CARLA SPRINZELES,"AMORE AUTENTICO"


Commento su Ezechiele 18,25-28; Matteo 21,28-32
Carla Sprinzeles  
XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/10/2017)
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Oggi voglio provare a mettere in pratica un consiglio di un mio amico: ”Non dire troppe cose, dinne
una sola e approfondiscila”. Ha ragione. La cosa che voglio evidenziare oggi è questa: l'amore è autentico solo se serve alla persona. Faccio un esempio per farmi capire meglio, il bene per una pianta è la luce e l'acqua nelle dosi giuste quindi per amare, non devo inventare niente, devo capire e obbedire. C'è una logica nelle cose e a me compete solo capire e servire. Quindi le cose che servono per amare, e attenti, attenzione e umiltà sono fondamentali. Se dico di amare una persona, ma non sono attenta ai suoi veri bisogni, è una forma di egoismo come l'amore di certi genitori che proiettano se stessi nella vita dei figli.
Se guardiamo il mondo vediamo le esigenze della giustizia, della pace, della diversa distribuzione dei beni, della non-violenza: queste esigenze vengono portate avanti sovente da persone non sempre “religiose”. Noi dichiariamo la nostra fedeltà al Vangelo, ma sovente all'atto pratico delle scelte, non siamo in prima fila, restiamo nelle nostre case, curiamo i nostri interessi. E allora giustamente Gesù poteva dire: ”i pubblicani e le prostitute vi precedono nelle vie del Regno.”
EZECHIELE 18, 25-28
La prima lettura è del profeta Ezechiele. Ricordo che è un profeta che è stato deportato in esilio a Babilonia con molti ebrei: incoraggia e sostiene il popolo di Dio. Nel capitolo diciotto che leggeremo, il profeta ricorda che la responsabilità è individuale. Dopo la caduta di Gerusalemme il popolo viene esiliato e l'opinione comune è che stavano pagando per le colpe degli antenati e quindi la responsabilità non era loro ma dei loro antenati. Sembrava loro un castigo ingiusto.
Pensate che ancora oggi, quante volte diciamo: ”Quel giovane non doveva morire” oppure ”Che cosa ho fatto per meritare questa disgrazia?”, non pensando che siamo creature limitate e che la morte non è un incidente nel percorso della nostra vita. E' simile a ciò che avviene al feto nel seno materno, tutto ciò che favorisce al tempo giusto la sua uscita, è un bene e così la nostra morte. Ciò che conta è imparare a conoscere chi siamo: figli amati di Dio! Per questo occorre cambiare, convertire il nostro abituale modo di pensare perché è sbagliato e porta alla tristezza. Invece noi abbiamo bisogno di gioia e questa gioia ci porta all'abbandono fiducioso, all'amore del Padre che previene i nostri veri bisogni e tutto ciò che ci aiuta a nascere a questa nuova vita è un bene, anche se a volte si può soffrire, morire.
MATTEO 21, 28-32
Nel vangelo che abbiamo letto, Matteo dopo aver messo in luce che i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo hanno chiesto a Gesù con quale autorità insegnava, fa un esempio. Ci sono due figli: uno che, alla richiesta del padre di andare a lavorare nella vigna, risponde: “Sì, signore”, ma non andò e l'altro che dice: “Non ho voglia”, ma poi ci va. E' molto frequente trovare questi due atteggiamenti. Chiediamoci, cosa ci vuole dire Gesù? Si rivolgeva a chi si sentiva giusto, a posto, potente come i sommi sacerdoti e i farisei. Loro si univano alle folle che seguivano il Battista prima e poi Gesù, ma non credevano e non cambiavano modo di pensare. Ne andava del loro prestigio! Ogni ammissione di errore minava il prestigio che si erano attribuiti di unici detentori della volontà di Dio. Ma il Padre che ci è venuto a rivelare Gesù guarda il cuore, non l'apparenza, i fatti, non le parole. Chi veniva ritenuto maledetto da Dio, impuro come i pubblicani e le prostitute, passerà davanti, nel regno di Dio, a chi si riteneva l'eletto, il giusto.
Ci sono dei figli bravi che non danno pensieri, che rispondono puntualmente al desiderio dei genitori e ci sono i ribelli incontrollabili, le cui reazioni imprevedibili sconcertano la famiglia. E Dio sembra dalla parte di questi: “in verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano davanti nel Regno di Dio.” Perché passano davanti ai “buoni”? Chiediamoci, come mai il figlio bravo, che sembra obbedire all'autorità, in realtà non si fida della vita e ha paura? Crede che l'amore si debba meritare, è dipendente, magari triste. Non immagina che sia possibile essere degni di stima se non si collude con il desiderio dell'altro. Rimane dipendente da chi lo ha generato: non è ancora rinato.
Gesù a soli dodici anni è rimasto tre giorni fuori dalla famiglia e si meravigliava che i suoi genitori non avessero capito che lui doveva realizzare la sua vita al di fuori delle loro previsioni.
Un altro figlio apparentemente buono non si era mai azzardato a chiedere al Padre nemmeno un capretto per banchettare con i suoi amici ed invidiava il fratello festeggiato, appunto, per aver ritrovato la strada di casa, dopo aver provato a vivere come gli pareva.
Chi dice di sì, senza aver esperimentato la gioia del sentirsi amato a prescindere dai suoi sbagli, non sente il diritto di esistere, non crede all'amore che gli offre la vita. Di conseguenza invidia l'altro che si permette di opporsi. Scendendo al pratico: se andiamo a messa, ma non abbiamo compassione per gli altri e giudichiamo, siamo come il figlio che Gesù biasima.
Siamo tutti stanchi di parole, come dicevo all'inizio, ciò che occorre è attenzione e umiltà per accorgerci qual è il bene dell'altro e partecipare la vita e la gioia che Dio ci dona. Lavorare nella vigna è osare impegnarsi contro il consumismo che dissangua i due terzi dell'umanità. Se il venti per cento dell'umanità rinunciasse a comperare cose nuove per solo cinque anni, crollerebbe il sistema economico attuale. Ma chi rischia una tale rivoluzione? Se non si dà il diritto di opporsi per scegliere la vita, costi quel che costi?
Spero di essere stata fedele allo Spirito e di essere riuscita a mantenere il tema: l'amore è autentico se serve, se è attento all'altro, se è umile.
Chiediamoci: do all'altro l'acqua che ha bisogno? Nella quantità giusta? Espongo l'altro alla luce del mio sorriso e lo scaldo col mio amore senza bruciarlo?
Correggiamo anche i nostri concetti un po' negativi sulla croce e sull'obbedienza! Il Padre non manda nessuna croce e neanche la permette per farci crescere. E' il male che c'è nelle nostre scelte che genera la sofferenza. Se obbediamo al Padre, obbediamo all'amore, alla verità. Questo è il suo potere, che cambia il mondo dal di dentro, ma dobbiamo crederci in concreto.
Tu che mi leggi ci credi? Riesci a non guardare solo l'apparenza? Occorre iniziare e poco alla volta il mondo cambierà: è nostra responsabilità!

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