don Giacomo Falco Brini, "Un saggio protocollo per i rapporti comunitari"

Un saggio protocollo per i rapporti comunitari
don Giacomo Falco Brini  
XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (10/09/2017)
  Visualizza Mt 18,15-20
Mi pare che da un bel po' di tempo, sul primo canale televisivo di mamma Rai, una serie di telefilm
riscontri presso il pubblico un buon successo: quella di don Matteo, con il tanto amato Terence Hill protagonista nel ruolo del popolare parroco. Io non l'avevo mai visto fino a un paio di mesi fa, quando ho cominciato ad assistere a qualche episodio. Quello che mi è sembrato un “leitmotiv” di questa serie televisiva è che don Matteo conduce delle indagini parallele godendo delle informazioni che il maresciallo dei carabinieri fiduciosamente gli passa, per poi giungere alla soluzione del caso, inducendo il colpevole a riconoscere il male commesso. Ma il tocco finale del padre Brown nazionale è dato dalla sua capacità di aiutarlo anche a vedere la via d'uscita dal male, di fargli cioè sperimentare il perdono divino al di la della giustizia umana che deve fare il suo corso. In altre parole, vediamo in don Matteo un esempio di quella che chiamiamo “correzione fraterna”, il tema della liturgia della parola di questa domenica.
Diciamo subito che la correzione fraterna è arte di amore non facile da esercitare. E tuttavia è una sua forma espressiva molto alta. Basti vedere qual è il testo successivo al vangelo di oggi (Mt 18,21-35). Si rende necessaria pertanto una serie di premesse, per non confonderci in questa materia. Innanzitutto la correzione fraterna è possibile solo laddove, in una comunità cristiana, ciascuno è in primo luogo accolto incondizionatamente con i suoi limiti e non giudicato per i suoi sbagli. Per questo S. Paolo, nella 2a lettura, ricorda a tutti dove deve incastonarsi questa prassi: non siate debitori di nulla a nessuno se non dell'amore vicendevole, perché chi ama l'altro ha adempiuto la Legge (Rm 13,8) Inoltre, la correzione fraterna di cui si parla è quella che riguarda peccati gravi (cfr. Mt 18,6-9). Oggetto della correzione fraterna non è l'offesa personale, come ad una prima lettura il testo sembra far intendere (Mt 18,15). Infatti l'offesa personale è sempre da perdonare e dimenticare (cfr. Mt 18,21ss.). L'oggetto è il peccato, in quanto fattore che nuoce in primo luogo a chi lo commette. Il fine della correzione è riguadagnarlo alla fraternità (Mt 18,15b), perché bisogna tentare di tutto per riportare a casa chi si è smarrito (cfr. Mt 18,12-14). Quindi, prima di lanciarsi ad esercitare la correzione fraterna è bene esaminarsi nel proprio cuore per verificare da dove parte la propria mozione: dall'amore verso il fratello che, operando il male, fa prima di tutto del male a se stesso ferendo la fraternità? Oppure da un desiderio di umana “giustizia” che mal cela giudizi personali o critiche malevole?
Gesù indica un protocollo fondamentale da seguire per l'esercizio della correzione fraterna:
1. Prima si affronta la persona a tu per tu, in privato, per rispetto nei suoi confronti. Chi si sente accolto senza condizioni in genere è disposto a ricevere osservazioni, per cui la correzione, se esercitata nell'amore, funziona e ristabilisce la fraternità.
2. Siccome non sempre la cosa si semplifica secondo la prima modalità, allora il Signore suggerisce di ricorrere alla mediazione di 2 o 3 testimoni (Mt 18,16). E' il tentativo di riportare la persona alla verità con l'aiuto di altri, non l'indizione di un regolare processo: laddove uno non riesce per dei limiti personali, forse può riuscirci sostenuto da altri; naturalmente, anche questi dovranno trovarsi nelle disposizioni di cui sopra per aiutarlo.
3. Se nemmeno la seconda modalità inducesse la persona a ravvedersi, Gesù dice di comunicare la situazione, se necessario, alla comunità. Su questo terzo passaggio si è discusso molto in passato e anche oggi. C'è stato un periodo, nei primissimi secoli cristiani, in cui il dettame veniva seguito alla lettera. Ma nel tempo lo Spirito ha spiegato alla chiesa che il senso delle parole di Gesù non è certo quello di esporre la persona che sbaglia al pubblico ludibrio, anche se il suo peccato fosse già grave e conosciuto presso il popolo. Si tratta invece di mettere il soggetto sotto lo sguardo della chiesa per indurlo a sentire la personale responsabilità verso i suoi fratelli. Se poi non ascoltasse nemmeno la comunità cristiana sia per te come il pagano e il pubblicano (Mt 18,17). Questa espressione non è sinonimo di condanna o esclusione. La comunità è chiamata a far capire che, rifiutando di ascoltare, la persona si pone da se stessa fuori dalla comunione ecclesiale. E' questo anche il significato della “scomunica”, uno dei provvedimenti più gravi che la chiesa può prendere nei confronti di uno dei suoi figli. Essa ha sempre un valore illustrativo-pedagogico-deterrente: cioè serve a manifestare alla persona la gravità del male che commette, magari a cuor leggero, affinché si ravveda.
In verità vi dico: tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo (Mt 18,18). La Chiesa ha ricevuto lo stesso potere che Gesù ha dato a Pietro (cfr. anche Mt 16,19) e deve usarlo nella stessa maniera: è il potere dell'amore che non vuole che nessuno si perda (Mt 18,14). La preghiera ecclesiale garantisce la presenza di Gesù (Mt 18,19-20) affinché si cerchi e si trovi la luce per camminare insieme sempre meglio. La comunità cristiana allora diventa spiritualmente matura quando, fondata in questa preghiera, impara ad esercitare la correzione fraterna.

Fonte:http://www.qumran2.net

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