nella loro redazione definitiva) dopo l’anno 70, datazione che è generalmente accettata e comprovata (D. Marguerat). Ma molto prima, tra gli anni 41 e 51-52 le prime “chiese”, fondate quasi tutte dall’apostolo Paolo, hanno ricevuto un messaggio diverso da quello dei vangeli. È stato il messaggio secondo il quale Cristo è morto crocifisso come “sacrificio” ed “espiazione” per i nostri peccati. Cosa che, a giudizio di Paolo, è stato un atto di generosità di Dio. È stato il Padre a consegnare suo Figlio per la nostra “giustificazione” e “redenzione” (2Cor 5,21; Rm 3, 24-26…) (J. Gnilka).
Queste due interpretazioni della morte di Gesù, quella dei vangeli e quella di Paolo, non si sono integrate debitamente nella teologia cristiana. Ma il fatto storico ci dice che Gesù è morto come un sovversivo fallito, per solidarietà con tutti coloro che soffrono in questo mondo. Questo è l’aspetto fondamentale. E dovrebbe essere l’aspetto determinante per la Chiesa.

Fonte:http://www.ildialogo.org

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