Paolo Curtaz, "Fuoco ardente"
Commento al Vangelo di domenica 3 settembre 2017 - Paolo Curtaz
Fuoco ardente
La scena era davvero da film, ammettiamolo.
Crepuscolo, bosco agitato da una leggera brezza, il rumore dell’acqua che sgorga dalla sorgente del
Giordano, in lontananza l’imponente costruzione del palazzo di Filippo, figlio di Erode, e i dodici seduti in cerchio intorno al Rabbì.
Campo lungo, primo piano sugli apostoli, primissimo piano su Gesù, dibattito sull’identità del Messia, Pietro, Gesù, sorriso, riconoscimento del Messia, promessa delle chiavi, musica solenne, fine.
Bello vero? Solo che i Vangeli non sono la sceneggiatura di un film. E gli apostoli non sono attori.
Ma discepoli che raccontano ciò che hanno vissuto perché noi, ora, oggi, qui, in questa estate che finisce, impariamo qualcosa dalla loro esperienza.
La liturgia, birichina, toglie la vena celebrativa e pomposa della scorsa domenica per farci ripiombare nella realtà, nella fatica di credere, nella crescita continua di cui abbiamo bisogno nella vita interiore.
Ricordate il Simone diventato Pietro, garante della fede dei fratelli, custode delle chiavi che chiudono e aprono le porte che conducono a Dio?
Ecco, bravi. Scordatevelo.
Dietro di me, Satana!
Gesù è il Messia, evviva. Molto diverso da quello che si aspettava, d’accordo. Ma Pietro ha osato ed è riuscito a dire l’inimmaginabile. Dio non è mai come ce lo aspetteremmo. Non un Messia muscoloso e battagliero, un condottiero che attira consensi e plausi.
Ma un ben più scipito falegname di Nazareth, poco carismatico e molto distante dallo stereotipo del Messia che accompagnava la predicazione dei rabbini. Sia.
Gesù, però, adesso esagera.
E parla di sacrificio, di prove, di incomprensione, di sofferenza. Di morte. Della sua morte.
Non serve essere Figlio di Dio per capirlo: tira una bruttissima aria intorno a lui.
I discepoli sono scossi. Ora sanno chiaramente che Gesù è il Messia. E il Messia non deve morire.
Pietro prende da parte Gesù e lo invita, ora che è appena stato investito della tiara papale, a non scoraggiare il morale delle truppe.
Fa come noi, Pietro, insegna a Dio a fare Dio. Gli suggerisce in che direzione andare.
Dio non voglia!
No Pietro, Dio non vuole. I nemici vorranno, Dio no.
Gesù si volta. E schiaffeggia.
Il Papa si prende un bel cazziatone. Non pensi secondo Dio, dietro di me Satana!
Però!
Quando
Quando vogliamo indicare a Dio che direzione prendere, quando pensiamo che la sofferenza sia eccessiva, quando vorremmo fare qualche correzione all’agire divino, quando, anche se devoti, santi, pii, preti, vescovi, martiri, ragioniamo secondo gli uomini, quando non siamo discepoli, ma ci crediamo Maestri di Dio, quando, ingenuamente, assumiamo la logica satanica di questo mondo, Gesù non ha paura a richiamarci all’ordine, anche con fermezza.
E ci invita a conversione. A passare dietro di lui.
Non ama la croce Gesù e ne farebbe volentieri a meno. E non vuole morire.
No, Dio non vuole, Pietro.
Ciò che vuole Gesù è manifestare il vero volto di Dio e per farlo è disposto a subire tutto ciò che ha detto, come accadrà.
Scegli tu Pietro, da che parte stare.
Dalla parte della croce, donando la vita, morendo pur di non rinnegare il vero volto di Dio, “perdendo”, cioè donando la vita per ritrovarla. O dalla parte del mondo. Che pensa solo a sé, che usa gli altri, che contratta, contrabbanda, cambia idea, giudica senza esporsi, non paga mai.
Scegli, Pietro.
Croci
Questa è la croce, non altro. Non sofferenza, né prova divina, né alcuna delle assurde idiozie che abbiamo immaginato intorno a questo invito.
Peggio: quante volte abbiamo stravolto questo brano e offeso Dio facendogli dire l’esatto contrario di quello che voleva dire. Dio non ama la croce, perché dovrebbe chiederci di amarla?
Dio non manda le croci, gli altri le mandano, noi stessi le costruiamo per sentirci devoti.
La sofferenza va evitare, ove possibile. Ma amare, a volte, porta a donarsi fino alla morte, fino allo svuotamento di sé, fino al rendere sacro, il sacrum facere, il sacrificio.
Che non significa sopportare un marito violento e farmi da parte davanti all’arrogante o diventare uno zerbino. Dio non apprezza tale atteggiamento!
Significa entrare nella logica del dono, logica che Gesù assume. Fino a morirne.
Siamo davvero disposti a osare tanto?
Sì però
Gesù è onesto.
Con Pietro e con noi. Possiamo scegliere.
Pesiamo la nostra anima, però.
Il dolore non è un criterio di scelta.
Ne sa qualcosa Geremia, odiato da tutti i suoi parenti perché le cose che dice non sono gradevoli. Ma lo fa per conto di Dio. E, allora, quel fuoco che vorrebbe spegnere, quel tormento d’amore che lo tormenta, è più forte del dolore.
Ne sa qualcosa Paolo, che ha imparato, prendendosi dei bei ceffoni dalla vita, a trasformare il suo modo di pensare.
Belle letture quelle di oggi, da prendere con calma.
La proposta è chiara, anche quello che c’è in gioco.
Da una parte la vera identità di Dio, la sua logica, che è logica di un dono disposto a morire per amore, il fuoco che divampa nella nostra anima.
Dall’altra la (piccina) logica del mondo.
C’è ancora un bel pezzo di strada da fare. Ma Pietro ha scelto, in cuor suo.
Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/
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