don Mauro Pozzi, "Correzione fraterna "

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (10/09/2017)
Correzione fraterna (dMP)  Don Mauro Pozzi 
La correzione fraterna è una bella cosa, ma è difficile perché quando siamo parte in causa si fa fatica
a essere obiettivi. Cerchiamo di partire sempre da noi stessi, comunicando all’altro il disagio personale, cercando di non puntare il dito.
Quando ci sembra di aver subito un torto siamo spesso portati
a considerare solo noi stessi e a condannare chi ci ha offeso. Il
Maestro propone un comportamento molto diverso. Prima di
tutto chiede di considerare anche la controparte: se ha sbagliato
è bene che abbia la possibilità di rimediare comprendendo
quello che ha fatto. L’ammonimento fatto a tu per tu è il primo
passo. Intanto confrontarsi con l’altro serve per mettere bene a
fuoco il problema e poi abbassa la pressione. Infatti spesso
tenendosi le cose dentro, e magari fingendo che tutto vada bene,
si coltivano rancore e cattivi pensieri che tolgono la pace. Avere
il coraggio di affrontare pacatamente l’altro permette di essere
più sereni. Se la contesa non si compone, può essere che il
problema sia della controparte, come anche nel cattivo giudizio
di chi si sente offeso, per cui far intervenire dei testimoni
garantisce una maggiore obiettività. È un passo intermedio, in
cui non si porta a conoscenza di tutti il problema, ma se non si
arriva alla composizione, allora l’intera comunità è chiamata a
intervenire. In questa maniera è garantito un giudizio
equilibrato della controversia e chi è in errore ha modo di
rivedere le sue posizioni. Una eventuale esclusione dalla chiesa
non ha un valore solo umano, ecco perché il Maestro sottolinea
che ciò che viene legato o sciolto lo è per la terra come per il
cielo. Essere in comunione comporta una responsabilità
reciproca. La salvezza non può essere un obiettivo individuale,
perché la legge stessa, come ci ricorda San Paolo, è fondata
sull’amore. Nessuno che sia veramente amato si può lasciare
indietro. Ciò che un’eventuale disapprovazione o condanna
vuole ottenere è la redenzione di chi ne è oggetto. Come il
Signore dice a Ezechiele, dobbiamo essere come sentinelle, non
per cogliere in fallo gli altri, ma per vegliare sulla loro salute
spirituale. Il compito principale dei sacerdoti e dei vescovi è
assolvere, ma se l’assoluzione è negata, è perché non c’è una
vera conversione. Se andasse sempre tutto bene non ci
sarebbero termini di paragone e nessuno sarebbe stimolato a
migliorare. Il valore della comunità è grande anche per la
preghiera. Essere insieme a chiedere vuol dire che non c’è una
ricerca egoistica dei propri interessi, ma la volontà di cercare il
bene comune. La nostra non è una religione individualistica in
cui Dio è una specie di proprietà privata, ma fondandosi
sull’amore, richiede necessariamente la condivisione. Chiesa
vuol dire assemblea, quindi essere cristiani significa
riconoscersi in una comunità. Gesù è presente quando c’è
comunione.

Fonte:http://www.noidisantamonica.it

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